29/12/20

Fine Covid-19. Perché mai riprendere il mondo come lo avevamo lasciato?

Nel Vangelo Pratico espongo certe contraddizioni fra la realtà e la personale idea che si ha della realtà. Infatti, di ogni capitolo si può cogliere la proposta più profonda se si tiene a mente che la natura basilare della realtà è il suo continuo mutare mentre di solito la si immagina che rimarrà come appare per sempre.

Nulla può esistere se non attraverso una ciclicità che impedisce di restare impassibili e sempre uguali. L’eccezionalità di quanto sta accadendo in questo 2020 ne è un esempio ideale! Proprio come il convincersi che le cose devono per forza tornare a com’erano prima del Covid-19, per poter essere positive, è la prova della mentalità contraddittoria che ci caratterizza!

La mancanza di novità e miglioramenti nella vita porta spesso a desiderare un cambio di rotta oppure a un lamentarci perché le cose non stanno andando come vorremmo. Allo stesso modo, prima dell’esperienza Covid molte persone si lamentavano delle situazioni che vivevano, del governo, della squadra del cuore, del lavoro, del partner… e ora si lagnano che è invece l’attuale situazione a non andare bene perché limitante rispetto a prima. Ma quel “prima” è purtroppo quello di cui non erano contenti.

A me non piace affatto quando i mass media paragonano lo sconquasso del Covid come a una guerra. Tuttavia, diventerebbe appropriato se decidessimo di vedere questo periodo come un ribaltamento tale da obbligarci a cambiare in qualche modo le abitudini che non ci portano felicità. Se prima ci lamentavamo di qualcosa, la vita ci offre questo evento che ci spinge a virare le nostre consuetudini, le opinioni, le attività, i gusti, gli interessi. L’ignorarlo, invece, è l’atteggiamento contraddittorio di esser convinti che le cose possono o devono per forza rimanere sempre uguali…

Visto che non è immediato cogliere l’importanza di provare le cose in maniera diversa, anche quando non si è pienamente soddisfatti di come andavano, possiamo immaginare che questo momento di lockdown è come un tempo sospeso nel quale semplicemente si attende che un personale cambiamento potrebbe succedere… Se addirittura siamo convinti che sia difficoltoso o irrealizzabile, potremmo perlomeno iniziare a considerare che il modo in cui era il mondo fino a un anno fa ha concretizzato una cosa come questa epidemia: perché mai volerlo riprendere identico da come lo avevamo lasciato?

Buon 2021!




23/12/20

Far qualcosa (anche di spirituale) per avere qualcosa in cambio è ancora un agire con la mentalità economica.

Dopodomani sarà Natale, una data davvero significativa per me visto che ho pubblicato un libro che mette il Vangelo e le parole di Gesù al centro di tutte le riflessioni. Mi guardo attorno e dal web si affollano appuntamenti legati al Natale che offrono esperienze proposte da gruppi di persone fedeli a un principio spirituale di cui intendono condividere il massimo beneficio. Tutto si basa sulla convinzione che nei periodi in cui ricorre l’anniversario della nascita di una figura spirituale elevata si possono trarre eccezionali riscontri in misura di quanto si prega, medita o si compiono cerimonie dedicate.

Ovviamente tale approccio è meraviglioso perché ogni spinta verso l’alto è sempre promotrice di una crescita; inoltre, chiunque pratichi il Vangelo (come trattato nel mio libro) considera Gesù come uno dei Maestri essenziali. Malgrado ciò, senza criticare, vorrei far notare che questa prassi di far qualcosa (anche di spirituale) per avere qualcosa in cambio è ancora un agire con la mentalità economica e mondana di cui abbiamo già accennato nel precedente post. La quale, paradossalmente, viene considerata l’ostacolo che si vorrebbe scavalcare proprio tramite quel cammino spirituale.

