26/10/22

LA CONOSCENZA - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 11

Qui di seguito l'undicesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA

che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato. 


LA CONOSCENZA


La difficoltà che si avverte contenuta in questi capitoli è, in realtà, proporzionata a quanto siamo tutti orgogliosi delle nostre capacità mentali. E con queste riuscire a capire ogni cosa e a registrarne delle evidenze con le percezioni sensoriali. Scordandoci, pertanto, che l’intelletto e i sensi del nostro corpo non sono assoluti come sarebbe necessario per alzare totalmente il velo su Dio. Essi funzionano egregiamente in determinate situazioni, abbiamo dovuto ammettere; per accettare il mistero di Dio e viverlo, bisogna lasciarsi andare.
Non deve quindi essere sollecitata l’idea che non ci sia conoscenza o che essa, semplicemente, non la si possa intendere. Può essere, invece, stimolata in ognuno di noi e trasmessa così, in misura completa o parziale, l’un con l’altro. Ciò avviene non solo in una dottrina ma anche senza rendersene conto, con l’esempio.
La Chiesa è utile per diffondere e far echeggiare i simboli, la sapienza e i riti che portano in sé tale conoscenza. Infatti, la Chiesa dovrebbe permettere che ognuno possa diventare un Cristo senza timore di perdere la propria posizione di detentrice della conoscenza. Diventare un Cristo, difatti, comporta un’insensibilità verso qualsiasi forma di gerarchia per il semplice non fare preferenze fra gli uomini. È come se ogni fedele a quel punto diventasse autocefalo, ma questo non si porrebbe in disaccordo con la Chiesa. Proprio perché il fedele arriverebbe a un risultato di indifferenza verso confini e gelosie che si potrebbero rivolgere alla conoscenza, la quale gli apparirà invece rilevabile in ogni cosa. Tuttavia, la Chiesa, se riconoscesse tali traguardi, dovrebbe serenamente passare poi oltre a chi non è stato a sufficienza sollecitato dalla sua sapienza. Così, mentre i “Cristi” renderanno concreto il Regno di Dio per il solo esserci, la Chiesa dovrebbe permettere le evoluzioni delle altre persone in successione.
I propri pensieri e quanto si registra con i sensi possono essere per l’uomo un ostacolo anche perché lo indurrebbero a credere a maestri ed esperienze che propongono risposte, soluzioni intellettuali e prove tangibili. Ovvero, maestri che in realtà non sono maestri ma figure attorno alle quali potersi raccogliere in un gruppo in cui riconoscersi. Eppure, proprio per questo motivo, l’intelletto e i sensi possono essere un lasciapassare per un altrove, quando si è convinti che tutti possono realizzare Dio, divenire dei “Cristi”.
Si può comprendere meglio se sfruttiamo come esempio uno degli elementi più controversi per il suo stare al confine tra reale e astratto, convenzione o presenza tangibile: il tempo. Si sa che il tempo è un’invenzione per così ripartire le giornate, le stagioni e dare ordine alla vita. Sappiamo anche che seppure è calcolato dal movimento della Terra e reso veridico da orologi perfetti, ognuno lo percepisce come vuole. Addirittura, si è osservato che il tempo scorre oggettivamente più o meno veloce a seconda dell’altitudine da cui si guarda l’orologio. Infatti, la teoria della relatività dice proprio che non esiste tempo assoluto ma varia a seconda del punto di vista dell’osservatore. Figuriamoci, quindi, se si registrasse il passare del tempo facendo un confronto con il moto di altri pianeti o con le alterazioni che subiscono i nostri astronauti nel cosmo per le enormi accelerazioni e rallentamenti.
Ebbene, in realtà, il tempo esiste, è unico e questo è Dio. Non si intende ovviamente il tempo cronologico che è stato inventato per far quadrare l’orologio e il calendario. E che, come accennato nel capoverso precedente, è soggetto alle leggi fisiche che subisce l’osservatore; le quali sono costantemente in mutazione per la continua mutazione dell’universo intero. Quello non è il tempo reale, ma sono soltanto gli effetti sulle forme (sul fisico) al suo trascorrere. Che, a causa della durata breve delle nostre vite, siamo abituati a vederlo come una linea che va da un punto a un altro (dalla nascita alla morte). In realtà, il tempo è costante, presente ed eterno: è ciò che sta sottostante a quanto consideriamo mutevole a causa sua (o che invecchia e muore, dal punto di vista dell’uomo).
Indipendentemente da come reagiscono i corpi, come si muovono le galassie e si ravvivano e spengono le stelle o arrivano a un esito le nostre faccende, il tempo non passa. Quello che passa è tutto il resto, quindi, quello che ci sta “sopra”. Come per il tempo di una data musica che è sempre lo stesso, malgrado il modo in cui viene suonata, gli abbellimenti e i virtuosismi; in qualsiasi momento si ascolti, quella musica sarà, infatti, riconoscibile proprio perché il tempo la caratterizzerà sempre.
