17/11/23

30 0RCHESTRAZIONE

Il 24 Novembre, all'inaugurazione del festival ORCHESTRAZIONE di Portogruaro (Venezia), verrà presentato un libro che raccoglie i 30 anni di attività.

Vi si troverà vario materiale pubblicato a descrivere alcuni dei miei interventi.


November 24th, at the inauguration of the ORCHESTRAZIONE festival in Portogruaro (Venice), a 30 years of activity book of the festival will be presented.

There you will find various material published to describe several of my works.




Fiera della piccola e media editoria

Alla fiera della piccola e media editoria "Più libri più liberi", sarà presentata una nuova antologia di racconti della Casa Editrice "Historica Edizioni" dove io sono presente con il racconto "Confini immaginari".

Mi troverete il 7 e l'8 Dicembre - stand D05. Centro congressi Nuvola, Roma. 

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At the "small and medium publishing fair" “Più libri più liberi” (More books more free), a new anthology of stories from the "Historica Edizioni" publishing house will be presented - in which I am present with the story titled "Imaginary boundaries".

You will find me on 7 and 8 December - stand D05. Centro congressi Nuvola, Roma.



16/09/23

VITA CREATIVA - il podcast nato dal "Vangelo Pratico"

E' un piacere invitarvi a un progetto che parte dal libro che ho scritto: Vangelo Pratico:
il PODCAST "Vita creativa"!
Ci sentiamo presto: ogni Lunedì, Mercoledì e Venerdì un nuovo episodio...



30/08/23

GO XL - concept per una prossima mostra

Anche se la maggioranza dei cittadini di Gorizia è convinta di abitare a Gorizia e la maggioranza dei cittadini di Nova Gorica è convinta di abitare a Nova Gorica, in realtà questo non corrisponde al vero. Perché a seguito degli eventi degli ultimi decenni e dell’unione di Italia e Slovenia in Europa, Gorizia e Nova Gorica non esisterebbero più per il semplice fatto che non esiste più il confine. Quindi, in realtà, sarebbero un’unica eterogenea area urbana, non più solo Gorizia o Nova Gorica. Qualcosa di più ricco, esteso e completo… GO XL, potremmo chiamarla: Gorizia Extralarge.
Questa definizione della città è un po’ poetica e provocatoria, e a farla infatti è un artista come me. E posso proporla perché essendomi trasferito a vivere a Gorizia solo un paio di anni fa, non ho nessuna memoria del confine e non sono capace di vedere le differenze che invece molti mi segnalano ma che proverrebbero comunque dai loro ricordi… 
Guardando fuori dalla finestra della mia casa, mentre creo mi godo la vista del castello e mi basta per sentirmi in una capitale della cultura. Con questa mostra d’arte voglio esporre esclusivamente i lavori che ho realizzato nel periodo in cui abito a Gorizia, anche se alcuni non sono ancora ultimati o non sarebbero ancora pronti. L’intento è invitare a scorgere che più ci si priva di giudizi e maggiori sono le opportunità di creare. Anche nuovi punti di vista. Benvenuti a GO XL.

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Even if the majority of Gorizia citizens are convinced that they live in Gorizia and the majority of Nova Gorica citizens are convinced that they live in Nova Gorica, in reality this is not true. Because following the events of the last few decades and the union of Italy and Slovenia in Europe, Gorizia and Nova Gorica would no longer exist for the simple fact that the border no longer exists. So, in reality, they would be a single heterogeneous urban area, no longer just Gorizia or Nova Gorica. Something heartyer, more extensive and complete… we could call it GO XL (Gorizia Extralarge).
This definition of the city is somewhat poetic and provocative, and it is in fact an artist like me that is proposing it. And I can propose it because having moved to live in Gorizia only a couple of years ago, I have no memories of the border and I'm not able to see the differences that instead many people point out and which would come anyway from a distant past…
Looking out the window of my house, while I create, I enjoy the view of the castle and it is enough for me to feel I am in a capital of culture. With this art exhibition I want to exhibit only the artworks I made during the period I live in Gorizia, even if some of them are not yet completed or would not be ready yet. The aim is to think that the more one does without judgments, the more one finds opportunities to create. Also new points of view. Welcome to GOXL.





19/07/23

IL GIORNO DELLA SALVEZZA ... pratico

Il libro IL GIORNO DELLA SALVEZZA era nato come approfondimento del precedente, VANGELO PRATICO, e ci ha accompagnati attraverso un nuovo viaggio. Il quale, essendo trasformativo, è a tutti gli effetti creativo.
Chiunque voglia discutere o proporre quesiti su quando presentato nei vari capitoli, mi scriva pure in privato a contact@enzocomin.com oppure qui nei commenti...
Qui di seguito tutti i capitoli che evidenziano un argomento ciascuno. Ringrazio di nuovo per l'attenzione e la lettura!
Tutto il libro è rinvenibile nei post precedenti, un capitolo a post...


INDICE




PRESENTAZIONE


Capitolo 1: A CHI SI OBBEDISCE


Capitolo 2: IL VERO FEDELE NON SI ASTIENE DA NULLA


Capitolo 3: CONSUMISMO E SPIRITUALITA’ SI EQUIVALGONO


Capitolo 4: IL GIUSTO RUOLO PER OGNI COSA, ANCHE IN NOI


Capitolo 5: CON LA MENTE SI SVELA IL MONDO, NON LA FELICITA’


Capitolo 6: IL GIORNO DELLA SALVEZZA


Capitolo 7: TU SEI L’ELETTO


Capitolo 8: RIMANERE IN PAUSA FINCHE’ NON CI SI SCOPRE ELETTI


Capitolo 9: NOI A SUA IMMAGINE E LUI A NOSTRA IMMAGINAZIONE


Capitolo 10: ESSERE IL PROPRIO SE’ O LA PROPRIA OMBRA


Capitolo 11: LA CONOSCENZA


Capitolo 12: LA COMPLEMENTARIETA’


Capitolo 13: LA VERA REALTA’ E LA VERA IRREALTA’


Capitolo 14: RICORDARE LA VERITA’


Capitolo 15: LA PROPRIA CROCE


Capitolo 16: MOLTI NEMICI MOLTO AMORE


Capitolo 17: CHI SI NASCONDE DIETRO ALLE NOSTRE SOFFERENZE


Capitolo 18: ESSERE UNA MANIFESTAZIONE


Capitolo 19: TUTTO CIO’ CHE PER TE E’ INVIOLABILE, TI CONTROLLA


Capitolo 20: LA MENTE RAZIONALE COME SPINTA O FRENO


Capitolo 21: SE LA COSCIENZA E’ TOTALE, COME NON FARNE PARTE?