Fare qualcosa, donare la propria devozione con l’obiettivo di guadagnarci pare anche a voi che allontani invece dal Cristo? Ripeto, qui non si vuole condannare, anche perché chi si comporta in tale modo lo fa con convinzione e pure con fede; ma può essere questa, la fede che ci permetterà di andare oltre la realtà caratterizzata dal dare e avere?

Anche nel mondo cristiano più tradizionale, in questi giorni ci si riunisce per celebrare l’avvenimento, e di certo si pregherà per un nuovo anno migliore rispetto a quello che sta finendo. Ma desidereremo che questo miglioramento avvenga chiedendo un aiuto straordinario al di fuori di noi oppure proveremo a volerlo considerandoci noi quell’evento speciale, unico, vibrazionale, extraterrestre, angelico, salto-quantistico, benedetto, splendente, illuminato che creerà la differenza?

Buon Natale!




17/12/20

Che cos’è un problema?

Che cos’è un problema? È quanto si mette in mezzo fra noi e i nostri desideri. Un problema è ciò che rende faticoso vivere, come pure può esserlo una semplice pioggia se desiderassi invece una bella giornata per uscire. Si potrebbe così ammettere che di problemi ne esistono di tanti tipi e con diverse sfumature di gravità. Non sempre conosciamo la migliore soluzione da prendere, non è così?

Posto che non conosciamo la soluzione, come potremmo fare per trovarla e riconoscerla? Una soluzione potrebbe nascondersi infatti dietro qualsiasi cosa; sicuramente qualcosa che non era stato previsto, dato che appunto non la si conosce… Allora mi pongo queste domande: e se la soluzione ai problemi fosse già giunta? Oppure se quello che giudichiamo un problema, non possa essere invece parte della soluzione? Il giudicare potrebbe metterci nella situazione limitante di non accorgercene.

Il monito “non giudicare” ripetuto con insistenza nei Vangeli non è una semplice regola per vivere serenamente in mezzo agli altri, ma il primo passo per aprire i propri occhi VERAMENTE. E così innescare una serie di novità su di sé che non si sapeva di avere e che saranno indispensabili al viaggio rivoluzionario che sarà la pratica del Vangelo.

Con l’augurio che il 25 Dicembre sia l’inizio della nostra novità, della sorpresa nella nostra vita. Dell’esplorazione di una realtà decisa da noi.





02/12/20

Praticare il Vangelo per essere reali

 Estratto dal mio intervento al convegno Dialogando con gli autori della Casa Editrice Anima Edizioni, 29 Novembre 2020. Si può rivedere al link Youtube.






Praticare il vangelo per conoscere chi si è realmente, per essere reali. Perché tutto quello che può venir descritto nella propria biografia è un elenco di esperienze che sono state vissute nel passato, pertanto non hanno a che fare con la realtà che è il presente, quello che si sta vivendo.

Si è abituati a presentarci parlando di quanto si è vissuto oppure degli obiettivi fissati per il futuro. Quindi, in entrambi i casi qualche cosa che non è presente, non è quello che stiamo vivendo: qualcosa che non c’è più o qualcosa che forse succederà.

Nella mia biografia, si legge che sono uno scrittore e artista visivo e per davvero ho scritto un libro e sono un artista perché faccio mostre, non è falso. Ma tutto quello che posso utilizzare per descrivermi, tutto quello che posso dire dopo la parola IO, ha a che fare non con quello che vivo, ma con quello che ho già vissuto. La vita è quello che si vive, non quello che è già vissuto, perciò il momento esclusivamente presente. Quindi, per vita intendiamo precisamente il momento in cui sto scrivendo “il momento in cui sto scrivendo”. Non un attimo prima, non un attimo dopo. Quindi non abbiamo neppure un sufficiente lasso di tempo per tirare fuori delle definizioni, delle discriminazioni, delle precisazioni su chi siamo.

