28/06/23

QUANDO SI SPIEGA L’INSPIEGABILE - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 46

Qui di seguito il quarantaseiesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


QUANDO SI SPIEGA L’INSPIEGABILE




Siamo giunti alquanto distanti dal nostro punto di partenza. Sono svariate le nuove informazioni scoperte e acquisite. E queste hanno permesso un cambiamento del modo in cui si osserva la realtà. Sono importanti questi nuovi dati perché corrispondono agli strumenti per diventare le nuove persone che saremo.
Tuttavia, questo cambiamento potrebbe indurre di conseguenza a un voltare le spalle alla persona che eravamo. Perché la si potrebbe giudicare in modo negativo o con rimprovero, riconoscendola come il nostro sé caratterizzato da limiti che condizionavano alla sofferenza o a non svilupparci appieno.
Sono proprio le nuove conquiste alle quali si è arrivati a questo punto e le fruttuose informazioni che le hanno facilitate a portare, a volte, a un simile atteggiamento di durezza. Paradossalmente, si imparano le forze propulsive che sono l’accoglienza e il donare ma non le si rivolgerebbero verso di sé. Di questo passo, potrebbe essere una prassi il mantenersi giudicanti, malgrado le tappe fin qui percorse; come se il giudicare servisse a sancire i propri progressi.
Allora, si scoprono inedite visioni sulla realtà e su di sé che possono portare il praticante a un sentirsi forte e orgoglioso come non mai. Atteggiamento a cui potrebbe indugiare nel momento in cui si mette a confronto con chi queste scoperte non le ha fatte. Invece di diventare uno strumento di questa conoscenza che possa così agire attraverso di lui, egli può cadere nella tentazione di adoperarla come una qualsiasi altra cosa utile a sentirsi diverso, migliore, più grande.
Si mette a nudo l’ignoranza nella quale ci si crogiolava fino a poco tempo prima e la reazione verso di lei è di violenza. Come a volerla zittire e relegare nel proprio passato e convincersi di essere sempre stato l’essere che da essa si è innalzato grazie al percorso spirituale.
Atteggiamenti simili sono facili da riconoscere perché portano l’individuo a fare un gran rumore per mostrare che persone nuova è divenuta. Non è un semplice fare sfoggio delle nuove scoperte raggiunte ma un celebrarle e usarle per sopraffare intellettualmente coloro che a esse non sono ancora arrivati. Un po’ come quei divi del cinema che quando vengono intervistati non si trattengono dall’impostare ogni risposta come la più importante che potesse mai essere data.
Sono sempre impressionato quando ho a che fare con persone che si considerano autorizzate a fissare definizioni su argomenti spirituali che per significato dovrebbero invece essere sconfinati. Siamo giunti fino a qui perché ci siamo impegnati a lasciare spazio a qualcosa di immensamente più grande di noi; un rischio, pertanto, è che non appena ciò permette di vedere la luce ci si ponga in mezzo per voler essere noi, la luce. Noi siamo quella luce perché ci investe e risplende quando permettiamo che passandoci attraverso possa giungere agli altri. Proprio come nell’esempio del capitolo precedente fanno l’antenna e il televisore per la trasmissione.
L’umiltà insegnata nel Vangelo non è finalizzata a un qualche tipo di buon galateo. Essa è fondamentale per far sì che questa immensità possa manifestarsi senza ostacoli. I quali sorgono quando il fedele si compiace di quello che ora sa, malgrado sia un sapere possibile grazie a quell’immensità. Questa conoscenza, infatti, non è frutto di conquiste, egli non si è dovuto battere per ottenerla oppure affrontando una qualche fatica o competizione. Addirittura, la conoscenza giunge proprio quando ci si arrende, si smette di preoccuparsi, anche di poterla ottenere. Pertanto, sarebbe come un riconoscersi speciale con qualcosa che in realtà è gratuito e per tutti.