Capitolo 22: VITA PARADISIACA


Capitolo 23: DIO E’ UNA PERSONA, E QUELLA PERSONA SEI TU


Capitolo 24: COME LA REALTA’ VIENE CREATA


Capitolo 25: IN PRINCIPIO C’E’ LA FINE


Capitolo 26: LA MEMORIA DEL VERO SE’


Capitolo 27: SI E’ SEMPRE AL SERVIZIO, MA SI PUO’ SCEGLIERE DI CHI


Capitolo 28: ACCEDERE ALLA VERA REALTA’


Capitolo 29: L’UOMO E’ IL MODO IN CUI DIO E’ IN QUESTA REALTA’


Capitolo 30: INTERVENIRE NEL TEMPO E OLTRE IL TEMPO


Capitolo 31: COME VEDERMI SE POSSO VEDERE SOLO DI FRONTE A ME?


Capitolo 32: DARE VITA ALLA VITA


Capitolo 33: LO SCOPO DELLA TUA INTERA VITA


Capitolo 34: IL VANGELO PORTA AL DI LA’ DI TUTTO, ANCHE DEL VANGELO


Capitolo 35: SE LA CONOSCENZA E’ UN PONTE, DEVE ESSERE SUPERATA


Capitolo 36: DOVE PUO’ NON ESSERCI LA VITA?


Capitolo 37: STRUMENTI CHE SI HA E CHE SI E’


Capitolo 38: VEDERE LA SEPARAZIONE PER VEDERE L’UNIONE


Capitolo 39: RISPONDERE ALLA DOMANDA “CHI SONO?”


Capitolo 40: IL TESORO


Capitolo 41: IL SE’ E’ L’UNICO MAESTRO PER… SE’


Capitolo 42: L’INEVITABILITA’ DELL’AMORE


Capitolo 43: L’INDEFINIBILE CHE STA DIETRO AL DEFINITO


Capitolo 44: LA COSCIENZA PRODOTTA O PRODUTTRICE


Capitolo 45: VIVERE CON E SENZA COSCIENZA


Capitolo 46: QUANDO SI SPIEGA L’INSPIEGABILE


DICHIARAZIONE FINALE: AUTOSCIAMANO





05/07/23

AUTOSCIAMANO - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo finale

Qui di seguito il quarantasettesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


