L’identità si palesa quando ci si identifica in qualcosa che si possa, appunto, mostrare; e di conseguenza che ha così dei limiti oggettivi, ovvero quanto, come Enzo Comin, riesco a raggiungere con il mio intelletto. Sappiamo che l’intelletto può elaborare soltanto gli elementi forniti dai sensi, ed è un fatto accertato che i sensi trasmettono solo gli stimoli della diversità. Il nostro cervello, in verità, non è neppure adatto a cogliere l’uguaglianza senza tener presente costantemente a cosa l’oggetto osservato si può contrapporre.
Per poter davvero arrivare a me, devo dismettere la mia identità, quello che so di me: ecco che così faccio spazio a qualcos’altro dentro di me che è in me ma è immensamente più grande di quello che io potrei mai giungere a capire e trasmettere agli altri, è la vita. In ciò soltanto le persone sono uguali; il resto, più superficiale, è solo qualcosa che decidiamo che sia per noi uguale per convenzione.
Questo è il motivo per cui la realtà la puoi concretamente vedere e comprendere solo quando non ti occupi del convenzionale: nel sogno.