Senza criticare le persone che si comportano in questo modo ma per trarne una lezione, si coglie che la loro è una reazione emotiva all’accorgersi di quanto si era ignoranti. È infatti il motivo per cui rivelano un atteggiamento duro e ostile verso la mancanza di conoscenza; perché sarebbe contro il loro rendersi conto di essere stati profondamente ignoranti fino a un attimo primo. Pertanto, l’accoglienza e la compassione deve essere anche verso di sé, verso il proprio passato. Mentre un comportarsi come degli eccelsi “laureati” in spiritualità quando si intravede finalmente la via significa comportarsi nella maniera egocentrica che aveva permesso l’ignoranza. Se per arrivare alle nostre conclusioni abbiamo dovuto ammettere che nulla in questa realtà può dirsi fissato e immutabile, come poter dire che una cosa sia in un modo definito senza lasciare spazio a un possibile dibattito?
È giusto chiarire nuovamente che nel nostro trattato si è voluto scrivere sotto forma di proposta. E non un mero dare delle risposte per stabilire delle definizioni e delle modalità. Risposte che, come più volte evidenziato, impedirebbero le intuizioni perché forniscono le informazioni che devono essere raggiunte autonomamente.
È così, infatti, che le intuizioni emergerebbero in noi a mostrarci come scardinare il proprio punto di vista sulla realtà. Però, per prima cosa, questo punto di vista deve essere creato e, per di più, in modo personale, non copiandolo da altri.
Vale a dire che anche il “laureato” in spiritualità pontifica delle informazioni che vanno bene per lui. E per lui soltanto valgono (per come egli è) per accompagnarlo alla Verità. Così, il lasciarsi convincere ad aderire a un pensiero formulato da altri è il motivo per cui la gente non realizza personalmente la Verità ma se ne approssima soltanto. Infatti, in questo modo, cercherebbe di imboccare la strada che è ideale per un altro tipo di persona.
Ci sono persone che giungono a Dio attraverso un cammino spirituale e altre tramite un altro oppure qualcosa di totalmente diverso, come una disciplina sportiva, un approfondimento scientifico o uno filosofico. Ma quelle stesse credenze religiose, scientifiche, filosofiche e mentali avranno valore solo temporaneamente, per quello scopo. E cesseranno di averne non appena verranno superate, oscurate, diventando obsolete o impossibili da praticare perché la mente o il fisico (nel caso di una pratica sportiva) cambiano. Le parole stesse che si utilizzano per descrivere l’immutabile sono mutabili. Facciamo attenzione a non sfruttare le nuove informazioni sulla spiritualità per convincerci immutabili e assoluti. Sarebbe come credere che una religione non cambi mai, che un approfondimento scientifico non evolva, che si possa seguire tutti la medesima filosofia o che si possano ottenere record sportivi anche invecchiando.
Allora, l’umiltà ha a che fare in modo diretto con un profondo conoscere se stessi. Umiltà, infatti, vuol dire attenersi a quello che si è, non cercare di essere diversi, qualcun altro: più piccoli o più grandi. L’umiltà è uno dei passaggi principali in questo viaggio per dipanare la parte illusoria, nebulosa di questa realtà. E l’umiltà vera è possibile solo con l’onestà essendo onestamente se stessi e considerando solo quello che onestamente si coglie. Come vedere la vera realtà oltre la nebbia, le illusioni, le bugie se si osserva da un punto di vista, da un sé che non sia completamente onesto? Se io per primo mi mento, le mie esperienze non saranno sincere; quindi non lo sarà neppure quello che potrò carpire.
Questa onestà deve essere rivolta su di sé e tutto attorno a noi, a 360 gradi. Tuttavia, quando si intraprende una ricerca di sé e della Verità, si può finire a convincersi di significati che valgono solo a seguito del personale convincimento, ripiegando in ruoli e idee di sé in cui identificarsi. E questo avviene spontaneamente senza potersi rendere conto se ciò che si crede di sé e del resto sia effettivamente in quel modo. Cioè se lo crediamo o no in modo onesto.