AUTOSCIAMANO




Il compito che io sento di avere (e quindi il mio scopo come artista) è quello di accompagnare le persone verso altri mondi. E intendo come “altro mondo” una realtà nella quale la coscienza sulle cose che si vivono e ciò che si è muti in un’apertura che vada oltre il porre differenze, divisioni, definizioni e preferenze come avviene invece per consuetudine nella quotidianità; un mondo che per tale libertà e assolutezza si è certi che sia la vera realtà. Con l’arte, non si hanno dubbi: tale “trasferimento” non è nel fisico, nelle coordinate di dove si sta, ma nella cognizione che si ha della realtà e di sé.
Non potrei attribuire termini come “sciamano” o “guaritore” a me oppure alla mia produzione artistica. Il motivo è che nel mio percorso devo sempre riconoscere che ad agire vi è qualcosa di immensamente più grande, di cui, quindi, il mio operato permetterebbe “solo” la sua manifestazione. È a quello, cui rivolgo la mia fede, non alle mie capacità, le quali sarebbero sostanzialmente degli strumenti. Ciò che esce dal mio atelier e i libri che scrivo sono ovviamente frutto del mio operato, della mia elaborazione, delle mie conoscenze e abilità, ma non ne sono io l’autore; perlomeno finché permetto che questo canale rimanga aperto riconoscendo che se mi basassi solo su quello che sono e conosco, i miei lavori sarebbero, appunto, già visti e riconoscibili. E non potrebbero raccontare di quel mondo che sta oltre il già visto e il conoscibile.
Se si lavora nell’arte, bisognerebbe adoperare la creatività e questo non è così ovvio. Infatti, un artista può anche creare qualcosa investendo maggiormente nella logica e nel calcolo; proprio come si fa nella vita di tutti i giorni, ad esempio per trovare soluzioni più convenienti e che vengano meglio accolte dagli altri. Qui non si vuole fare preferenze di un comportamento rispetto a un altro, indicare come positiva la “mente creativa” e negativa quella più logica e rivolta al materiale. Entrambe sono utili, cioè sono efficaci mezzi che l’uomo ha in dotazione: per poter riuscire nell’ordine della società è indispensabile far uso della mente logica, come di quella creativa per trovare soluzioni innovative, creative e che travalichino il prevedibile. Un creativo, difatti, è colui che ha fede che vi è comunque sempre un’armonia in ogni cosa, anche se dovesse essere in un contesto o un evento dal quale la mente logica vi vedesse solo disordine. Ciò sia a livello di esperienza personale come quando si entra in un bosco e si riesce a sentire che il caos della vegetazione è in verità un ordine, sia a livello globale con eventi che ci travolgono indistintamente come la crisi dovuta dalla Covid-19.
Seppure dobbiamo ammettere che l’evento della pandemia è globale, questo coinvolgimento non è uguale per tutti. La differenza sta proprio nel modo in cui si concepisce la realtà, ovvero in quanto ci affidiamo alla mente logica e quanto alla mente creativa, alle proprie forze e conoscenze e a quanto possa esserci oltre alle proprie forze e conoscenze. A questo punto, si può affermare che creativo non è solo chi lavora nell’arte, come razionale non è solo chi fa un lavoro meccanico e sempre uguale. Creativo lo è chiunque agisca affidandosi alla mente creativa e in questo modo può portare sé e chi gli sta attorno a percepire qualcosa “oltre”. Un artista, allora, se realizza immagini (le quali possono essere espresse anche attraverso prodotti che non sono fisicamente immagini come azioni, idee, ecc.) in modo creativo è sempre spirituale. Tuttavia, nel mio lavoro voglio che chiunque colga l’equivalenza tra le possibilità dell’artista di andare oltre al consueto (e al senso comune, a volte) e quelle di chiunque nel momento in cui si dedica a qualcosa con mente creativa. Quest’ultimo potrebbe non avere gli strumenti per realizzarlo in modo efficace o simbolico come un artista, però tra di loro non vi sono ulteriori differenze come a dire che entrambi hanno le stesse possibilità creative perché provenienti queste dalla stessa mente creativa. Quello che cambia, al massimo, è quanto a essa ci si lascia andare e se ne seguono le intuizioni.
Allora, creatività ha proprio direttamente a che fare con la capacità di creare, che, al di là di una effettiva produzione di oggetti (come nel caso di un artista visivo), permette di sperimentare una realtà che va oltre appunto differenze, divisioni, definizioni e preferenze. E se non sussistono limiti, il creativo diventa creatore, senza confini e senza la possibilità di respingere alcunché. Unità e totalità: ognuno può riconoscere così di essere (anche) tutto quello che vorrebbe essere; lo è già, non deve fare nulla per ottenerlo riconoscendosi come l’autore di cui inizialmente si credeva solo uno strumento. Ognuno sarebbe pertanto responsabile per ogni cosa nella propria vita individuando un senso anche laddove prima c’era solo caos. La condizione di unione comporta, pertanto, una salute fisica e psicologica, poiché l’individuo si crea il problema e anche la sua soluzione, non può incolpare nessuno o cercare aiuto altrove: non servirebbe, allora, andare a cercare sciamani o guaritori perché ognuno lo è già.
“L’autosciamano” è colui che non si identifica in qualcosa di definito o preferito, neppure in se stesso; egli non ha nome e sa che non è circoscritto in quanto di sé può essere percepito dagli altri, come il proprio corpo, la personalità o quanto vi è indicato nel suo documento d’identità. Appare e vive proprio come tutti, esattamente la stessa vita che conduceva prima di raggiungere la vera realtà, il nuovo mondo; ciò che cambia è la sua coscienza, e quindi la sua cognizione su ogni cosa. Egli, innanzitutto, sa che non vi è alcuna limitazione percependosi parte integrante di quell’armonia che è alla base di un ordine universale, come se l’intero universo partecipasse a un unico singolo evento. Essendo costantemente consapevole di questo evento, ne è inevitabilmente presente e parte attiva, e questo può essere fruito da chiunque e da qualunque cosa sia a contatto con lui. Anche se dovesse isolarsi poiché qualsiasi cosa dovesse succedere o non succedere è parte di questa globale compartecipazione. La quale, per chi si crede di essa uno spettatore la interpreta come “guarigione”, altrimenti sarebbe “divertimento”. L’autosciamano è la conseguenza della pratica fin qui esposta.