Perciò ha senso l’accostare queste spiegazioni sul tempo a Dio. Il tempo è quanto in me non muta con il passare del tempo (l’idea del passare del tempo). O meglio: ciò che in me non muta con il trascorrere del tempo terrestre (come l’invecchiare del corpo) sta seguendo lo scorrere di un altro tempo che è immutabile, costante. Che è slegato dal punto di vista dell’osservatore e quindi a quanto gli capita soggettivamente, è superiore e riferibile a tutto: un unico supremo eterno attimo. Il mio invecchiare, perciò, è solo un mero reagire collaterale del corpo.
La parte di una persona che non muta ovviamente è da intercettare al di sotto di tutto quello che può mutare, o con un cambio di opinioni ed esperienze o con il decadere del corpo. Quindi, quell’essenza che, malgrado le personali scelte, le varie vicissitudini e disorientamenti, non cambierà mai. Essere consapevoli di sé, attraverso la pratica del Vangelo (come maggiormente espresso nel libro precedente) è un intonarsi a questo metro, un andare al giusto (proprio) tempo.
Come esempio, basta guardare un giardino e non è un caso che si pensi alla musica, all’armonia. I vegetali, infatti, seguono la vita senza metterla in discussione. Essi si inseriscono in un vero e proprio concerto grazie al quale possono adattare al meglio il proprio sviluppo. Essi non esprimono preferenze, ma tendono soltanto ad adattarsi al meglio al loro habitat.
Ogni pianta replica se stessa germinando in una nuova pianta attraverso l’impollinazione, la produzione e aspersione di un seme oppure nello staccarsi di un pezzo di sé, come un ramo, che cadendo al suolo attecchirà nuovamente (clonazione). Pertanto, ogni pianta è come se fosse sempre la medesima che si ripropone, la stessa vita che procede estendendosi a partire dalla prima pianta. Tale contesto era stato suggerito anche nel precedente libro per indurre al parallelismo con l’essere umano. Pure l’uomo, infatti, sta portando avanti sempre lo stesso essere umano, inteso come il medesimo fluire di vita a partire dalla prima coppia.
Siccome i vegetali sono di una specie e addirittura appartenenti a un regno diverso rispetto a quello dell’essere umano, a noi che osserviamo, gli esemplari dello stesso tipo di pianta sembrano uguali. Ma lo stesso parere scopriremmo esserci nell’osservare l’essere umano, se potessimo conoscere il punto di vista di qualcuno che sia di un’altra specie. Noi ci consideriamo giustamente tutti diversi per aspetto, personalità e intelletto; e questo ci induce anche a vederci come esseri distinti. Cosa che non è, siamo ora tentati di credere; pure perché la medesima congettura la si potrebbe fare considerando tutte le altre specie di animali guardando dal loro punto di vista.
Inoltre, anche a causa dell’immensa mole della popolazione mondiale, non viene spontaneo ricordarci che saremmo tutti consanguinei. Allora, per aiutarci, osserviamo per un attimo come si comportano le piante e gli animali. Se si analizzassero due esemplari della stessa specie di una pianta o di un animale, vedremmo che si comporterebbero pressappoco in modo uguale anche se collocati in situazioni e luoghi completamente diversi. Certo, una pianta si svilupperà di più rispetto all’altra in risposta a una maggiore esposizione solare e i due animali sopravviverebbero in misura della quantità di cibo da loro ottenibile. Ma quello che ci interessa per la nostra analisi è più profondo, si tratta dei caratteri loro dominanti che rimarrebbero pervasivi. Così come gli uomini conducono la vita con medesime leggi seppure abitanti in nazioni e classi sociali opposte.
Si è studiato che quando un esemplare di una specie impara qualcosa di nuovo, anche altri esemplari della sua specie acquisiscono poi quell’informazione. Così, ad esempio, in modo indecifrabile, se un animale scopre una nuova modalità più efficace per cacciare la preda, da quel momento in poi pure gli altri individui della sua specie inizieranno a cacciare in quel modo. Seppure non hanno alcun contatto fra di loro e vivono in regioni non comunicanti. Questa reazione che porterebbe a ipotizzare una connessione che superi le barriere dello spazio e del tempo è stata osservata in vari animali, che esista pure nell’uomo?
Una spiegazione che è stata proposta è che è come se si potesse accedere a una sorta di coscienza comune. Un’area raggiungibile con la mente dove sono contenute informazioni che così diventerebbero a disposizione. Al di là di questo, quello che noi intuiamo è che ciò sia proprio il tempo spiegato poco sopra. Gli esseri vivono senza tempo perché il decadere del corpo non è una questione legata alla vita, è solo un processo chimico e fisico. E vivono senza spazio, in quanto sono tutti interconnessi indipendentemente dalla loro posizione geografica.
Anche l’uomo, pertanto, è eterno e ovunque, e questa caratteristica di eternità e onnipresenza è divina. Malgrado, quindi, la condizione del proprio corpo gli dimostra il contrario: l’essere umano ha in questa presenza dell’infinito una presenza di Dio.