Allora: chi siamo, cosa siamo? Vi invito a fare queste riflessioni su di voi perché capita a tutti quanti di utilizzare delle convenzioni per poterci raccontare mantenendoci quindi in equilibrio su questa strana cognizione che abbiamo del tempo.  Ovvero, utilizzare il verbo al presente per raccontare cose del passato. Dire chi sono raccontandovi quello che ho fatto, quindi quello che ero, cosa ero. Oppure, raccontandovi quello che aspiro a diventare. Tutti quanti infatti abbiamo intuito che qualcosa non quadra perché ci vengono fatte delle domande su chi siamo e cosa facciamo e ci si aspetta come risposte delle definizioni che possono andare bene per un generico “per sempre”, un assoluto; quando in realtà stanno a mostrare un nostro generico o particolare passato. Per spiegarmi: ricordo che la prima volta che ho notato questa discrepanza è stato quando un amico mi ha chiesto quale musica ascolto, ma non c’era nessuna musica in quel momento. Si usa il verbo al presente per chiedere in realtà del passato. Infatti, io ho dovuto rispondere per convenzione raccontando della musica che ascolto solitamente; sicuramente era questo che voleva chiedermi il mio amico. Ma facendo così sarebbe come dire che non ho ascoltato o non ascolterò un’altra musica; magari dieci minuti dopo avrei scoperto la musica che mi avrebbe appassionato per molto tempo… Oppure quando si domanda cosa si fa nel tempo libero: ma come si fa a elencare effettivamente tutto quello che si fa? Sono convenzioni. E va bene utilizzare convenzioni anche se appunto non corrispondono alla totale verità perché ci permettono di sentirci appartenenti a un gruppo. Difatti, non dico che sia sbagliato rispondere in questo modo o sia sbagliato mentire, è normale facilita appunto l’essere accettati dagli altri. Quindi è normale mentire agli altri per poter far credere di pensare in un modo: quello in cui pensano tutti. Nell’esempio che abbiamo fatto: lasciar credere che consideriamo che facendo domande al presente si intende invece domandare del passato; oppure lasciar credere alle persone di avere le stesse idee sulla società o sulla religione per sentirsi appartenenti alla comunità. Ma qui stiamo parlando: quando si è da soli, con se stessi, almeno in quel momento, cercare di essere sinceri.


Quindi va bene raccontare agli altri in maniera generica di noi, però quando si è da soli, si parla con se stessi, dovremmo cercare di essere sinceri e dirci che non sappiamo chi siamo effettivamente e domandarci “chi sono veramente”? Sì, io posso dire di essere un artista perché ho realizzato mostre e uno scrittore perché ho pubblicato un libro, ma quando io mi domando “chi sono”, posso dire di essere un artista, uno scrittore? Che in quel momento sono proprio quello?