Questo non significa che l’autosciamano possa compiere qualsiasi cosa malgrado i confini oggettivi della realtà, ma che il semplice esserci, viverci permetterà che in essa verrà suscitato un percorso creativo tagliato su misura. Come potrebbe esserci un limite se anche il proprio corpo, la propria mente e le proprie capacità non vengono ritenute delle barriere vere e proprie?
Per poter mettere in scena l’autosciamano bisogna far avvenire una concordanza, quindi, in un modo non palese, esoterico potremo dire, è come se il praticante considerasse la costante esistenza del suo opposto. Sono necessari due attori a dare forma a una parte fisica e a una non fisica; l’essenza assoluta, indefinita e le attribuzioni date dagli altri; il doppio che in realtà è unità e totalità... A questo suo opposto sarebbero quindi attribuibili caratteristiche perfettamente contrarie, contemplando così ogni cosa e annullando così ogni cosa. Ciò non è tanto per simboleggiare una fusione: concretamente, per poter mostrare un individuo singolo autosciamano, è necessario raffigurare due elementi; i quali diventano completi con il terzo attore che è il contesto e che rappresenta l’universo/l’universalità. La scena composta da tutti e tre è un’unica singola entità e un unico singolo evento.
A questo punto, si può finalmente riprendere in mano con più chiarezza quanto fin qui trasmesso per descrivere l’indipendenza del praticante, compresa la sua emancipazione da ogni cosa lo circonda. Ripetiamo anche il termine già usato di autocefalo, come se egli possa essere una chiesa formata da una sola persona, non potrebbe essere diversamente: il coinvolgimento di altri sarebbe un ostacolare la strada sulla quale trovare il proprio personale percorso di scoperta della coscienza. E nella “propria” chiesa, il fedele, mettendo in scena l’autosciamano percorre un rito che non può che essere ideale per lui. Il rito condotto da uno sciamano, possiamo precisare a questo punto, non ha efficacia perché eseguito seguendo le regole fissate o grazie all’evocazione di determinati simboli, ma piuttosto nella fede incrollabile dell’officiante in un equilibro onnipervasivo. Il rituale, allora, non viene realizzato per ottenere quello che si desidera (come una guarigione nell’esempio dello sciamano-guaritore), ma per ristabilire la concordanza a quell’armonia generale e confermare il volerne fare parte. Sarà il ristabilirla, a rasserenare un’unione, come nel corpo per il malato, nel nostro esempio, o nel percorso dell’artista quando si fa accompagnatore verso altri mondi.
Il filo conduttore sarà appunto nella cognizione che si ha della realtà. La convinzione fondamentale si basa sul riconoscere l’individuo come particella determinante del tutto e quindi su di essa agire per condizionare tutto il resto; la problematica che avviene a livello globale è considerata suscettibile di “guarigione”, ma questa può avverarsi partendo da un’azione che si dimostra apparentemente contraria al globale: un confronto intimo nella solitudine (indipendenza) introspettiva mostrata attraverso l’immagine di un processo per farsi autosciamano. Un confronto con sé deve portare a una riunificazione di ogni parte del proprio essere e così poter fare l’esperienza di non aver per forza bisogno di qualcun altro che conduca fuori dalla problematica. Una pandemia come quella che stiamo vivendo, ad esempio, è un momento liminale e l’intera realtà che ne è coinvolta prende la forma di un rito; a questo punto, l’individuo diventato completo può ergersi come il maestro del rito e condursi da sé al di fuori senza dover attendere che l’avidità dei vari leader della nostra società permetta che qualcuno di loro si autoproclami salvatore per tutti. E ciò è possibile nella solitudine per poter temporaneamente vedersi fuori dalla società e quindi, paradossalmente, fuori dalle personali caratteristiche che ci individuano e ci rendono riconoscibili agli altri.
Sarebbe come da immaginare, mettendo come esempio l’autore, Enzo Comin, che la vita che egli ha condotto fino al momento di divenire autosciamano sia in verità una performance artistica da lui interpretata per poter esperire la realtà in cui partecipano gli altri (iniziata nel giorno in cui gli è stato attribuito un nome e quindi una definizione, identificazione). Una performance che avrà termine con la realizzazione dell’autosciamano, che segnerà appunto un rito di passaggio in uno status chiamato “vera realtà” caratterizzato dalla mancanza di fede nei limiti, nelle differenze, nelle definizioni e nelle preferenze; inoltre, sarebbe come se l’autore in questo modo determinasse di non identificarsi nella persona di Enzo Comin così che “Enzo Comin” potrà al massimo essere considerato il personaggio che interpreta e “Enzo Comin” il suo nome d’arte.
Il nuovo essere sarà capace di mantenersi felice, integro e sereno indipendentemente da quello che gli capita attorno. Per raggiungere una simile consapevolezza, l’autosciamano mostrerà di seguire innanzitutto le proprie intuizioni e i simboli che giorno dopo giorno rinverrà. Il passaggio che verrà prodotto può essere quindi descritto come una sorta di viaggio spirituale in cui nulla viene lasciato da parte a eccezione di quello che fino al momento prima della partenza si tratteneva.