19/10/22

ESSERE IL PROPRIO SE’ O LA PROPRIA OMBRA - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 10

Qui di seguito il decimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA

che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


ESSERE IL PROPRIO SE’ O LA PROPRIA OMBRA


Rimanendo nel proposito di conoscere il vero continuando l’analisi senza cadere nelle trappole di pensare a Dio come a una persona, ripetiamo una Sua caratteristica fondamentale. Questa è il suo aspetto onnipervasivo, che non deve essere limitato a nulla: né allo spazio, né al tempo. È il vivente, è tutto ciò che esiste; pertanto, ciò che non esiste non è Dio e lo ha dovuto creare. L’universo è stato creato, infatti esso e l’essere umano che lo abita sono una immagine di Dio, abbiamo puntualizzato.
Come risultato, l’uomo può a sua volta ottenere quanto necessita creandolo oppure richiedendolo al Creatore. Anzi, se ci si fa caso, le persone sono più propense a chiedere quanto necessitano piuttosto che crearselo. Questo, come già suggerito, è per via della facilità nel credersi agenti separati dalla creazione e quindi nella posizione di dover sempre cercare fuori da sé quanto serve e si desidera. Si chiede per avere qualcosa, per avere del cibo, per lavorare fino addirittura chiedere per essere un padrone e quindi per poter prendere decisioni senza dover chiedere ad altri.
Quello che si può ottenere chiedendo in questo modo può essere sì funzionale ai bisogni o addirittura superiore, ma sempre in misura finita perché la richiesta è espressa focalizzandosi su questa realtà. La quale ha come principale caratteristica il suo essere finita. Come se fosse un retaggio dal passato, le persone, a volte come per abitudine e con leggerezza, affidano la sorte delle proprie decisioni e delle vicissitudini che vivono a Dio, a un santo o alla fortuna, ecc. Tutti nomi spirituali utilizzati in questo caso con una velata superstizione o come quando si scrive la letterina a Babbo Natale. Anche la Fortuna, ricordiamo, è una divinità, tra l’altro una delle più venerate al tempo dei Romani proprio perché in grado di influenzare gli eventi a favore del devoto. Se facessimo così dovremmo continuare il nostro viaggio avendo fede nel politeismo.
Le evoluzioni della propria vita, anche materiali, saranno sempre compromesse dalla limitatezza e prevedibilità proprio a causa di questo affidarsi a tali agenti esterni piuttosto che a Dio che per la sua totalità ne è la sorgente. In questo caso Dio è inteso non come il “tutto”, ma come la coscienza che sta dietro al “tutto”.
Quindi, pure la dea Fortuna come il Santo patrono sono un riflesso di Dio. Per coerenza, ripetiamo che sono un’immagine e non l’originale. Sarebbe come se non ci si affidasse direttamente alla fonte, ma alla “Sua ombra”: non si vuole difatti scoraggiare dall’affidarsi.
Malgrado, per vie traverse, si ottiene quanto si richiede, votarsi e affidarsi a un’ombra equivale a un’illusione. È solo in questo, in un’imprecisione nel definire noi stessi e la realtà, che si finisce nel credere a un’illusione. Non significa che questa realtà concretamente non esiste e che quindi non sia, di conseguenza, compresa in Dio, ma lo è come reale è la proiezione dell’ombra di un oggetto.
Se le persone, pertanto, muovono propositi senza rivolgersi e considerare Dio, stanno rivolgendosi e considerando solo la Sua ombra. Tali progetti, abbiamo evidenziato, si scontreranno con la finitezza della realtà e avranno l’influenza su di sé e il resto dell’universo al pari di un’ombra. Ciò sempre perché sono stati mossi contemplando delle illusioni e all’interno di esse. Così si spiega il motivo per cui in questo mondo, benché si avanzi senza sosta nel progresso, uno sviluppo pieno, totale e che porti a tutti beneficio non è realizzabile. In questo modo sarà fino a che chi vi attua i propri progetti si affiderà ad altrettante illusioni: il progetto stesso nel suo insieme sarà un’illusione.
Tali progetti possono essere concepiti coinvolgendo il massimo della conoscenza disponibile, le più ampie ricchezze, gli aggiornamenti della scienza ma saranno illusori e irrealizzabili (se non nell’immediato e in modo circoscritto). Perché tutto ciò è un’ombra della realtà e non la vera realtà. L’effetto di un’illusione che illude, e non Dio che quell’ombra proietta.
