28/10/17

COME SBAGLIARE NEL FOTOGRAFARE PER OTTENERE UNA FOTOGRAFIA CORRETTA



La fotografia è un metodo di rappresentazione fra i più antropocentrici. Non si può evitare di ingannarne il fruitore facendogli credere che non sia stato l'occhio di un uomo e la pressione del suo dito indice a realizzare lo scatto. Altre forme artistiche o creative possono essere maggiormente annacquate, mentre la fotografia si porta appresso una condizione di intimità che non si può evitare. La forma stessa dello scegliere lo scatto attraverso azioni che solo il fotografo può vedere, e attraverso il suo unico sguardo tramite il mirino, comporta questa intimità, personalità.
Di certo, si può spiegare - da questo punto di vista - la fotografia come la meno universale fra le produzioni di immagini. Pure quando vogliamo rappresentare qualcosa di astratto con la fotografia, dobbiamo ricorrere a dei soggetti precisi; mentre nelle altre forme artistiche si può evocare, costruire, raffigurare qualcosa di astratto o un oggetto che prima non esisteva.
Alla luce di queste riflessioni, colgo il mio modo di fare fotografia come completamente sbagliato perché è un utilizzare scorrettamente il suo dispositivo. Come usare la pittura per fare letteratura o la tipografia per dipingere…
Nella foto qui riprodotta, si vede un panorama di un parco nella periferia di Roma, nel fondo ci sono delle strutture, forse dei ruderi. Vagavo con un amico attraverso quei boschi, ogni tanto salendo su degli edifici antichi lì abbandonati; ma quello che volevo era appunto che il ricordo, i nostri discorsi e quello che avevo di fronte si fondessero in un'unica immagine. E in quel momento, addirittura, già avevo un'idea di come sarebbe venuta la foto perché avevo sistemato l'obiettivo in modo da avere quell'impressione e scelto una pellicola che fallisse nell'intento per un'alterata sensibilità: era un kodak scaduta da 60 anni. Mi aveva fatto piacere usarla anche solo perché avevo aspettato il momento ideale per vedere i risultati che avrebbe dato.
Invece, l'idea di questa serie di foto mi è giunta dal sentirmi sopraffare dalla bellezza di Roma, quasi un non poterla recepire e gestire tutta. Perché proprio quella città vive così l'antichità che offre: molto frequente è scorgere tracce dell'antica Roma, anche enormi pezzi di palazzi che una volta scovati, vengono recintati e protetti. Facendo attenzione, ne notavamo ovunque e è impossibile quindi solo annotare tutte queste presenze e averne cura… di conseguenza, anche semplicemente la plausibile spesa per gestire il fazzoletto di prato che circonda ciascun rudere è incalcolabile per la città, per il nostro paese. Sono tutte queste osservazioni che mi hanno fatto percepire quello stato di sopraffazione - una ricchezza ingestibile. Allora ho iniziato a soffermarmi su come alcune antichità venivano come ignorate e diventavano parte integrante dell'arredo urbano o privato oppure sporcate da scritte perché non riconosciute; anche poco prima di giungere in quel parco, siamo passati di fronte a un condominio che aveva incluso nel giardino un enorme porzione di acquedotto romano… non si può non costruire edifici per riguardo di questi ritrovamenti e così questo banale condominio convive con un patrimonio di importanza archeologica che se fosse altrove sarebbe invece messo in rilievo.

Non vedo l'ora di tornare a Roma.

