14/09/22

CON LA MENTE SI SVELA IL MONDO, NON LA FELICITA’ - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 5

Qui di seguito il quinto capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA

che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


CON LA MENTE SI SVELA IL MONDO, NON LA FELICITA’


Non è così immediato da cogliere il collegamento fra l’accettare quanto si vive e conseguire come risultato la felicità. Il non vederne una chiara comprensione non è frutto di una difficoltà ad affrontare certi temi troppo complessi o di una mancanza di fede. Il motivo è che il ragionamento alla base è fondamentalmente illogico.
Abbiamo sottolineato che il cercare di capire è un lavoro mentale, e la mente non è predisposta a raggiungere la profondità che sta dietro a riflessioni che non siano concrete, logiche e provabili. L’affermazione suddetta, che assicura che tutto ci viene proposto per il nostro meglio, non può che essere screditata al minimo ragionamento della mente. Come poter vedere sempre il bicchiere mezzo pieno di fronte a tutto quello che succede? Questa è la dinamica che istituisce una incapacità ad abituarsi al benessere.
Quando si ha a che fare con la mente, si ha a che fare con il mondo. Essa ci permette di comprendere, interpretare e creare all’interno delle leggi di questa realtà. Non vi si può confidare, pertanto, per intercettare quanto riguarda l’al di là del mondo. E per questo, non è che l’uomo ha un limite, una incapacità congenita a innalzarsi oltre la realtà materiale. Tutt’altro: egli ha, attraverso la sua persona (corpo, sentimenti e la propria mente), lo strumento più adeguato per rifiorire in questa realtà; e nel mondo vivere l’esperienza più proficua.
Per ciò ripetiamo che è necessario fare attenzione a usare ogni componente della nostra esistenza (e del nostro corpo) allo scopo che gli è preposto. Sarebbe un errore cercare di capire l’infinito con lo strumento finito che è la nostra mente. La mente è logica, è costruita in modo perfetto per la logica: per mezzo di essa l’uomo ha creato tutto quello che ha progettato e riuscirà, sempre grazie alla mente, a trovare le soluzioni ai problemi che oggi paiono ancora irrisolvibili. Tuttavia, essa non è fatta per capire il Regno e il più profondo “perché” delle esperienze che la vita offre da vivere. Non è quello, “l’organo” preposto per intercettare l’infinito, anche se è attraverso a intuizioni, percepibili sotto forma di pensieri, che si può assaporarlo.
Nella Bibbia, leggiamo con frequenza che Dio è giusto, eppure riscontriamo in vari episodi quanto le Sue decisioni possano essere giudicate tutt’altro che giuste. Pure negli insegnamenti di Gesù, si narra del Padre che premia tutti allo stesso modo, indipendentemente dal loro merito oggettivo. Si ricorda, ad esempio, la parabola che racconta della festa improvvisata al figlio quando fa ritorno alla casa paterna benché l’avesse lasciata e avesse dissipato il proprio patrimonio oppure quella in cui vari lavoratori vengono compensati allo stesso modo indipendentemente da quante ore abbiano effettivamente lavorato. Come può la mente trovare logico, sensato un comportamento simile? Per la mente, per il senso comune, quindi, non sarebbe ragionevole, proprio come non lo sarebbero reazioni simili se viste nella nostra quotidianità.
Ad esempio, non accetteremmo che chi commette un crimine non venisse condannato dal tribunale, che il collega appena assunto ricevesse uno stipendio alla pari di chi ha già decenni di lavoro alle spalle, che alla laurea riceva la lode sia chi ha studiato senza sosta e anche chi non ha mai aperto un libro. La mente, infatti, è lo strumento per poter dare vita e significato a simili sfumature; così che vengano create le leggi per il progresso della società e delle adeguate pene a chi le infrange, un sistema di avanzamento retributivo per i lavoratori o per chi investe in una carriera accademica e così via.
La totale assenza da parte del Dio del Vangelo di preferenze e di parametri per conferire meriti o demeriti è l’immagine più vivida che abbiamo per scorgere il Regno. In qualsiasi modo una persona è, e qualsiasi sia la sua condotta, il giudizio e l’atteggiamento di Dio non mutano. È così che, di fronte a una simile coerente illogicità, non ci si può intestardire di poterla capire con la mente. Bisogna, semmai, lasciare che una simile constatazione agisca in noi e ci sensibilizzi a una consapevolezza cui altrimenti non avremo accesso se ci soffermassimo a discuterne la mancanza di logica.
Come cogliere, con la mente, l’amore che non fa preferenze, che non impone condizioni? L’amore che non ci chiede di essere diversi, di cambiare per poter essere amati; che non si aspetta alcunché in cambio? L’amore che, anche se non è comprensibile ma grazie al mero contemplarlo, per via di queste caratteristiche “illogiche”, può traghettare verso uno sbocciare sereno all’immensità.