28/06/23

QUANDO SI SPIEGA L’INSPIEGABILE - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 46

Qui di seguito il quarantaseiesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


QUANDO SI SPIEGA L’INSPIEGABILE




Siamo giunti alquanto distanti dal nostro punto di partenza. Sono svariate le nuove informazioni scoperte e acquisite. E queste hanno permesso un cambiamento del modo in cui si osserva la realtà. Sono importanti questi nuovi dati perché corrispondono agli strumenti per diventare le nuove persone che saremo.
Tuttavia, questo cambiamento potrebbe indurre di conseguenza a un voltare le spalle alla persona che eravamo. Perché la si potrebbe giudicare in modo negativo o con rimprovero, riconoscendola come il nostro sé caratterizzato da limiti che condizionavano alla sofferenza o a non svilupparci appieno.
Sono proprio le nuove conquiste alle quali si è arrivati a questo punto e le fruttuose informazioni che le hanno facilitate a portare, a volte, a un simile atteggiamento di durezza. Paradossalmente, si imparano le forze propulsive che sono l’accoglienza e il donare ma non le si rivolgerebbero verso di sé. Di questo passo, potrebbe essere una prassi il mantenersi giudicanti, malgrado le tappe fin qui percorse; come se il giudicare servisse a sancire i propri progressi.
Allora, si scoprono inedite visioni sulla realtà e su di sé che possono portare il praticante a un sentirsi forte e orgoglioso come non mai. Atteggiamento a cui potrebbe indugiare nel momento in cui si mette a confronto con chi queste scoperte non le ha fatte. Invece di diventare uno strumento di questa conoscenza che possa così agire attraverso di lui, egli può cadere nella tentazione di adoperarla come una qualsiasi altra cosa utile a sentirsi diverso, migliore, più grande.
Si mette a nudo l’ignoranza nella quale ci si crogiolava fino a poco tempo prima e la reazione verso di lei è di violenza. Come a volerla zittire e relegare nel proprio passato e convincersi di essere sempre stato l’essere che da essa si è innalzato grazie al percorso spirituale.
Atteggiamenti simili sono facili da riconoscere perché portano l’individuo a fare un gran rumore per mostrare che persone nuova è divenuta. Non è un semplice fare sfoggio delle nuove scoperte raggiunte ma un celebrarle e usarle per sopraffare intellettualmente coloro che a esse non sono ancora arrivati. Un po’ come quei divi del cinema che quando vengono intervistati non si trattengono dall’impostare ogni risposta come la più importante che potesse mai essere data.
Sono sempre impressionato quando ho a che fare con persone che si considerano autorizzate a fissare definizioni su argomenti spirituali che per significato dovrebbero invece essere sconfinati. Siamo giunti fino a qui perché ci siamo impegnati a lasciare spazio a qualcosa di immensamente più grande di noi; un rischio, pertanto, è che non appena ciò permette di vedere la luce ci si ponga in mezzo per voler essere noi, la luce. Noi siamo quella luce perché ci investe e risplende quando permettiamo che passandoci attraverso possa giungere agli altri. Proprio come nell’esempio del capitolo precedente fanno l’antenna e il televisore per la trasmissione.
L’umiltà insegnata nel Vangelo non è finalizzata a un qualche tipo di buon galateo. Essa è fondamentale per far sì che questa immensità possa manifestarsi senza ostacoli. I quali sorgono quando il fedele si compiace di quello che ora sa, malgrado sia un sapere possibile grazie a quell’immensità. Questa conoscenza, infatti, non è frutto di conquiste, egli non si è dovuto battere per ottenerla oppure affrontando una qualche fatica o competizione. Addirittura, la conoscenza giunge proprio quando ci si arrende, si smette di preoccuparsi, anche di poterla ottenere. Pertanto, sarebbe come un riconoscersi speciale con qualcosa che in realtà è gratuito e per tutti.
Senza criticare le persone che si comportano in questo modo ma per trarne una lezione, si coglie che la loro è una reazione emotiva all’accorgersi di quanto si era ignoranti. È infatti il motivo per cui rivelano un atteggiamento duro e ostile verso la mancanza di conoscenza; perché sarebbe contro il loro rendersi conto di essere stati profondamente ignoranti fino a un attimo primo. Pertanto, l’accoglienza e la compassione deve essere anche verso di sé, verso il proprio passato. Mentre un comportarsi come degli eccelsi “laureati” in spiritualità quando si intravede finalmente la via significa comportarsi nella maniera egocentrica che aveva permesso l’ignoranza. Se per arrivare alle nostre conclusioni abbiamo dovuto ammettere che nulla in questa realtà può dirsi fissato e immutabile, come poter dire che una cosa sia in un modo definito senza lasciare spazio a un possibile dibattito?
È giusto chiarire nuovamente che nel nostro trattato si è voluto scrivere sotto forma di proposta. E non un mero dare delle risposte per stabilire delle definizioni e delle modalità. Risposte che, come più volte evidenziato, impedirebbero le intuizioni perché forniscono le informazioni che devono essere raggiunte autonomamente.
È così, infatti, che le intuizioni emergerebbero in noi a mostrarci come scardinare il proprio punto di vista sulla realtà. Però, per prima cosa, questo punto di vista deve essere creato e, per di più, in modo personale, non copiandolo da altri.
Vale a dire che anche il “laureato” in spiritualità pontifica delle informazioni che vanno bene per lui. E per lui soltanto valgono (per come egli è) per accompagnarlo alla Verità. Così, il lasciarsi convincere ad aderire a un pensiero formulato da altri è il motivo per cui la gente non realizza personalmente la Verità ma se ne approssima soltanto. Infatti, in questo modo, cercherebbe di imboccare la strada che è ideale per un altro tipo di persona.