21/10/17



Questa foto è stata fatta durante la "notte bianca" del 2012 a Venezia da Elena Tubaro - fotografa pordenonese che era capitata con un gruppo di fotografi di Instagram per immortalare i momenti salienti della serata.
Qui sono negli atelier della Fondazione Bevilacqua La Masa, a La Giudecca, mentre accoglievamo i partecipanti della festa. Mi ero proposto in un'ipotetica performance nel quale rivestivo i panni di un barbiere. O meglio, non sono e non lo ero neppure all'epoca, un barbiere, però era uno degli espedienti per raccogliere soldi per mantenerci a Venezia senza implicare direttamente il lavoro artistico che si stava facendo negli studi. Si trattava di un progetto sorto da vere necessità finanziarie e da un intento di guardare ai nostri ricordi, confrontando i pensieri miei e di un partecipante del collettivo Dirtmor. Sia io che lui (presente anch'esso come ospite della fondazione), infatti, avevamo riscontrato che i nostri padri, alla nostra età, aspiranti artisti, inscenavano delle idee e dei mestieri per poter arrotondare le entrate: fotografo per i turisti, coltivatore e, come in questo caso, barbiere.
Così noi, allora, replicavamo. Ogni azione doveva infine essere documentata, ma il progetto non arriverà a conclusione perché la persona che collaborava con me vi ha rinunciato. Precisamente, ha rinunciato a qualsiasi progetto iniziato durante il periodo di residenza alla fondazione, come pure deplorare quanto fatto in precedenza con il suo collettivo. E' stato uno strano scomparire… lo abbiamo anche ricercato, trovandolo infine impiegato in una boutique di San Marco; quindi anche con un aspetto ben diverso dal solito.
I suoi compagni hanno pure affrontato questa sorta di voltafaccia, inscenando un funerale. Non voleva essere una mancanza di rispetto, ma poter andare oltre all'assenza di uno dei componenti che risultava centrale in molte delle loro produzioni - oltre che personali esperienze.

Io non ho mai capito bene come giudicare l'accaduto, per me era un periodo prolifico e quindi non ho risentito troppo di un venir meno di un progetto, ma solo di un amico.

14/10/17



Stamattina ricordavo l'abitudine alla confusione di quand'ero più giovane. Ricercavo il caos, credevo nel disordine che portasse condizioni di fertilità. Sentivo di averne l'attitudine, anche al rumore; eppure ricercavo quelle specifiche atmosfere come se mi facessero invece stare bene. Mi portano pace. Come quando passavo tutta la notte fuori, con i miei amici, anche dieci ore di fila e poi me ne tornavo tranquillamente a casa a dormire; e al risveglio era come tutto azzerato. Una ricerca di sormontare stimoli per poter fare piazza pulita. Anni inconcludenti perché forse non capivo se vivere era la settimana lavorativa o il weekend trascorso come una vacanza.
L'immagine che ho scelto oggi, racconta proprio di questo, perché fa parte di una serie che prevede foto sulle quali vengono aggiunti svariati elementi per creare una nuova immagine dal sovraffollamento. E qui, dalla compressione o compresenza di molti soggetti, è come se si superasse la superficie e si raggiungesse l'opposto: la pace. A me, questa immagine, ispira infatti serenità. E altre, ancora più confusionarie, raggiungono pure meglio questo obiettivo.

In questo periodo, guardo a queste foto perché, per via dell'attuale situazione finanziaria, esco di casa poco spesso. Seppure provengono da foto di altri, sono souvenir anche miei. Le foto arrivano da stampe o pellicole trovate in case abbandonate o addirittura fra ruderi di edifici demoliti o fra i detriti buttati via delle case crollate. Era il periodo in cui realizzavo le foto dalle immagini che raccoglievo camminando in giro per la campagna.

07/10/17



Questa fotografia è uno di quei lavori che mi fa ricordare l'artista Luciano Lunazzi. Oltre al periodo di esecuzione, che coincide con il mio avvicinarmi al contesto degli artisti udinesi e così a Luciano, ricordo una idea di collaborazione che ovviamente non troverà realizzazione. Gli avevo commissionato di imbastire un secondo me, in scala reale, in cartone, da poter indossare come un abito o un'armatura.

Spesso ci capitava, io e lui, di condividere idee sui modi per guadagnare con l'arte, e le sue sono quelle che mi stanno aiutando a migliorare la mia situazione a riguardo… Poi il resto.