01/02/23

IN PRINCIPIO C’E’ LA FINE - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 25

Qui di seguito il venticinquesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


IN PRINCIPIO C’E’ LA FINE




La morte non esiste, nel Vangelo non se ne parla. Certo, l’evento della morte è riportato in varie occasioni nei resoconti del Nuovo Testamento, eppure non come elemento che segna una conclusione. La morte è un espediente usato per spiegare l’inizio. L’acquisire una nuova coscienza, abbiamo già visto, viene raffigurato come un morire e rinascere una seconda volta. Inoltre, è raccontato pure che una persona deceduta può venire riportata in vita.
La morte che viene comunemente vissuta come un impantanarsi nella sofferenza, si ritrova narrata solo per leggere quando Gesù incappa nei parenti di un defunto al suo funerale. Il loro accodarsi nella mesta cerimonia viene visto come un’incresciosa distorsione sulla realtà vera della vita. È ovvio che il Cristo quando critica simili scene non intende mortificare chi soffre o manifestare verso di loro una cinica insensibilità. Semmai è un segnalare che il credere nella realtà causale di vita e morte è un perdere di vista la Verità che ci sta dietro.
Un efficace modo per chiarire questo aspetto lo si trae se si tiene conto che la vera realtà e il Padre sono eterni e infiniti. Colui che ricerca questa eternità, quindi, inizia a desensibilizzarsi e slegarsi da quanto si vuole interpretare come finito nella nostra vita. L’equilibrio fra esperienza “corporale” e “divina” introdotto nel capitolo precedente non viene meno; pertanto, come si conosce e sperimenta la fine della vita terrena, così si conosce e sperimenta l’infinito della vita non terrena. La coesistenza dell’esperienza “corporale” e di quella “divina” viene proposta, ad esempio, quando Gesù indugia a raggiungere Lazzaro sul letto di morte. Quando vi si recherà, ormai sarà già deceduto e così Egli viene travolto dal dolore del lutto per il caro amico che non c’è più, e allo stesso modo i suoi famigliari. Tuttavia, questa pena sarà d’aiuto a tutti per riconoscere Gesù come il Cristo in quanto la tramuterà in gioia a seguito di uno sviluppo del tutto inimmaginabile: Lazzaro verrà fatto risorgere.
L’uomo, perciò, non deve distrarsi a dimenticare la propria natura eterna. Nel suo essere eterno e infinito (o in un’immagine: un’anima individuale fusa nell’anima universale) fra le infinite cose che è, è anche l’essere umano nel quale sta vivendo in questo mondo. Convincersi di essere soltanto la persona in cui ci si identifica sarebbe come se si credesse di essere un accessorio del proprio abbigliamento o solo un organo del proprio corpo invece che la sua interezza.
Una similitudine potrebbe essere nell’immaginare che il corpo e la mente sono la struttura che serve a permettere l’esperienza in questa realtà allo spirito e a proteggerlo, come lo è la buccia per il frutto. Ma buccia e polpa non sono confondibili e neppure si possono scambiare.
Tornando al Vangelo: il fedele (come vediamo dall’atteggiamento di Gesù sopra ricordato) quando è costantemente immerso nel pensiero del Padre e dei Suoi infiniti eventi e forme che ci permettono di intercettarLo, facilita la sua rinascita a vita nuova. Alla minima lagnanza nei confronti di ciò che si vive, l’uomo sta di fatto lamentandosi di Dio. E lo sbuffare, il bestemmiare sono atteggiamenti così quotidiani che possono essere giudicati costanti come qui si descriverebbe invece la devozione. Quindi, non è un’esagerazione invitare il fedele a pensare continuamente all’Assoluto; sarebbe un po’ come ribaltare i pensieri che si fanno quando si maledice (continuamente) ciò che non è come si desidera.
Allora, pensare sempre a Dio non affliggendosi e criticando è pensare a Suo favore. Ci rendiamo conto che il Cristo compiva questa attività in piena coscienza che Dio è il Padre ed è la vera realtà, la Coscienza Suprema, o, se vogliamo, la Persona Suprema. In conclusione: pensando al Padre non limitatamente a una presenza potente, creatrice e dominatrice, quindi suscettibile di paragoni con altri personaggi astratti o speciali; se una Persona è suprema, assoluta, non può avere equali: è l’unica a non poterne avere.
Allora, ci si rende conto che è qualcosa di sensazionale, l’esistenza della morte. Lo stesso aspetto che la morte è esistente ne smaschera la illogicità di fondo: essa, infatti, è l’assenza di esistenza; più essa è presente e meno lo è la vita. Nella realtà materiale, tutto muore, è morte; nulla può evitare questo principio. Tant’è che la realtà materiale è riscontrabile proprio perché c’è la morte, senza la quale non ci sarebbe il mondo in quanto regolato da leggi fisiche.
La morte è l’invenzione divina per permettere alla realtà che sperimentiamo di esserci. Sofferenza e morte sono doni che contribuiscono in maniera profonda a compiere l’esperienza terrena. Ma dal punto di vista della vera realtà, che sottende l’immortalità, la morte non ci dovrebbe essere. Essa è stata appunto creata appositamente e inserita per favorire l’intero evento dell’universo. La morte è l’emblema dell’intervento del Padre e anche della sua presenza in questa realtà. Egli, infatti, è sempre presente, benché la distorta visione della realtà ci tenterebbe a credere che proprio dove c’è morte non ci sia Dio.