O sono soltanto dei ruoli, delle etichette? Se io non posso usare il mio passato per rispondermi, sono solo “io”. Quando si è sinceri con se stessi, si possono vivere delle esperienze davvero proficue, realizzare grandi cose. Se si riesce a essere sinceri su di sé anche con gli altri, si possono fare grandi cose anche per gli altri; ma perlomeno con se stessi bisognerebbe essere sinceri… Tutti quanti abbiamo notato, ad esempio, che quando ci vengono fatte domande personali, in verità ci viene domandato altro; sono appunto convenzioni. Alla domanda “cosa fai nella vita”, sappiamo che convenzionalmente ci viene domandato altro: qual è il tuo ruolo all’interno della società, o meglio: il tuo lavoro. Cioè la tua utilità, quanto utile apporti alla società. Perché chi come me fa lavori, come l’artista, che non portano delle entrate costanti, sa bene che quando si fanno delle domande simili (tipo: cosa fai nella vita) la gente vuole sapere come fai a guadagnarti da vivere. Infatti, se io rispondo che sono un artista, spesso l’interlocutore mi risponde: “sì, va bene, ma nella vita cosa fai per davvero”. O precisa: “sì, ma cosa fai per pagare le bollette”. Allora vuole sapere cosa faccio nella vita, che lavoro faccio o come mi pago i conti? Ricordo anche che una volta ho risposto, perché ero più giovane, “scrivo poesie” e l’altra persona mi ha replicato: “sì ma cosa fai per vivere”… ma mica scrivo poesie per morire. Sono tutte convenzioni che si usano e che possono però creare fraintendimenti. Dei fraintendimenti perché appunto quello che si è realmente sarebbe piuttosto quello che si è nella realtà, cioè quello che si sta vivendo. E quello che si sta vivendo spesso non è quello che crediamo o che presentiamo per poterci descrivere: quelli sono ruoli oppure avvenimenti che abbiamo vissuto nel passato che ci hanno caratterizzato. Tutti quanti abbiamo vissuto esperienze che hanno segnato i passi avanti della propria esistenza ma sono sicuro che ce ne saranno altri. Non si può descrivere quello che siamo nel presente descrivendo il passato. Questo significa che in verità per potersi descrivere non si possono adoperare delle definizioni. Questo permetterebbe una libertà di ampliarsi ed emergere nella vita che non ha equali. Ripeto: con gli altri ci si può descrivere come si vuole, si può lasciar credere qualsiasi cosa, ma almeno con se stessi affermare di essere esattamente quello che si è in questo momento permetterebbe di liberarci dalle definizioni che vengono utilizzate e accedere a un paesaggio che appunto non prevede definizioni, che è l’anticamera dell’infinito, dell’imprevedibilità. Preferite vivere in modo prevedibile?


Praticare il Vangelo, infatti porta a un essere liberi dal dipendere da quello  che ci circonda; significa diventare liberi dal dipendere che siano altre cose, attorno a noi, a definirci, a dirci di essere in un modo invece che in un altro, in un lavoro o in una definizione. Poiché ci si riconosce nella vita e la vita è il momento in cui si sta vivendo e non il passato o il futuro. Praticare il Vangelo non ha come obiettivo diventare dei bravi cristiani, forse neppure cristiani, né delle persone perbene, dei bravi catechisti: non fa diventare le persone in un modo preciso; altrimenti si finirebbe in altre definizioni ancora.

Questo può spiazzare perché porterebbe la persona, l’eventuale praticante del Vangelo, a ritrovarsi a non scegliere delle vie programmate, dei percorsi prestabiliti, ma predisposti ad accogliere l’imprevedibile, perché vivendo il momento presente, non c’è nulla da controllare. Non lo si può controllare, se non la volontà di viverlo. Perché se io accetto una definizione di me, allora mi precludo tutto il resto e rimango concentrato (anche nel mio presente) che io sono quella cosa: sono un artista, uno scrittore. E si scopre così che non è una concentrazione, il sapere chi si è, ma una distrazione poiché porta come a essere in vacanza da se stessi, da come si è veramente. Lo spiego in questo modo: non è che il passato è trascurabile o non esiste, no il passato ha concretamente permesso che diventassi quello che sono, mi ha costruito; ha la sua importanza. Ma non è che “passato”, perché anche il diventare artista o scrittore non sono cose del presente ma del già vissuto. Il passato è indispensabile per farmi diventare la persona che sono ora, cioè la persona che sta vivendo la vita che è il momento presente. In altre parole, tutto quello che io ho vissuto nella mia vita mi è servito per poter diventare la persona che sta vivendo questo momento; quindi tutte le mie esperienze e il mio passato hanno senso per quello che sto vivendo ora: cioè scrivervi. Si può dire che lo scopo della mia intera vita è questo: vivere questo momento. Proprio come lo scopo della vostra vita che mi state leggendo è quello di leggermi. Tutto quello che avete vissuto (se credete nelle vite passate pure tutto quello che avete vissuto in tutte le vostre vite passate) ha avuto come scopo l’arrivare in questo momento e leggere questo testo. Non sto facendo discorsi egocentrici e superbi anche perché fra 10 minuti starete facendo qualcos’altro e lo scopo della vostra vita sarà quello che farete in quel momento. Sto proprio focalizzandomi sul presente e quindi se ci si abitua a pensare che il passato ha certamente importanza per avermi formato e portato a questo punto (lo scrivere questo testo), allora mi fa sentire che tutto il mio passato, il mio vissuto, le mie esperienze si concentrano in questo momento e io questo momento lo sto vivendo assieme a tutto quello che ho vissuto, nella piena concentrazione, senza pensare di essere nient’altro che una persona che vi scrive. E questa azione la sto considerando come l’unica che sto facendo nella mia vita proprio perché la mia vita è questo momento in cui vi sto scrivendo proprio come per voi è leggere. È tutto quello che sto facendo nella vita. Quindi vivere questo momento presente con tutto quello che sono, tutto quello che ho: il mio passato, il mio corpo, i miei eventuali pensieri sul passato e sul futuro. Questo permette una ricchezza, una profondità, una connessione che travalica il semplice trasmettere informazioni. Infatti, ho scritto un libro trattando qualcosa di enorme come il Vangelo e qui vi scrivo in maniera leggera, ma lo sto facendo con totale attenzione e concentrazione, come fra 10 minuti starò facendo altro e vivrò quell’esperienza con totale attenzione e concentrazione come se fosse quello, lo scopo della mia vita. 