E non è che per questo la mente è sbagliata o negativa oppure un limite o una prigione per le nostre anime. Non c’è nulla di negativo in tutto questo, essa è perfetta e ideale; perlomeno in quello a cui è destinata: anche la mente fa parte della vita. Giudicheremmo cattivo o errato il nostro braccio se non ci permettesse di saltare oppure la nostra gamba se non ci permettesse di stringere la mano di chi ci vuole salutare? No, staremmo noi, magari anche solo casualmente, sbagliando a valutare cosa è permesso fare con il braccio o con la gamba. Allo stesso modo, lasciamo che la mente faccia quello che sa fare: ragionare in misura delle regole di questo mondo. Ragionamenti che saranno ineccepibili in questa realtà, ma inappropriati nel Regno. Proprio come la logica del Regno di Dio si dimostra incongruente quando confrontata con quella del mondo.
Essere liberi dal capire vuol dire anche questo. Cercare di capire attraverso il metro della mente costringe la fede a soffermarsi all’interno dei confini dei ragionamenti logici. Tali confini, che possono anche essere più o meno vasti oppure modificabili, sono comunque limitati e quindi nell’impossibilità di accompagnare la persona all’infinito. Sarebbe una fede che si piega a una “religione” del finito, del concreto, del materiale, del corpo.
Più volte abbiamo esposto di quanto l’infinito è già in noi, il Dio che tanto si cerca è in realtà già dentro di noi e noi siamo compartecipi a Lui di tutto l’universo: se si rimane inconsapevoli di ciò, della nostra vera natura, si rimane anche ancorati alla convinzione che tutto quello che ci capita non è per il nostro meglio, ma anche per crearci problemi (il bicchiere può venir visto mezzo vuoto).
I limiti della mente, del proprio corpo e del proprio sentire, possono essere vissuti come fonte di sofferenza a seguito di un perenne esame su come siamo e cosa si compie nella vita, oppure, invece, possono essere la zavorra che ci fa accorgere di quanto molto di più siamo ciascuno di noi. Nel nostro essere infiniti, possiamo anche essere provvisoriamente mortali per poterci accorgere del nostro essere immortali, infiniti.
Essere liberi dal capire non significa vivere nell’ignoranza o nella stupidità. Ma l’opposto: permetterci di vivere accorgendoci dell’oltre che c’è rispetto a quanto si potrebbe capire con la mente e, contemplandolo, condurci verso il pieno della vita. Da intendere questa come tutto, perché tutto è vita; quindi anche l’intera conoscenza, la Verità. È sicuramente un alleggerimento il non dover più cercare il comprensibile in ogni cosa quando si vive una vita nella veste di esseri mortali e limitati. Lasciarsi condurre da quanto le intuizioni possono suggerire potrà apparire addirittura come una facilitazione.
Tale leggerezza, sollievo, è quello che viene riconosciuto nelle Scritture come il “riposo” in Dio. Che ci rendiamo conto che non deve essere assolutamente considerato come una passività per lasciar fare tutto a qualcosa di esterno (in questo paradigma, a Dio). Ma, e sempre rimanendo nelle argomentazioni partite analizzando la mente, lasciare che il mondo abbia le sue regole (decise dagli uomini come le leggi o oggettive come quelle della fisica) e semplicemente accettarle. Lasciare che vengano proposti condizionamenti su come vivere e come condurre le proprie scelte e affrontarli senza farci la guerra; lasciare che la paura venga imposta per favorire un certo tipo di governo e lasciare che anche questa ci passi accanto senza sfiorarci. Il vivere nel Regno è semplicemente un essere presente sia qui che al di là; un avere fede a un’altra logica. E quando si accetterà (riprendendo un esempio fatto poco sopra) che il braccio faccia quello che deve fare il braccio, la gamba quello che sa fare la gamba e la mente quello che fa la mente, allora, spontaneamente, ci sarà l’accettazione di questa logica (illogica per il mondo) del Regno. Questo corrisponde ad accettare allora l’amore senza condizioni e preferenze di Dio, e lo si vivrà.
Ancora di più, a questo punto, si può constatare che proprio grazie a come l’essere umano è costituito, anche, allora, tramite i suoi limiti fisici e mentali, che esso gode della migliore predisposizione per afferrare la natura del Regno, la conoscenza dell’infinito, del Padre. Un afferrare che avviene senza pensarci, misteriosamente, pertanto, senza il dubbio timoroso di poterlo meritare oppure no.
Finché si è impegnati a cercare di capire, si vive spendendo una moltitudine di energie che vengono tolte alle proprie vere mansioni. Ci si stanca, ci si svuota, proprio perché non si distoglie mai il pensiero, non ci si riposa (il riposo in Dio). Se si cerca tale riposo, si troveranno proposte per la propria vita e insegnamenti su di essa e sull’universo che nessuno ti potrà mai indicare o insegnare perché non sono comprensibili dalla mente. Finché si cerca un maestro o un libro che ci spieghi la verità o ci indichi verso dove dirigere la nostra vita, non potremo mai avere risposte. Affidiamoci all’illogicità, all’assurdo come chiave per la libertà che, imprevedibilmente, ci fornirà tutto quello di cui andiamo in cerca.



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