A causa della morte, diventa concreta la crescita, la vecchiaia, la dipartita; e anche il bisogno di curarsi, alimentarsi, fare esperienze; le fioriture, il trascorrere delle stagioni, il sorgere e il tramontare del Sole, il movimento degli astri. Vale a dire che per via della morte, esiste il tempo. Ecco spiegato in modo più approfondito perché Dio dà avvio al tempo.
Il tempo come transitorietà non esisterebbe perché in realtà non c’è la morte. Il tempo rappresenta la creazione, è la creazione; è a causa del tempo che essa è possibile. Questo elemento, che viene interpretato come il progredire della natura, è invece una presenza artificiale che spinge la natura a muoversi e seguire i cicli che ben conosciamo. Io posso considerare naturale quello che percepisco con i sensi o che posso studiare scientificamente, ma non posso indicare come naturale il tempo. Anzi, non è neppure riscontrabile, lo stesso essere umano ha dovuto adattare dei mezzi per poterlo calcolare. E solo come espediente per una più facile organizzazione sociale. Nella stessa maniera in cui si era descritto Dio o la vita, possiamo analizzare il tempo: che si possono solo recepirne gli effetti trasversali (come l’invecchiare, appunto, o la morte). La presenza insinuante del tempo nell’universo non può lasciarci indifferenti nel notarla come segno di un qualcosa di infinitamente più grande di noi. Ogni volta che scorgi il movimento del Sole o delle lancette, oppure l’ingrigirsi dei capelli, stai guardando direttamente Dio.
Non bisogna fraintendere Dio come una minaccia negativa perché è presente nella caducità e promotrice della morte, con la percezione dello scorrere del tempo. In realtà, dietro alla morte si cela l’eternità, la quale è conoscenza e felicità senza fine. Chi pensa in questo modo alla morte e a Dio, non ne avrà paura. Sarà una persona che si alleggerisce dalla sola idea materialistica e sensuale della vita; scoprirà che sottomettersi a Dio significa raggiungere un’ampia libertà. La conseguenza è una congruenza con Dio che nel fedele viene appunto spiegata e intesa come una sorta di affiliazione, appartenenza alla stessa famiglia.
Il contrario sono coloro che non riconoscono un simile ruolo a Dio e non ne concepiscono una presenza così pervasiva. Questo punto di vista non è solo influenzato dall’ignoranza, esso è dato dal non volere cedere così tanto potere a Dio. Sono, quindi, persone che è come se volessero riconoscere di avere loro il potere che andrebbe invece riconosciuto in Dio. Non contemplano la possibilità di essere conquistati da Lui perché è come se si vedessero loro, come Dio. E non nella maniera fin qui descritta dell’arrendersi a qualcosa di immensamente più grande di noi e quindi unirsi all’Assoluto, essere in condivisione con Lui. È un sentirsi Dio perché si reputa se stessi e ciò che si vive come le cose più importanti dell’universo. Ma come ci si potrebbe credere davvero così forti se in realtà si è invidiosi di un potere che si sa di non avere?
Ovviamente, è un’invidia inconscia, conseguente a un non accettare il tempo, e quindi la morte. La grande sfida, il fulcro dell’esperienza come esseri umani, sta proprio in questa croce. Come già si è imparato nel racconto della Passione: Gesù che ama la croce. È possibile solo quando si inizia a realizzare che il tempo, e di conseguenza la morte, è Dio. La vera avventura è riuscire in questo intento palesemente incongruente per la realtà materiale di amare la morte. Ma scorgiamo così che in quella incongruenza, quella crisi, sta il segreto per oltrepassare questa realtà, arrivare in fondo al viaggio: giungere alla vita eterna. Paradossalmente, sarà così che si vincerà la morte.
Mentre il Padre è il principio, l’energia che induce alla creazione, alla nascita, e lo Spirito Santo è quello dello sviluppo della creazione, il Figlio lo è per il rinnovamento. Il quale è manifestato in questa realtà materiale nella fine alla quale ogni cosa giunge per affermare il nuovo. Sotto questa luce, la fine e quindi la morte e la sofferenza non sono trattate come mera devastazione. Seppure lo stesso Cristo dimostra questa intera dinamica nell’esperienza della Passione, assurgendo la Sua croce a Suo simbolo, la morte deve essere considerata come un qualsiasi evento da trasformare.
Per riassumere, lo Spirito Santo disgiunge in parti la creazione che è unità, mentre Gesù è l’azione fondamentale già trattata in passato chiamandola trasformazione, trasmutazione, e in questo significato pure la morte e la sofferenza vengono trattate nei Vangeli. Il mistero di Gesù si affronta nel considerarLo il principio della “devastazione”. E così Si presenta quando afferma che è venuto per portare il fuoco, la spada invece che la pace. La pace è la caratteristica di un altro periodo, non di questo: quello che giungerà con la nuova unione.



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