Non è quindi Dio a punirci o a indurci in sofferenza, siamo noi a sbagliare nel leggere e fruire la realtà. Quello a cui l’uomo capita nel corso della vita è la diretta conseguenza del proprio modo di porsi all’interno della realtà. Non è che non esistono veramente la conoscenza, le ricchezze a cui si può accedere e gli illuminanti aggiornamenti scientifici; è che anche queste cose sono prodotte da precedenti illusioni.
L’accettare la vita, accettare Cristo come proprio salvatore e accettare Dio sta proprio nell’accogliere un tale punto di vista. Allora, accogliere che ogni cosa è come conseguenza della pura coscienza che è Dio e non come fattore che può sussistere in modo indipendente e slegato da tale coscienza.
A questo punto, bisogna precisare che quando si tratta di Dio si presenta, ogni volta che sia necessario, il dettaglio che si sta parlando di una coscienza. La quale è naturalmente universale e onnipervasiva da averla sintetizzata come il “tutto” quando la si affrontava prima di aver aggiunto gli argomenti degli ultimi capitoli. In questi, si è ripetuto che Dio non è una persona per riprendersi dall’errore di immaginarLo come una figura a sé stante, come un “signore”. Egli, infatti, come “tutto” può liberamente prendere forma nella dimensione materiale quando necessario, anche come persona.
Quindi, se si usa per Dio la definizione di “tutto” non bisogna sbilanciarsi nel credere che si sta solamente riferendosi alla totalità materiale. Come a dire che Egli sia solo l’universo visibile e invisibile cosicché l’accettare, da parte del fedele, questa totalità significhi accordarvi un equilibrio e un’armonia superiore alla propria comprensione. Dio è sì il tutto, ma è sempre un’unità, non innumerevoli enti come innumerevoli sono le cose all’interno dell’universo.
Un uomo non è il suo corpo o ciò di cui è proprietario, il corpo e le proprietà sono solo le cose che ha. Egli, in modo profondo, è la sua coscienza, quindi, a causa della dinamica in cui la sua mente può ragionare, anche Dio lo deve accettare come una coscienza, innanzitutto. La quale è superiore a tutto e appartiene a tutto perché ogni cosa è stata da lei pensata e così creata.
Già in precedenza ci è balzato agli occhi che comunque ogni cosa rispetta un’armonia e un ordine che potremmo definire naturale. Secondo un piano, però: sempre attraverso l’energia di Dio, l’amore. Tuttavia, abbiamo constatato che malgrado tutto avvenga per Suo mezzo, il risultato varia se l’individuo vi si affida direttamente oppure si affida alla Sua ombra.
In misura di questo piano, Dio è indipendente mentre l’uomo ne è legato. Tanto che si tramanda che Dio, quando appare sulla Terra, non è obbligato a sottostare alle componenti materiali che invece avvolgono chi vi abita. In quei casi, poiché si dimostra indipendente anche da qualcosa di irreversibile come le leggi fisiche di questa realtà, si può asserire che Egli è apparso come è veramente, nel Suo essere originale. Nell’occasione in cui appare come uomo, quindi, Dio è una persona, benché mantenga una indipendenza suprema.
In tali speculazioni non c’è nulla di capzioso, o perlomeno c’è se si vuole capire attraverso le capacità della mente. Dio è apparso come una persona nel mondo, quindi non è che quando torna al suo aspetto impersonale smette di essere quella persona in cui appariva. Egli lo è per sempre: non dimentichiamo la caratteristica di essere eterno e onnipresente. Affermare che Dio, al di là delle Sue apparizioni terrene (che sono avvenute e narrate da svariate tradizioni) appare come la mera totalità di quello che esiste è un tentare di spiegare in chiave convenzionale. Lo stesso se si crede che quando volesse tornare nuovamente sulla Terra non potrebbe diventare un’altra persona ancora, diversa da quella manifestata in un altro momento. Oppure che per tornare ancora sulla Terra, dovesse mandare qualcun altro per il motivo che non può diventare anche un’altra persona rispetto a quella che aveva “impersonato” in passato.
Siamo al cospetto di accorgerci di dettagli che vanno oltre le capacità di comprensione. Accostarcisi, seppure possano sembrare enigmatici o vani, è un bivio fra il vivere da persone comuni e il vivere da eletti.