E allora ripeto: non è un discorso per accentrare su di me tutta la vostra attenzione ma per invitarvi a considerarvi voi, il vostro presente e la vostra vita come… ogni momento della vostra vita. E quel momento è lo scopo della vostra vita. Probabilmente stiamo parlando in modo generico, chi seguirà il percorso suggerito dal libro che ho scritto potrà lasciarsi andare a ulteriori riflessioni. Ma che sia chiaro: non sono solo speculazioni filosofiche e elucubrazioni astratte, sono considerazioni pratiche, quelle che abbiamo fatto fino a ora. E cioè rendersi conto di chi siamo, come è la realtà e come la consideriamo. E ripetendo il discorso sul tempo: quando viviamo la realtà, in quale momento. Infatti, la spiritualità (il mio libro parla appunto di spiritualità) non ci rende persone più spirituali ma più pratiche perché permette di mettere a fuoco quello che solitamente viene etichettato come astratto, evanescente. Quindi, parlare con leggerezza è perché procedendo nel cammino che si potrà leggere nel libro, è con leggerezza che ci si ritrova ad avere tra le mani la Verità. E non con la fatica e lo sforzo di tenere tutto sotto controllo e così il dovere di definire e spiegare ogni cosa. Con la libertà di essere liberi, libertà di essere indipendenti dalle definizioni di chi siamo stati e cosa dovremmo diventare nel futuro. Ma soltanto la vita, essere la vita, essere quindi nel presente. Infatti, questo discorso, come quello riportato nel libro, non l’ho fatto, non l’ho scritto perché ho avuto una particolare illuminazione, ho scoperto una cosa che gli altri non sanno, ma perché ho smesso di ricercare illuminazioni, di cercare quello che gli altri non sanno. Mi sono concentrato sulla libertà e sul presente. E l’ho fatto perché amo il presente, amo la libertà, solo per quello. Infatti non voglio essere un maestro o un nuovo istruttore che propone l’ennesima tecnica per risolvere o capire cose incomprensibili. Ho scritto quel libro perché sono un amante della verità, di Dio, del Vangelo. Sono un fan, solo per quello. Tutto il resto viene da solo. E la libertà permette anche che tutte le cose di cui si vorrebbe la risoluzione scompaiono poiché non si vedono più essendo voi, praticanti del Vangelo, vivi e quindi viventi nel presente. Mentre quelli che sarebbero problemi da risolvere sono cose avvenute nel passato o preoccupazioni per ciò che avverrà.

Auguri per il prossimo scopo della vostra vita… tra un istante.