Ci sono persone che giungono a Dio attraverso un cammino spirituale e altre tramite un altro oppure qualcosa di totalmente diverso, come una disciplina sportiva, un approfondimento scientifico o uno filosofico. Ma quelle stesse credenze religiose, scientifiche, filosofiche e mentali avranno valore solo temporaneamente, per quello scopo. E cesseranno di averne non appena verranno superate, oscurate, diventando obsolete o impossibili da praticare perché la mente o il fisico (nel caso di una pratica sportiva) cambiano. Le parole stesse che si utilizzano per descrivere l’immutabile sono mutabili. Facciamo attenzione a non sfruttare le nuove informazioni sulla spiritualità per convincerci immutabili e assoluti. Sarebbe come credere che una religione non cambi mai, che un approfondimento scientifico non evolva, che si possa seguire tutti la medesima filosofia o che si possano ottenere record sportivi anche invecchiando.
Allora, l’umiltà ha a che fare in modo diretto con un profondo conoscere se stessi. Umiltà, infatti, vuol dire attenersi a quello che si è, non cercare di essere diversi, qualcun altro: più piccoli o più grandi. L’umiltà è uno dei passaggi principali in questo viaggio per dipanare la parte illusoria, nebulosa di questa realtà. E l’umiltà vera è possibile solo con l’onestà essendo onestamente se stessi e considerando solo quello che onestamente si coglie. Come vedere la vera realtà oltre la nebbia, le illusioni, le bugie se si osserva da un punto di vista, da un sé che non sia completamente onesto? Se io per primo mi mento, le mie esperienze non saranno sincere; quindi non lo sarà neppure quello che potrò carpire.
Questa onestà deve essere rivolta su di sé e tutto attorno a noi, a 360 gradi. Tuttavia, quando si intraprende una ricerca di sé e della Verità, si può finire a convincersi di significati che valgono solo a seguito del personale convincimento, ripiegando in ruoli e idee di sé in cui identificarsi. E questo avviene spontaneamente senza potersi rendere conto se ciò che si crede di sé e del resto sia effettivamente in quel modo. Cioè se lo crediamo o no in modo onesto.
Ecco che si giunge a credersi un amante dell’arte oppure devoto a un cammino spirituale o a uno scientifico senza aver incontrato il vero sé. Il quale è, abbiamo scorto, essere in realtà un mero tramite di un sé più grande e universale. Così, seppure un giorno lo si giungerà a scoprire, nel frattempo ci si identifica in un ruolo, come l’artista, lo spiritualista o lo scienziato. E si crede alle credenze di quel ruolo (come i princìpi dell’arte, dello spiritualismo e della scienza) senza esserle anche diventate. Ovvero, ci si identifica in quel ruolo e si scambiano i suoi princìpi per la Verità (alla stregua di dogmi inviolabili). Quindi, l’errore è nel credere loro la luce e non anch’essi, al massimo, degli strumenti grazie ai quali la luce può manifestarsi.
Così, si finisce per credere che ci sia profondità in un’opera d’arte perché così spiega la Storia dell’Arte; che esista un’anima anche se personalmente non se ne hanno evidenze; che sia possibile giungere un giorno a dare una spiegazione scientifica di tutto ciò che c’è nell’universo; ecc. Quando, sempre utilizzando il nostro esempio, l’artista arriverà a dubitare del senso di un’opera d’arte, il fedele di una religione a non dover per forza credere in qualcosa di cui non può essere certo o lo scienziato in ciò che può misurare, allora si creeranno le condizioni per uno sguardo onesto.
In special modo per quanto riguarda la spiritualità, il fedele può tendere a credere a priori per l’abitudine di accettare come vere le spiegazioni che riguardano l’astratto. Come a dire che se si tratta di argomenti spirituali allora debbano per forza essere incontestabili. È così che ci si può ritrovare a insegnare su cose astratte come onorabili “laureati” senza aver innanzitutto provato in prima persona quanto si racconta.
Se hai incontrato la Verità e la riconosci in te, lascia che sia lei a parlare attraverso di te. Ogni volta che si dà una definizione si fissa l’oggetto della nostra osservazione all’interno dei limiti percepibili, definibili appunto. Se con onestà scruti quanto si può sperimentare dell’immateriale, potresti scoprire di recepire solo la tua coscienza. Perché dovresti sentirti certo di altro? Perché dovresti aver bisogno di altro se è la tua coscienza l’unica cosa che avverti?
È doveroso anche riconoscere che grazie alle moltitudini di varietà e opportunità offerte nella società Occidentale e per il pensiero convenzionale, è abbastanza comune che le persone che vi abitano ritengano quanto abbiamo esposto in questo libro come fantasticheria. Tuttavia, l’alternativa sarebbe una vita dedicata allo sforzo di cercare in tutti i modi di ottenere quanto si vuole oppure allo svilimento personale non giudicandosi all’altezza di un simile successo. Gli ostacoli ai propri traguardi non sarebbero però concreti ma astratti ed evanescenti perché, malgrado quanto si tenti, presentano una qualche forza che impedisce loro di levarsi dal nostro cammino. Questi problemi, allora, sono delle idee e in questo libro abbiamo mostrato proprio quanto sia raggiungibile la felicità e la realizzazione personale a seguito di un processo di rimozione delle proprie credenze. Non supponi che anche tu potrai riuscirci se smettessi di avere fede nelle tue idee, nei risultati che si presume che procurerebbero e ti attenessi solo a ciò che in modo pratico e tangibile puoi afferrare?
Un individuo può anche bollare la fede e la spiritualità come pura immaginazione o superflua; però, se indagasse sul vero motivo che gli impedisce di realizzarsi scoprirebbe che è anch’esso un’immaginazione. Ad esempio, potrebbe vivere desiderando ardentemente di smettere di lavorare e impiegando le proprie giornate solo a viaggiare: non è che ha qualcosa di tangibile, come un muro di mattoni davanti alla porta di casa, che gli blocca il passaggio per partire per davvero; l’ostacolo potrebbe essere, piuttosto, la sua paura di intraprendere una simile scelta. Per l’abitudine di identificare tutto come esterno a noi, egli si giustificherebbe interpretandola come cautela; per esempio, verso la difficoltà di raccogliere i soldi necessari, di lasciare i parenti, gestire le proprie proprietà da lontano e così via. Pertanto, al pari di un fedele, anche lui ha fede verso qualcosa di intangibile.
La differenza è che per lui è qualcosa di imprigionante come la paura.