12/10/22

NOI A SUA IMMAGINE E LUI A NOSTRA IMMAGINAZIONE - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 9

Qui di seguito il nono capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA

che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


NOI A SUA IMMAGINE E LUI A NOSTRA IMMAGINAZIONE


Con l’avanzare dei capitoli, si sta prendendo confidenza con il principio che risiede nel cuore della rivelazione cristiana. Esso è l’elemento che fa balzare in avanti il fedele nel proposito di conoscere Dio, tanto importante quanto delicato. Infatti, se il fedele non è sufficientemente pronto ne riceverebbe tutt’altro che un beneficio.
Tale principio è che non esiste Dio, perlomeno non come figura separata dal tutto. Sarebbe sbagliato immaginare Dio come una persona e in tal modo riferirsi a Lui. Se il fedele prendesse l’abitudine a considerare Dio come una persona, in lui si pianterebbe l’idea di un limite. E lo stesso quando si usano altri appellativi o si evocano rappresentazioni per poterne capire meglio o spiegare.
Non posso chiedere a Dio pietà o una benedizione perché non me le può dare: non è un uomo. Stiamo scoprendo, piuttosto, che l’essere a Sua immagine non è nel nostro essere uomini o per una somiglianza fisica: le persone sono il riflesso del Padre per la loro componente essenziale, quella svincolata da qualsiasi limite e definizione.
Stavolta non si tratta di un ragionamento illogico proposto dalle Sacre Scritture per illuminarci ulteriormente. È proprio un errore nel giudicare e descrivere qualcosa che non può avere una descrizione esaustiva. Nello sbattere contro queste contraddizioni e difficoltà interpretative, pare normale indugiare in semplificazioni, anche su Dio.
Egli è tutto, per quello siamo inevitabilmente a sua immagine. Il vero essere dell’uomo non è nella superficie, è la coscienza. Dio, quindi, potrebbe più correttamente essere individuato come una coscienza da noi accostabile e assimilabile in misura della nostra realizzazione. Ovvero, nella personale pratica al Vangelo: Dio è realizzare questa coscienza pura e creatrice.
Dio si palesa nell’universo in innumerevoli modi a seconda delle necessità e dell’individuale possibilità di fare da tramite a questo infinito e trascendentale universo. Dio, pertanto, si incontra lungo tutta la Storia umana, compare anche sotto forma di individui, più o meno consapevoli. Ma non è solo in questo che si esaurisce la spiegazione dell’espressione biblica “Dio vivente”. Dio è vivente perché è la vita e ogni cosa che vive. Per questo si insiste non a compiacere Dio come una persona, ma come la vita intera.
Nel corso dei secoli, per poter dispiegare ai fedeli nel miglior modo la via per conoscere Dio, Egli è stato insignito di nomi e definizioni differenti. Qui non si vuole aggiungere altre parole a tale scopo o una nuova formulazione, ma semmai invitare a smettere di pensare per definizioni; cioè con la mente. Se io vedo un antico affresco che raffigura il Signore, non celebro Dio per ciò che contemplo nell’opera d’arte ma perché Egli è, oltre la mera rappresentazione, anche il muro dove l’affresco poggia, l’edificio, tutti coloro che lo costruirono, ecc. Già il bisogno, nella lingua italiana, di utilizzare il pronome “egli” per riferirsi a Dio, facendo intendere che sia una figura maschile, dovrebbe essere abbastanza per prendere coscienza delle madornali trappole comunicative nelle quali non bisogna cadere a rischio di sviare e ottenebrare qualcosa di così alto e profondo.
Finirla con le descrizioni è appunto un modo per limitare la comunicazione con la mente e i pensieri a rischio di dar loro una primaria importanza. Non è necessario aggiungere altro su tale premura; lo svantaggio, altrimenti, sarebbe di personalizzare Dio, farLo proprio. Come Lo si immagina, quindi a nostra immaginazione. Nella religione in cui Dio è come se fosse una persona, il fedele si sente indotto a cercare di conquistare quella persona. Forse era importante in un passato in cui gli uomini dovevano essere instradati a regole di condotta nuove e innovative. Tuttavia, a lungo andare possono porre il fedele in una sorta di competizione con gli altri fedeli per la propria salvezza che pare essere elargita da quella “persona”, dimenticando che siamo tutti uniti e quindi siamo tutti destinati alla salvezza. Al posto di un’apertura vera a scoprire la volontà di Dio per lui, abbracciare appieno la vita.