Ecco che si giunge a credersi un amante dell’arte oppure devoto a un cammino spirituale o a uno scientifico senza aver incontrato il vero sé. Il quale è, abbiamo scorto, essere in realtà un mero tramite di un sé più grande e universale. Così, seppure un giorno lo si giungerà a scoprire, nel frattempo ci si identifica in un ruolo, come l’artista, lo spiritualista o lo scienziato. E si crede alle credenze di quel ruolo (come i princìpi dell’arte, dello spiritualismo e della scienza) senza esserle anche diventate. Ovvero, ci si identifica in quel ruolo e si scambiano i suoi princìpi per la Verità (alla stregua di dogmi inviolabili). Quindi, l’errore è nel credere loro la luce e non anch’essi, al massimo, degli strumenti grazie ai quali la luce può manifestarsi.
Così, si finisce per credere che ci sia profondità in un’opera d’arte perché così spiega la Storia dell’Arte; che esista un’anima anche se personalmente non se ne hanno evidenze; che sia possibile giungere un giorno a dare una spiegazione scientifica di tutto ciò che c’è nell’universo; ecc. Quando, sempre utilizzando il nostro esempio, l’artista arriverà a dubitare del senso di un’opera d’arte, il fedele di una religione a non dover per forza credere in qualcosa di cui non può essere certo o lo scienziato in ciò che può misurare, allora si creeranno le condizioni per uno sguardo onesto.
In special modo per quanto riguarda la spiritualità, il fedele può tendere a credere a priori per l’abitudine di accettare come vere le spiegazioni che riguardano l’astratto. Come a dire che se si tratta di argomenti spirituali allora debbano per forza essere incontestabili. È così che ci si può ritrovare a insegnare su cose astratte come onorabili “laureati” senza aver innanzitutto provato in prima persona quanto si racconta.
Se hai incontrato la Verità e la riconosci in te, lascia che sia lei a parlare attraverso di te. Ogni volta che si dà una definizione si fissa l’oggetto della nostra osservazione all’interno dei limiti percepibili, definibili appunto. Se con onestà scruti quanto si può sperimentare dell’immateriale, potresti scoprire di recepire solo la tua coscienza. Perché dovresti sentirti certo di altro? Perché dovresti aver bisogno di altro se è la tua coscienza l’unica cosa che avverti?
È doveroso anche riconoscere che grazie alle moltitudini di varietà e opportunità offerte nella società Occidentale e per il pensiero convenzionale, è abbastanza comune che le persone che vi abitano ritengano quanto abbiamo esposto in questo libro come fantasticheria. Tuttavia, l’alternativa sarebbe una vita dedicata allo sforzo di cercare in tutti i modi di ottenere quanto si vuole oppure allo svilimento personale non giudicandosi all’altezza di un simile successo. Gli ostacoli ai propri traguardi non sarebbero però concreti ma astratti ed evanescenti perché, malgrado quanto si tenti, presentano una qualche forza che impedisce loro di levarsi dal nostro cammino. Questi problemi, allora, sono delle idee e in questo libro abbiamo mostrato proprio quanto sia raggiungibile la felicità e la realizzazione personale a seguito di un processo di rimozione delle proprie credenze. Non supponi che anche tu potrai riuscirci se smettessi di avere fede nelle tue idee, nei risultati che si presume che procurerebbero e ti attenessi solo a ciò che in modo pratico e tangibile puoi afferrare?
Un individuo può anche bollare la fede e la spiritualità come pura immaginazione o superflua; però, se indagasse sul vero motivo che gli impedisce di realizzarsi scoprirebbe che è anch’esso un’immaginazione. Ad esempio, potrebbe vivere desiderando ardentemente di smettere di lavorare e impiegando le proprie giornate solo a viaggiare: non è che ha qualcosa di tangibile, come un muro di mattoni davanti alla porta di casa, che gli blocca il passaggio per partire per davvero; l’ostacolo potrebbe essere, piuttosto, la sua paura di intraprendere una simile scelta. Per l’abitudine di identificare tutto come esterno a noi, egli si giustificherebbe interpretandola come cautela; per esempio, verso la difficoltà di raccogliere i soldi necessari, di lasciare i parenti, gestire le proprie proprietà da lontano e così via. Pertanto, al pari di un fedele, anche lui ha fede verso qualcosa di intangibile.
La differenza è che per lui è qualcosa di imprigionante come la paura.



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