Prefazione
di Eva Comuzzi *
Ho conosciuto Enzo dieci anni fa, durante un reading di poesia. Sguardo
stralunato, fra l’assente e il perplesso, mi osservava e ascoltava in silenzio.
Poi si metteva in disparte. Non era semplice collocarlo, non comprendevo
chi fosse veramente. Se fosse serio o mi stesse prendendo in
giro. Era indubbio vivesse su altre frequenze. Poco dopo ho scoperto
che, oltre a scrivere, era anche un artista visivo e che proprio le sue
poesie davano spesso vita a performance, video o fotografie. Anche in
quel contesto l’occhio era sfocato, in un alternarsi costante di presenza e
assenza, rapporti con la realtà, l’apparenza e la distorsione. Vi percepivo
un tentativo costante di mettere in discussione vari punti di vista. E poi
aveva sempre un legame molto stretto con la luce. Con l’illuminazione,
potrei dire ora. Questi interventi di stratificazione e dissoluzione continuavano
anche nei suoi video, dove la riflessione sulla memoria, il
vissuto e il passato era forse ancora più evidente. Credo sia stato proprio
partendo da questi “dubbi visivi”, da queste immagini ancora fuori fuoco
davanti e dentro sé, che Enzo abbia iniziato una riflessione più profonda
sul suo essere artista ma anche sul suo essere uomo. Dopo varie mostre
fatte assieme, infatti, lo scorso anno, durante un dialogo pubblico, mi
comunicò che il manifesto del suo lavoro c’era già ed era il Vangelo.
Un’affermazione che ancora una volta poteva sembrare eccessiva, fuori
luogo e anche in controtendenza per una persona della sua età. Soprattutto
per un artista. Ricordo che per quell’incontro portò pochissime
immagini della sua produzione, quasi volesse farla immaginare a chi ci
ascoltava. E nominava spesso Gesù e il suo viaggio raccontato nei Vangeli.
“Seppure non lo citi direttamente”, disse, “il Vangelo è ciò che mi ha
permesso di alzarmi verso la luce e verso una maggiore consapevolezza
e libertà. Nella ricerca di ascesi, la gente viene fatta confluire, anche per
motivi commerciali, in quel grande bacino dove c’è tutta l’alternativa
al Vangelo, dalla New Age alle religioni orientali, dalla naturopatia alla
cromoterapia, all’ufologia e così via”. “In realtà”, continuò, “sono tutte
pratiche che immobilizzano, anziché liberare (almeno nella loro versione
occidentale) e sono convinto che in tutto ciò ci sia un tornaconto, che
sia una modalità commerciale per racchiudere le persone in gruppi e
categorie regolate”. E la nostra riflessione si era poi spostata sul notare
quanto fosse presente, anche nel mondo artistico – nelle ultime biennali,
in particolare – la presenza dell’alchemico, dello sciamanesimo. Dello
spirituale. È questa una moda o una reale esigenza? È una volontà di
ritrovarci, attraverso simbologie arcaiche e riti ancestrali e di riportarci
alle energie della terra che stiamo sempre più violentando o un altro modo
per perderci? “Se inviti le persone a osservare l’arte e a concepirla come
qualcosa di più profondo, ovvero qualcosa che passa anche attraverso i
suoi simboli”, continuò, “significa che hai intercettato che c’è anche un
bisogno da parte del pubblico e dell’artista di avere un orientamento in
tutto ciò. È evidente che questo dipenda dal fatto che qui da noi non si
viene preparati alla spiritualità”. Secondo lui e, a mio avviso, non a torto,
tutta questa domanda di spiritualità non sa però che cosa effettivamente
domandare. E questo problema, ovvero che cosa posso chiedere, dove
posso andare a cercare le mie risposte, era ben evidente nella successiva
performance messa in atto nella chiesa di San Girolamo a Cervignano
del Friuli, in occasione della mostra The Other Side Of The Moon, da me
curata con Orietta Masin. Ne Le persone con molti corpi, dei musicisti
suonavano di fronte all’altare, mentre Enzo, al centro era un ammasso
informe. Una maschera che attraverso una forma di esorcismo cercava di
liberarsi dalla sua Persona per diventare Essenza. All’apice del concerto,
attraversava il pubblico legando tutti i presenti tra di loro con dei fili. Lo
scopo, anche qui, era quello di manifestare, come in un sogno, quanto
potrebbe accadere quando si cerca una libertà tramite lo spirituale senza
sapere dove cercare. In questo libro, suddiviso in quattro parti principali
(consapevolezza, compassione, fede e beatitudine), Enzo cerca di darci
dei suggerimenti per imparare a domandare e cercare, nel modo e nei
luoghi più adatti, al nostro sé più profondo. Per la partenza ci suggerisce
una cosa fondamentale, ovvero l’abbandono di quel controllo continuo
e ostinato che abbiamo e che pensiamo di poter avere su tutto, con con-
seguenti malesseri e sensi di colpa se ci distraiamo da esso e accade
qualcosa che non avevamo previsto. “Accettare il mistero”, sostiene
Enzo, “è il primo passo del viaggio verso la consapevolezza. Un salto
nel vuoto fa paura e questo è il motivo per cui spesso ci si accomoda a
sostenere che bisogna piuttosto vivere tenendo tutto sotto controllo.” Ma
la vita, come egli sostiene, non è un momento per stare attenti. Piuttosto,
aggiungo io, è un momento per fare attenzione a tutto ciò che ci accade
e ci circonda. Un momento per osservare e comprendere come tutto sia
in connessione e come questo abbia un senso per il nostro percorso, che
a sua volta ha un senso solo se vi è azione e trasformazione. Come lo
scrittore e giornalista brasiliano Fernando Sabino affermava: “Di tutto
restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che
abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima
di finire. Pertanto, dobbiamo fare: dell’interruzione, un nuovo cammino,
della caduta, un passo di danza, della paura, una scala, del sogno, un
ponte, del bisogno, un incontro”.
2019
* Storica dell’arte.