21/06/23

VIVERE CON E SENZA COSCIENZA - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 45

Qui di seguito il quarantacinquesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


VIVERE CON E SENZA COSCIENZA




I dibattiti scientifici riguardanti se è il cervello a produrre la mente oppure no, interessano marginalmente il nostro viaggio. Se non per arrivare fino a qui, poiché si tratterebbe ancora di un confronto dualistico. Così che per forza bisognerebbe individuare se è questa realtà a dare vita alla coscienza o l’incontrario.
E se invece, allora, coscienza e cervello fossero entrambi due componenti autonome l’una dall’altra? Non possiamo sapere se sia veramente così ma dobbiamo tenere conto che potrebbero avere due esistenze separate. E che solo incidentalmente si sovrappongono in questa dimensione, in misura di quanto liberamente si diviene con progressività coscienti (ci si dedica a cercare la Verità).
Difatti, rispetto all’osservazione dello scienziato, quella del fedele si scosta a comprendere che questa realtà non sarebbe una diretta conseguenza della nostra mente o viceversa. Semmai, questa realtà è una creazione appositamente approntata per cui noi, come esseri umani, possiamo realizzare di essere una coscienza. E, successivamente, non solo quella ma la Coscienza Unica e Universale, senza secondi. Infine, in modo naturale, sarebbe poi l’essere la Coscienza che collateralmente ci permetterebbe di creare e modificare la realtà. Poiché ogni cosa è appunto un prodotto della Coscienza.
Non appare più fuori luogo, a questo punto, riconoscere la coscienza autonoma: fuori dal tempo e dallo spazio. Tutti quanti abbiamo fatto esperienze che possono essere la prova di quanto la nostra coscienza travalichi questi limiti. Come un presagire, un pensare cose legate a fatti che avvengono altrove o che si capiranno più avanti, sognare eventi che hanno luogo in altri posti o in altri momenti e anche esperienze più complesse, tutte finora sintetizzate nel nostro trattato con il termine “intuizione”.
Questa non è una speciale capacità che ha la nostra coscienza ma è il modo in cui essa è. E la coscienza è noi, malgrado con il termine “io” si ha la consuetudine a identificare il corpo e la mente che qui delineiamo essere il supporto che la coscienza (il sé) adopera per interagire ed esperire in questa dimensione.
Si deve lasciare spazio all’intuizione che a partire da questo punto di vista ci fa accorgere che malgrado ogni essere umano sia dotato di un corpo e una mente, ne cambia l’esperienza a livello di coscienza. Ovverosia, a seconda di quanta coscienza (altrimenti chiamata Dio o energia divina, vitale) si ospita in sé.
Ogni uomo nasce dotato di un corpo e di una mente ma con la pratica del Vangelo abbiamo riconosciuto come arrendersi a qualcosa di più grande di tutto ciò. Già in passato, questo qualcosa veniva intravisto come “Dio” e poi precisato come pura coscienza universale. Infine, viene realizzato che questa coscienza è l’unica coscienza e quindi (anche) la nostra coscienza individuale. La quale, attraverso la nostra soggettività, comprova l’adesione, aderenza e servizio al Divino.
Allora, più un individuo permette le condizioni affinché questa coscienza universale è in lui ospitata e agente, e maggiormente egli sarà personalmente cosciente e consapevole. Il contrario è invece una persona che rivolgerà le proprie attenzioni e attrazioni verso il materiale. Pertanto, la presenza della coscienza influenza quanto individualmente si arriva a credere all’autenticità ed esclusività della realtà mondana.
L’esperienza in questa realtà sarebbe sì possibile attraverso una presenza particolarmente vivace della coscienza, ma anche con poca coscienza oppure in sua totale assenza. L’essere umano può procedere in una vita senza coscienza ma comunque consapevole, perlomeno di quanto egli possa divenire consapevole: le cose più basse, il materiale, la mondanità. Ciò è possibile perché il corpo e la mente sono gli strumenti ideali per esperire in questa realtà e chiunque, come spirito, può finire per identificarsi nel corpo e la mente che sta usando. Tant’è che questa persona faticherà a captare qualcosa che si innalzi sopra al suo essere cosciente per mezzo della percezione sensoriale e le pulsioni del corpo.
Questo non deve lasciare adito al pensare che ci siano uomini di serie A e altri di serie B, a seconda di una presunta consapevolezza, evoluzione o realizzazione. Tutti, a seguito delle proprie scelte e virtù (si veda quanto mostrato nel percorso di pratica del Vangelo) siamo predisposti a perfezionamento parimenti a come siamo cagionevoli di retrocedere. Tutti abbiamo vissuto svariate volte episodi nei quali la propria coscienza è stata più o meno sospinta in avanti o ostacolata.
Inoltre, è sempre la medesima coscienza, la stessa vita: non può sussistere una gara fra le persone a seconda del personale livello di coscienza. Piuttosto, il maggior flusso di coscienza dovrebbe portare l’individuo ad avere compassione verso coloro che non sanno di goderne e preoccuparsi per migliorare il loro stato. Il quale è direttamente collegato a un far indurre ad accorgersi della vera realtà.
Un’attitudine virtuosa quando si prendono le decisioni, una esistenza altresì scandita da una pratica del Vangelo, favorisce la fede che qualcosa di più grande di noi agirà. In noi, tramite noi e realizzando così la presa di coscienza sulla vera realtà. La pratica del Vangelo, allora, potrebbe essere immaginata alla stregua dell’allenamento ginnico per lo sportivo. Maggiormente egli è costante negli esercizi fisici e più il suo stato e la sua salute miglioreranno. I muscoli diventeranno più forti, abituati al sano movimento e pronti all’azione. Così la pratica della coscienza porterà più possibilità all’accorgersi della coscienza stessa. Fino al riconoscersi in essa quando la si vedrà come l’unica e globale.
Se usiamo ancora la metafora dell’attività fisica, possiamo paragonare le persone con più o meno coscienza a quelle che in modo diverso si allenano negli sport. Benché tutti abbiamo un corpo fatto di muscoli, solo chi lo adopera in modo sano e attivo svilupperà una struttura prestante e forte, mentre chi non vi si dedica lo trascurerà abituandosi al facile affaticamento e alla pinguedine.
In realtà, la coscienza è sempre la stessa, come sappiamo, e unica. Quindi non varia per davvero da persona a persona ma, come più volte suggerito attraverso altre immagini: ognuno ne diventa un differente ricevitore. L’innalzare in sé un’antenna per captarla e ravvivarla come il contrario, ha a che fare con le scelte personali. Essa esiste a prescindere da noi, la nostra condotta condiziona solo la misura e la qualità del goderne. Per riceverla, non ci sono limiti personali dovuti a come è il proprio fisico o la propria mente ma, piuttosto, alle proprie convinzioni. Ovvero, a causa del personale livello di consapevolezza sulla realtà e su cosa vi starebbe dietro. È un personale prendere coscienza della coscienza che essa diventa ulteriormente ricevibile e fruibile.
Questo, come abbiamo già lasciato intendere in precedenza (specialmente nel libro "Vangelo pratico"), è la misura anche di quanto si può accogliere della vera realtà. Cioè, del vero mondo, la vera vita che è quell’unica e universale coscienza. Essendo caratterizzata da totalità e pertanto illimitatezza, essa viene ricercata, anche per mezzo delle modalità trattate, per poter accedere a una fonte inesauribile di quanto egoisticamente si potrebbe desiderare. In altre parole, invece di cercare di integrarvi per assurgere al vero sé che è oltre a questa realtà, riempirsi di quei fattori che possono conseguire un “ingrandirsi” in questo mondo. Come, ad esempio, far fluire verso sé abbondanza di ricchezza materiale, ammirazione o potere sociale.
La dinamica è sempre la medesima e l’invisibile può essere così sfruttato come si potrebbe fare per qualsiasi cosa che si ricerca per trarvi un vantaggio. Per orientarsi, il praticante del Vangelo sa che per lui la prassi da ricercare è solo una: l’amore. E, così, a causa dell’amore verrà facilitata una sorta di desensibilizzazione verso l’ansia di ottenere la soddisfazione dei propri desideri.
Pertanto, è come se il mondo, questa intera realtà, venisse sperimentata piuttosto come palestra per poter così sviluppare i “muscoli” per la personale esperienza che introdurrà al Divino. Traguardo che si raggiungerà con il prendere coscienza di noi e di Dio, che equivale a conoscere la Verità: chi è “io” e chi è ciò che non è “io”.
Nel precedente libro, abbiamo sfruttato, per aiutarci a capire, la metafora in cui l’essere umano in confronto a Dio è come una cellula integrata nel corpo che sta costituendo. A questo punto, è come se la nostra cellula abbia fatto un percorso di consapevolezza di sé da permetterle di vedere come stanno veramente le cose. Ossia che la cellula e l’organismo intero non sono due elementi separati seppure la cellula abbia una propria vita distinta e si veda così indipendente dal resto del corpo. Cellula e corpo sono la stessa cosa, lo stesso essere: un’unica struttura, composta ma pura.
L’incontro con Dio non può avvenire finché si crede Dio qualcosa di separato da noi. Come se fosse altro rispetto a noi, un’altra cosa o un’altra persona che bisogna ricercare oppure richiamare perché altrove. Questa scoperta, allora, non avrà luogo andando da qualche parte o rivoluzionando chissà cosa. Dovrà succedere guardandosi allo specchio.





