27/04/16

In questo periodo in cui non ho nulla da fare, mi è capitato con più frequenza di buttare un occhio sui social e con noia ho notato che propongono i soliti contenuti di anni fa, quando ne ero un maggior utilizzatore.
Perché dovrebbero cambiare, visto che chi ne fa uso replica sempre le stesse cose?
Ora capisco quanto è azzeccato il termine profilo. Essendo un profilo, non posso che comportarmi per parametri ben delineati. Ad esempio, siccome internet lo sfrutto per l'arte quasi esclusivamente, su fb pubblico per lo più cose relative all'arte, e così via.
Le persone, quindi, sono identificabili con i contenuti che condividono e a loro volta si identificano tramite essi. Noto questa dinamica perché sono sempre interessato alla fotografia e il veicolo principale di questo genere di comunicare è l'immagine, piuttosto che il testo scritto. Qui mi interesso perché paradossalmente le persone vanno a comunicare un qualcosa che capita a loro, o descrivono come sono intimamente o le loro preferenze usando, nella quasi totalità dei casi, delle foto che non hanno fatto loro e non raffigurano loro, ma che provengono dalla rete. Un condividere foto che simboleggiano qualcosa e non rappresentano.
Vale a dire che la foto è un codice come una parola, un suono, una lettera dell'alfabeto che serve per comunicare attraverso il social, che è appunto il canale. Per dirci cose simili, mostriamo le stesse foto, addirittura scattate da qualcun altro e che usiamo perché a portata di mano. Non sono sicuro che sia da condannare o criticare come superficiale, questo mezzo di comunicazione, perché è la stessa dinamica della lingua orale e scritta; solo che si fa uso di immagini. Bisognerebbe, piuttosto, creare una cultura, un'istruzione riguardante le immagini, così che non ci si fermi al semplice e all'immediato e possano veicolare anche concetti più profondi di quelli che si riscontrano di solito; poter usare le immagini per poter parlare in modo più personale e originale di sé; comporre una poesia… Altrimenti, le immagini che uso sono intercambiabili con quelle di chiunque altro (ti presento un'altra persona al posto mio…): siamo destinati a Fahreneit 451 o al perfetto opposto?
La risposta sta nell'analizzare l'opinione diffusa che tutte le immagini che vengono condivise non vengono poi anche guardate. Tuttavia, non è che non vengano scorte, seppure molte sicuramente passano inosservate e sospinte oltre (nel "passato") dal flusso di foto, ma nel senso che non si tratta di immagini distinte. Cioè non si separano dal flusso e sono tutte in linea con uno stesso stile (come se l'autore, tra l'altro, fosse uno solo) e compongono la totalità di immagini che vediamo nel corso della nostra giornata passando così oltre come un dettaglio visto dal finestrino dell'auto in corsa. Quello che si vede dal finestrino è, infatti, sempre lo stesso, anche quando si attraversa un paesaggio mai visto prima; e infatti non captiamo queste foto come rappresentazione o analisi, ma ripetizione e copia.

Senza accorgercene si è già passati al quadro successivo.

17/04/16

Internet sta omologando a livello mondiale il modo di mostrare e quindi recepire un'immagine.
L'immagine è il canale da sempre utilizzato per facilitare il dare spiegazioni: si creano delle immagini -anche a parole- per rendere più chiaro un argomento. Quindi, è un canale privilegiato per portare informazioni in modo ampio verso gli altri - l'esterno. Avrebbe meno valenza usare internet per portare immagini dall'esterno verso l'interno per poter dialogare, come non sarebbe frequente una comunità che arricchisca il proprio linguaggio con immagini esterne dato che questo esiste già da secoli. Ecco che, allora, la comunità, anche nel piccolo, nel locale, è quella che si adatta ad un mainstream esterno, universale, per comunicare nel resto del mondo. Questo comporta l'adattarsi ad un'omologazione del linguaggio. Ma se la lingua parlata è protetta dal regionalismo e non ha esistenza in internet in quanto c'è principalmente l'inglese come lingua di scambio, le immagini invece vengono adattate e omologate a quelle già esistenti. Il mainstream di immagini, che figuro come un flusso che attraversa tutta la rete e sovrasta tutte le comunità, avrà di certo avuto un inizio; sarebbe ora di indagare per capire qual è stata la prima immagine.
E' il perfetto opposto della globalizzazione che è l'adattare al locale un prodotto multinazionale per così ricavarne una nuova fetta di mercato; creare un dialogo con quanto già esiste e favorirne la sua continuità per dare un senso di alternativa e novità al prodotto della multinazionale.
In conclusione, abbiamo un pubblico uniformato fenomenale che recepisce ed è in grado di leggere gli stessi segni, gli stessi codici: l'intera popolazione mondiale. Ancora di più, allora, e non solo in chiave filosofica o poetica ma pratica, l'artista deve pensare di proporre un'immagine che potrà essere letta dall'universo, quando sta realizzando un lavoro.
L'uomo è riuscito a creare con questo una sintesi totalizzante, ma ora questa obbliga l'umanità a delle regole precise nelle proprie azioni comunicative. Pertanto, l'immagine non deve essere più considerata come rappresentazione, ma anche come azione perché essa è realizzata attraverso uno standard dal quale ci si può scansare solo a rischio di dare vita a immagini non comprensibili.
In altre parole, è stata creata un'entità creatrice. Una forza superiore in quanto è uno statuto inviolabile; se violato forse non si fa più fotografia/arte, ma qualcos'altro.