Anche laddove il cristiano eccellesse nella cura del prossimo, potrebbe alimentare la preoccupazione di farlo allo scopo di salvare la propria anima. Ovvero, la pratica del Vangelo potrebbe venir seguita per ottenere la cosiddetta salvezza dell’anima. Di conseguenza, anche nell’altruismo l’intento iniziale potrebbe essere egoistico. Sarebbe come se l’espressione di San Paolo di essere uomini di fede per la salvezza della propria anima sia un monito a pensare solamente a sé.
Invece, la fede si esprime verso gli altri, manifestando agli altri la salvezza: non preoccupandosi della propria. Impegnarsi per la salvezza della “propria anima”, allora non è un credere di rischiare di non essere salvi, ma vivere sapendosi già salvi, facenti parte del popolo degli eletti.
La speranza cristiana è il sentirsi in connessione con qualcosa di infinitamente più grande, la pura e onnipervasiva coscienza che, per facilità linguistica, chiamiamo Dio. È una speranza perché a essa ci si può unire seppure non la si può percepire pienamente a causa della gravità dello stato materiale dell’uomo. È una coscienza, pertanto, che può essere solo personalmente realizzata. Come un essere assolutamente sicuri della presenza dei propri organi interni seppure non saranno mai direttamente visibili: non se ne ha la prova come esigerebbe la logica, ma se ne vive una convinzione tale da esserne certi. Proprio come posso sperare che tutto dentro il mio organismo sia presente e attivo nel modo giusto, malgrado che proprio il mio corpo, essendo fisico, mi impedisca di attraversarlo con la percezione e sincerarmene.
Questa è la realizzazione della Verità, di Dio, della coscienza che è anche la nostra coscienza seppure raggiungibile solo al momento in cui la realizziamo. In questo movimento circolare, che un osservatore attento avrà notato in parecchie constatazioni qui riportate, è mostrata la connivenza tra Dio e l’uomo, l’universo intero. Ed è questo che si intende quando si ripete di un concreto e innovativo risultato ottenibile con la pratica del Vangelo. Uno è salvo, infatti, quando realizza di essere quella coscienza che abitualmente viene chiamata Dio o Signore (signore a lui separato). Spiritualmente, l’uomo aveva bisogno di vivere un’esperienza separata da questa Coscienza per poterla riscontrare; sarebbe, nel fantasmagorico esempio utilizzato a tal proposito, che io, incredibilmente, potessi visitare l’interno del mio corpo.
Questa intera esistenza, infatti, è un prodigio, un’architettura creata apposta perché ci possiamo accorgere di Dio. Un dono abbacinante che c’è stato offerto nell’amorevole scopo di farci uscire dall’ignoranza e unirci (o riunirci, sarebbe forse più preciso) a questa Coscienza, al tutto, avendolo capito, avendolo realizzato.
Conferire invece primaria importanza alla materialità, alle cose mondane, è come credere realistica la proiezione che viviamo. Immaginiamo proprio che sia come una proiezione cinematografica, esempio azzeccato visto che i primi fruitori dei cinema faticavano a credere che si trattasse di un artificio. E spesso, poi, non erano neppure in grado di raccontarne agli altri poiché non erano ancora stati adattati ragionamenti e un lessico adeguati per una simile rivoluzionaria invenzione.
Ecco perché a seconda delle epoche, delle culture, delle lingue, delle religioni, dell’origine geografica, ecc. si è trattato e descritto di Dio in modi diversi. Seppure, presumibilmente, partendo sempre dalla medesima intuizione, dalla stessa speranza. Allo stesso modo, pure nella nostra Bibbia era già stato spiegato tutto fin dal principio. L’uomo, infatti (si legge nella Genesi), è a immagine di Dio, ovvero egli ne è un’immagine, una proiezione, non l’originale.
Inoltre, l’uomo, oltre che a Sua immagine, è stato creato a Sua somiglianza. Quindi con il termine “immagine” si indica e identifica come l’uomo è nel suo essere estrinseco, esterno, si potrebbe aggiungere strutturale. Con “somiglianza” si suggerisce come è internamente, le sue caratteristiche e qualità. Cioè al pari di quelle dell’originale, di Dio. Come delucidazione usiamo l’ottimo parallelismo di un inventore con l’oggetto che ha creato: l’intelligenza artificiale diventa effettivamente libera e capace di ragionare e agire da sé quando dimostra di essere in grado, paradossalmente, di imparare e replicare in modo autonomo i ragionamenti e le azioni del proprio creatore.
L’uomo ha le stesse possibilità di Dio perché è della medesima coscienza di Dio. In misura di tale consapevolezza e quindi della propria fede, egli potrà infatti a piacimento modificare la realtà che sa essere solo un’immagine.