14/06/23

LA COSCIENZA PRODOTTA O PRODUTTRICE - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 44

Qui di seguito il quarantaquattresimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


LA COSCIENZA PRODOTTA O PRODUTTRICE




Nel nostro trattato, abbiamo parlato di coscienza intendendola come il sé osservante. Quella che in percorsi spirituali che fanno più attenzione a un lessico canonico viene forse chiamata “anima”. È chiaro che non si è mai adoperato il termine “coscienza” nel significato dato dal materialismo: un’attività mentale come diretta conseguenza del cervello. Il materialismo fa sorgere ogni cosa dal fisico e se ne studia solo quanto si deduce dalle evidenze materiali. Nel caso della mente, riconosce che ogni pensiero, emozione e sentimento siano un prodotto del lavoro del cervello. E malgrado a tutt’oggi non esistano prove di ciò, sia l’uomo comune che lo scienziato e il medico indugiano spesso ad avere una visione dell’interiorità influenzata da questa supposizione.
Ecco che da questo punto di vista la propria coscienza sarebbe il risultato di attività neuronali, chimiche, oscillazioni elettriche e quant’altro. Così che da questo dipenderebbero lo stato mentale, la personalità e le proprie decisioni. Se ne deduce che per la scienza materialista non esiste il libero arbitrio e la vita di una persona è limitata alla vita del proprio cervello.
Tale approccio scientifico confida che giungerà un giorno in cui verranno rinvenute prove innegabili su queste ipotesi. Per ora, c’è solo la congettura che le attività mentali sembrerebbero essere ospitate nel cervello e conseguentemente le due cose dovrebbero essere anche collegate. È probabile che il cervello permette i pensieri ma non si ha idea di come dovrebbe succedere. Non si conosce neppure come la memoria funzioni e dove dovrebbero essere archiviati i ricordi.
Si è constatato, infatti, ad esempio, che se un individuo subisce un danno nella parte del cervello che si sa coinvolta nel registrare una tipologia di ricordi, egli potrebbe comunque continuare a ricordare quei ricordi quando invece dovrebbe essere logico che ciò non fosse più possibile. Lo stesso vale per altrettante attività cerebrali e per varie tipologie di lesioni e alterazioni. Inoltre, i nostri ricordi sono mantenuti malgrado le cellule del cervello (come quelle del resto del corpo) muoiono e vengono sostituite.
Oggigiorno si è nelle condizioni di riuscire a individuare con esattezza quale area del cervello si attiva quando il paziente sotto osservazione fa un determinato pensiero. Questo dovrebbe portare come ovvia deduzione che l’attivarsi di quell’area permetta l’azione del pensare. Ma come faremmo a esserne veramente certi? Per via delle discrepanze notate fra attività mentale e cervello, potrebbe essere vero anche il contrario. Ovvero che è l’azione del pensare che fa accendere quel punto del cervello.
Questo genere di domande sono poste da quegli scienziati e medici che non accettano di buon grado il continuare ad archiviare come irrisolvibile per le nostre conoscenze attuali tutti quei casi che mostrano un’attività mentale indipendentemente dallo stato del cervello. Infatti, in molti pazienti continuano a venire registrate attività quando, secondo le teorie, a seguito di lesioni o malattie non dovrebbero.
Oltretutto, molti pazienti riferiscono di essere coscienti anche quando il cervello appare disattivato, come in una situazione di coma, infiammazione, malattia o morte apparente. Questo essere presenti spazia da un avere coscienza di quanto accade loro, pure osservandosi da un punto di vista esterno al proprio corpo, fino a vivere vere e proprie esperienze altrove. Quelle che in passato un neurochirurgo giudicava essere dei meri sogni o banali rimescolamenti di attività mentali, oggi non possono che essere tenute in considerazione proprio grazie ai progressi che la neurochirurgia ha fatto tramite l’analisi e la tecnologia adottata. Queste, infatti, mostrando che vi è assenza di attività cerebrale dovrebbero logicamente anche confermare una assenza di attività mentale. Il fatto che ciò non sia così scontato è la prova che non vi è un collegamento tra mente e cervello come ci si aspetterebbe. Di certo, la mente non è una conseguenza del cervello, non è un suo prodotto. Anzi, essa esisterebbe a prescindere dal cervello, ma grazie ad esso, la mente (e la coscienza) può manifestarsi.
Per questa dinamica e per la sua struttura, sarebbe allora appropriato vedere il cervello come atto a ricevere la coscienza, come un’antenna, e renderla trasmissibile, come un decodificatore. Abbiamo finora considerato la propria coscienza come l’unica e universale coscienza; il cervello, quindi, non potrebbe permettere l’esperienza adattandola alla soggettività dell’individuo e ai limiti dello spazio e del tempo di questa dimensione? In effetti, se la coscienza è universale e onnipervasiva, perché possa fare esperienza in una realtà personale e limitata, il cervello ne sarebbe il perfetto filtro. Proprio come fa il rubinetto che regola un flusso altrimenti incontrollato.
Difatti, quando maggiormente è reso latente il cervello, un’esperienza di pura coscienza è possibile. Esperienza che è caratterizzata quindi da assenza di limiti spazio-temporali e conoscitivi. Proprio come liberamente ci si accorge di fare nelle porzioni che ricordiamo dei sogni, nei pensieri in coma, nella serenità della meditazione. Queste esperienze, pertanto, non sarebbero perdita di coscienza, come usualmente vengono considerate, ma il perfetto opposto. Quando si sogna, saremmo i veri noi allo stato puro, senza l’orpello del fisico; anche quello è vivere, seppure su uno stato diverso. Quello che si crede di aver sognato durante un coma, potenzialmente sarebbe una diretta esperienza della coscienza unica e universale che siamo, proprio in misura della disattivazione che si sta in quel momento vivendo del collegamento con il corpo e con il cervello. Cosa che avviene, infatti, anche nei pazienti in cui non sarebbe possibile alcun sogno (alcuna attività mentale) a causa dello stato di salute del cervello. Il cosiddetto coma vigile, addirittura, caratterizzato da una reazione fisica a stimoli esterni, non denota affatto lo stato di coscienza perché, come finora attestato, il corpo (e quindi neppure il cervello) è collegato in modo inscindibile alla coscienza.
Gli neuroscienziati, difatti, sanno che non possono esimersi dal notare che anche una persona che per un certo lasso di tempo non dà cenni di attività cerebrali o è a tutti gli effetti morto, quando poi, eccezionalmente, ritorna a uno stato cosciente racconta che, in realtà, cosciente lo era anche in quel periodo di apparente assenza. La coscienza esiste e persiste indipendentemente da quello che succede al corpo. Così, come si rimane coscienti quando si dorme e quando si è in coma, lo si rimane anche quando si muore. Noi siamo la nostra coscienza, quindi dovremmo precisare che è il corpo a dormire, andare in coma e morire, non noi. Allo stesso modo di quando in alcuni capitoli precedenti si palesava la visione della (nostra) coscienza come esistente sia prima, che durante e pure dopo la persona che siamo in questa realtà.
Allora, la realtà fisica oggettiva è in un modo perché quello è il modo in cui pensiamo che sia, così che essa cambia a seconda di cosa crediamo, oppure i nostri pensieri sono invece condizionati dall’ambiente che ci circonda? A queste osservazioni, gli scienziati che non si vogliono fermare alle spiegazioni materialistiche ne propongono una ipotesi opposta. Che è la coscienza ad animare il cervello e quindi anche la persona e non viceversa. Tramite i propri pensieri, l’uomo definisce il mondo e lo arricchisce di significati, non sarebbe il mondo a condizionarlo. La coscienza finirebbe per parassitare il corpo creando una simbiosi perfetta che rende possibile l’esperienza in questa realtà. Il cervello fungerebbe come ponte di unione tra la coscienza infinita e un mondo finito decodificando e traducendo due linguaggi altrimenti inconciliabili.
Quindi, la coscienza sarebbe davvero indipendente dal cervello e dalle attività mentali? Per capire meglio, il cervello può essere paragonato all’antenna ricevente di un televisore. La coscienza è il segnale che porta la trasmissione ed esiste anche se il televisore è spento, funziona male o non dovesse avere un’antenna. Inoltre, il segnale è unico e universale per tutti i televisori, proprio come è la coscienza: benché possa essere ricevuto da innumerevoli televisori, non è che esisterebbero realmente tante trasmissioni quanti sono i televisori. Sono le antenne a permettere che il segnale venga incanalato e il televisore a decodificarlo. Dopodiché, la trasmissione avrà luogo in modalità e contesti ogni volta unici.
A questo punto, tuttavia, ci accorgiamo che non dobbiamo cedere alla tentazione di considerare che il televisore sia un involucro spento senza trasmissione. Proprio come poco sopra si arrivava a dedurre la mente come creatrice della realtà. Pure il televisore, infatti, esisterebbe indipendentemente dalla capacità o meno di decodificare e trasmettere il segnale. Ovvero, l’essere umano esiste anche quando impedisce alla coscienza di prendere spazio dentro di sé. Proprio come si è affermato che il contrario, cioè l’arrendersi alla coscienza universale, non impedisce all’essere umano di vivere da essere umano come chiunque altro. Uno può esistere come un “televisore” sbiadito e l’altro come sgargiante e in alta definizione. Tant’è che in tutti i capitoli si è ripetuto che quello che possiamo fare al massimo come esseri umani è (per utilizzare lo stesso esempio) diventare televisori che permettono una perfetta trasmissione. Questo è il servizio più alto che possiamo fare alla coscienza, a Dio.