Bisognerebbe ora capire per quale contributo optare: creare nuove immagini come se fossimo una divinità e quindi che si integrano e armonizzano al resto del creato con equilibrio e naturalezza, oppure crearne di illeggibili e inedite come un alieno e quindi che non si adattino all'ambiente e fungano da scandalo o da reazione (a mo' di rigetto).

16/04/16

Un'opera d'arte deve essere realizzata usando immagini autonome.
I lavori artistici che tollero a fatica sono quelli che presentano degli elementi (che sono/formano immagini) che per il modo in cui sono rappresentati, i materiali scelti o il soggetto, paiono comunicare direttamente al pubblico come se avessero una personalità manifesta. Il pezzo esposto al pubblico deve avere queste caratteristiche - ma qui intendo come se l'immagine avesse bisogno di uno spettatore per essere completa.
In altre parole, tollero a fatica l'immagine che viene accuratamente scelta o realizzata per compiacere il pubblico, come se ammiccasse o sorridesse, con la conseguenza di creare non un oggetto ma un soggetto. Ricordo una mostra in cui ho visto tutti i pezzi esposti con questa caratteristica: c'erano delle foto di crepe sul muro, ad esempio, e non erano fotografie innanzitutto, ma crepe sul muro, perché quelle crepe erano state scelte per degli aspetti particolari che le rendevano degne di essere notate; e questo era anche la finalità delle foto e del fotografo.
Poiché quelle crepe avevano caratteristiche che le rendevano particolari (avevano una personalità) e per questo erano state notate dal fotografo e così distinte dalle altre con uno scatto fotografico, non erano "naturali"; quindi non dovrebbero stare esposte da sole perché non comunicano nulla al di fuori di quel dare informazioni su di sé, farsi conoscere. Dipendono da un pubblico che ne prenda nota.
Perché l'opera d'arte funzioni, deve quindi essere formata da elementi autonomi; nei miei lavori io ne faccio uso: le fotografie. Uso precisamente foto che ho trovato e che appartenevano ad altri; non sarebbe la stessa cosa se utilizzassi immagini fatte da me. Una forza c'è nel realizzare un'immagine partendo dalla tela bianca e un'altra partendo da un'immagine esistente realizzata da altri e per un'altra destinazione: estrapolarne quindi alcune informazioni per una sua mutazione, un suo progresso. E' anche intrigante e più difficile, utilizzare immagini autonome. I lavori esposti in quella mostra che vidi, al massimo potrebbero essere considerati del materiale da utilizzare per realizzare delle opere d'arte.
L'immagine autonoma è un testo, quella non autonoma è un contesto. E' l'ambiente in cui l'opera verrà esposta a dover semmai trasmettere un'immagine non autonoma di sé, nel senso che non abbia una chiara personalità e riconoscibilità.
I lavori site specific, a contrario, fanno leva sul proporre un'opera che si rivelerà di non facile lettura solo perché inserita in un ambiente riconoscibile; o comunque che comunichi che ne è richiesta, una speciale lettura, perché lo spazio non ne avrebbe bisogno. L'opera d'arte, qui, conquista perché aliena.
Ammetto che sto riconsiderando il mio giudizio sui lavori site specific, il motivo è proprio perché non vengono letti come se fossero un'unica opera con l'ambiente circostante, ma sempre come degli elementi estranei all'interno di uno spazio che viene compreso senza alcuno sforzo, all'istante e quindi è, in generale, indipendente.
Per questo motivo, non trovo che bisogna cercare nuovi modi di proporre l'arte ma nuovi modi di farla.
Come un nuovo inizio, piuttosto, le opere dovrebbero essere esposte su una parete bianca, cercando l'essenza; piuttosto che pensare al site specific, bisognerebbe ispirarsi alla pinacoteca.