05/10/22

RIMANERE IN PAUSA FINCHE’ NON CI SI SCOPRE ELETTI - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 8

Qui di seguito l'ottavo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA

che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


RIMANERE IN PAUSA FINCHE’ NON CI SI SCOPRE ELETTI


Non c’è una parte della popolazione salva e un’altra che non lo è. Alcuni destinati a conoscere come crescere verso l’alto, mentre altri a ignorarlo. Ugualmente, si sbaglierebbe a immaginare una percentuale di noi che è eletta a qualcosa di speciale e il restante non è eletta.
Le tradizioni filosofiche in Oriente vengono impartite spesso attraverso frasi senza senso che il maestro propina all’iniziato. È arrivata fino ai giorni nostri la memoria di lezioni scandite da domande scaturite da ragionamenti illogici che obbligano a pensare senza regole fisse se si vuole tentare una risposta. Non si manca di rispetto alla sapienza che proviene dall’Oriente con una simile descrizione, anzi: è sicuramente un modo di insegnare che ha un profondo fondamento. Tale modalità obbliga il discepolo a lasciare che la propria mente e così la propria capacità di giudizio vengano messe all’angolo in favore di un’apertura che deve andare in cerca di altro, oltre la mente, per seguire le parole del maestro. È così che senza che se ne accorga, l’iniziato diventa cosciente di quanto il maestro voleva mostrare. Risultato che non avrebbe mai ottenuto se fosse stato invece spinto a usare ragionamenti mentali che fruttano solo se attingono a informazioni che già si conoscono.
Nel maestro di questo nostro esempio non c’è ovviamente nessun intento capzioso, piuttosto la convinzione che proprio sfasando l’attività dei pensieri qualcosa di più grande avrebbe agito. Pure sulle persone che sta ammaestrando alle quali evidentemente doveva indicare un punto di vista sulla realtà impossibile da scorgere per mezzo del consueto senso comune.
Ed è un po’ per lo stesso motivo che dobbiamo prendere coraggio e accettare di porci di fronte all’illogicità che si trae dalle Sacre Scritture. Così, il nostro accogliere l’affermazione che tutti gli uomini sono salvi è come asserire che tutti siamo eletti. Ci si può addentrare in una simile contraddizione con la visione metaforica di uno Stato, per governare il quale si candidano tutti i suoi abitanti. Tutti quanti sono eleggibili e tutti ricevendo un voto, il proprio, al giorno delle elezioni, vincono la candidatura.
Nel Paese del nostro esempio, ci sarà un governo a cui presiederà e concorrerà alla sua amministrazione l’intera popolazione. Fuori dalla metafora, si ribadisce innanzitutto che la preparazione all’elezione e al governo è la pratica del Vangelo. È con essa, infatti, che ci si “dà il voto” e si “partecipa al governo”. Così, non praticando il Vangelo o ignorando la dinamica generale qui presentata con un esempio politico, si finisce per restare volontariamente fuori dall’elezione e quindi dal compartecipare al tutto.
Allora, non è Dio che elegge alcuni invece di altri: è il singolo individuo che, con la propria vita, prende parte o si astiene dalla creazione e dalla salvezza. L’eletto è l’intera umanità, sta poi al singolo decidere cosa fare dell’opportunità offerta di prendere posto.
Nella Bibbia, è esposto che ci saranno eletti che svieranno dalla retta via, altri che non se ne avvicineranno neppure. Questo non dipenderebbe allora da un arbitrio esterno, ma personale. Sta all’individuo dare credito a chi riferisce della possibilità di unirsi al tutto o a chi lo convince che ci si deve accontentare di una vita conclusa nel ricercare solo di appagare i propri desideri.
L’umanità è incontrovertibilmente eletta, ma solo quando il singolo individuo lo scopre, se ne accorge, lo ricorda. Altrimenti, che differenza passa tra la sua esistenza e quella di una qualsiasi altra creatura che trascorre il tempo dedicandosi a soddisfare i propri desideri? Il concetto di tempo viene scardinato in quanto l’uomo è eletto da sempre, per sempre (eternamente) e finché non lo scopre e lo diventa egli rimane sospeso. Il tempo per lui è come fermato in un continuo ripetersi fino a che egli non passa oltre. La ripetizione di cui parliamo è di una vita segnata da desideri di miglioramento e anche da una eventuale concreta ricerca di migliorarsi che non portano al progresso sperato.
Si potrebbe far passare questa affermazione con la similitudine di un incontro sportivo. L’esistenza terrena e il tempo percepibile in tale dimensione è come l’allenamento per prepararsi alla gara. Più ci si allena e più cose si imparano su di sé come giocatore e sul gioco, e anche maggiore è il tempo che passa; tuttavia, è solo preparazione e simulazione. Il vero incontro, il vero gioco avverrà solo quando si scenderà sul campo, si interromperà l’allenamento.
Nel vero è proprio gioco c’è la vita concreta dove ogni cosa appare nella sua autenticità. E ciò senza alcun modo diffamare il periodo di vita trascorso come allenamento e quindi approssimazione del reale. Piuttosto, un essere cosciente di entrambi i punti di vista ed esperienze. Infatti, come chiarito in vari punti, e qui utilizzando i nuovi termini che stiamo introducendo: l’eletto è una persona qualunque, che vive in un modo qualunque. Eletto, come scritto poco sopra, è chiunque, lo siamo tutti ma uno lo diventa effettivamente quando si comincia a convincere di esserlo.
Se si analizza l’intera umanità nella definizione elettiva, si conta un solo eletto: l’umanità stessa. Sarebbe come, per fare un esempio comprensibile, se l’umanità fosse un’unica persona: l’eletto. Prescelto dal Padre e di Lui rappresentante, indipendentemente dalla scelta individuale, abbiamo rinvenuto. E ciò viene vissuto quando lo si scopre e ci si convince, altrimenti il messaggio non arriva e l’opportunità va a vuoto. Va a vuoto quando si interpreta tale elezione e quindi il rapporto con Dio su un piano umano e non sul piano dell’eternità. Nell’esempio che abbiamo fatto: studiare e prepararsi alla gara sportiva non considerando il vero e proprio gioco e l’effettivo campo da gioco, e limitarci alla simulazione dell’allenamento e al campo dove ci si allena che è replica di quello ufficiale.
Vivere l’elezione tenendo conto dell’infinito e dell’eternità significa individuare se stesso come portatore di una vita che soverchia il proprio essere un essere umano. E pure tutto il resto che si è al di fuori di essere un eletto: un coniuge, un figlio, un lavoratore, un appartenente a un gruppo invece che a un altro, ecc. Allora non c’è un limite, una caratteristica dominante o una collocazione: si è ogni cosa, si è l’universo intero.
In una persona c’è un seme che gli permetterà di unirsi a tutto perché egli è il tutto. Egli è salvo, è un eletto dall’eternità e per l’eternità perché è già l’eternità, anche quando non lo sapeva di essere. Prima di scoprire la salvezza, egli era già comunque salvo; anche se per scoprirlo ha dovuto prima convincersi del contrario.
Come può un essere umano essere eterno? Per via dell’assenza di divisione all’interno dell’universo. Si potrebbe spiegare come se l’universo finito e materiale percepibile con i sensi sia poi sovrapposto a un altro che sia infinito ed eterno e quindi caratterizzato dalla mancanza di limiti e confini. C’è quindi come prerogativa che tutto sia possibile, finanche la compresenza dell’universo finito e materiale che permetterebbe la possibilità ai viventi di questi universi di fare anche le esperienze finite e limitate. Quando gli spiriti fanno tali esperienze allora possono scoprire (o ricordare) di essere in realtà (anche) infiniti ed eterni.
Essere infiniti ed eterni vale a dire essere Dio: questo il nesso per cui l’umanità è eletta da sempre e per sempre. Essa è Dio: l’uomo e Dio sono la stessa cosa. Come già precisato precedentemente, ciò non equivale a essere tutti noi degli dèi, ma essere tutti parte di Dio. Proprio come tutti gli eletti non solo lavorano per il governo e governano, ma conformano il governo stesso.
Inoltre, se io sono integrante e costitutivo di Dio, allora tutto di me è Dio. Ogni cosa è il Padre, io non faccio eccezione e così pure l’ambiente in cui vivo. Addirittura le esperienze che mi capitano, sono Dio, e le mie emozioni, le mie intenzioni; i miei stessi pensieri, i prodotti della mia mente e quanto posso creare. Di nuovo, queste riflessioni non sono per arrogarci una posizione superiore rispetto a chi non fa simili constatazioni o al resto del creato, ma semplicemente per illuminare che qualsiasi cosa percepiamo dentro e fuori di noi è Dio. Non ne siamo in nessun caso separati e, oltretutto, non possiamo avere termine o delimitazione con la fine e i limiti di una vita terrena.