26/11/20

29 Novembre 2020 "Dialogando con gli autori" convegno della casa editrice Anima Edizioni

 

Anche quest'anno, la Casa Editrice Anima Edizioni ha organizzato l'annuale convegno con i nuovi autori, tra i quali figuro anch'io. Qui il programma.

Il mio intervento si intitola Praticare il Vangelo per essere reali e sarà visibile in diretta streaming gratuita.

Vi aspetto Domenica 29 Novembre alle 14.30 su YouTube.




14/11/20

Essere felici solo quando si vivono le esperienze che ci rendono tali… È normale proprio come il voler evitare quelle che potrebbero invece far soffrire.
E anche ciò che ci fa felici, nel tempo potrebbe cambiare; oppure potremmo essere noi a vederlo in modo diverso…
Non sarebbe meglio essere felici e basta? Trovare la felicità e goderne per sempre, senza più cambiamenti o date di scadenza… Questo è molto difficile che succeda proprio perché a condizionarci è quanto ci capita. Quindi essere felici o il contrario a seconda delle esperienze che si vivono.
Come sarebbe allora una felicità se fosse piuttosto legata a qualcosa che non muta col passare del tempo, che non è dipendente da quanto ci succede attorno? Indipendente, illimitata e indistruttibile. E questa è raggiungibile allora quando non si fa affidamento per trovarla a qualcosa di esterno a noi… Sentirsi felici, soddisfatti e realizzati a prescindere che si vinca il primo premio della lotteria o si viva in mezzo a una pandemia.
È un risultato così importante per tutti noi che non ha senso non ricercarlo, procrastinarlo o ignorarlo. Cosa aspettiamo?
Praticare il Vangelo non significa diventare delle persone perbene o dei chierichetti per cui andare fieri, ma diventare uomini liberi dal dover dipendere da ciò che ci circonda per avere qualcosa in cambio. Anche qualcosa di personale e unico come la felicità.
Non si può attendere di provarci. E di volerlo.
Questo è l’unico sano desiderio che si possa avere. Specialmente ora.



11/11/20

Praticare il Vangelo per l'avventura

 I grandi Maestri della Storia non ci parlano del passato ma di come risolvere i dubbi sul futuro. Essi mettono a disposizione una conoscenza che evidentemente non si ferma a quello che si muove attorno a noi, perché altrimenti sarebbe una conoscenza rivolta a ciò che muta con il passare del tempo e delle abitudini. La conoscenza che propongono intercetta quello che non cambia, che sta più nel profondo, che riguarda noi al di là dei cambiamenti e dei condizionamenti. Una presenza di assoluto nelle nostra realtà transitoria… 

Allora l’accettare quanto capita nella vita non significa un rassegnarsi, non significa un essere contenti per quello che ci succede senza avere aspettative o desideri. La vera accettazione, che ci lancia nel futuro come raccontato dai Maestri, è possibile quando gli eventi della propria vita sono sentiti come ideali, tagliati su misura per ciascuno di noi anche se non dovessimo riuscire a decifrarli o valutarli. Anzi, meno ne diamo una spiegazione e più viene facile viverli e lasciare che accompagnino al prossimo capitolo della nostra vita. La quale, in questo modo, è un susseguirsi di esperienze imprevedibili e fuori programma. La persona che permette alla vita di indicarle la strada secondo quest’unica (non) regola è una persona che ama l’imprevedibilità e che si aspetta che la vita, non potendo essere già definita, sia scevra da destini e oppressioni. Un’avventura. Una sorpresa. Liberi anche dal dover per forza capire tutto e tenere tutto sotto controllo come se fossimo noi a essere gli unici, da soli, a portare sulle spalle l’esito di ogni cosa. Liberi allora, di seguire soltanto ciò che amiamo e amiamo fare, come se fossero la bussola da seguire, le molliche di pane per riportarci a casa. Alla sorgente. Assaporiamo insieme l’esperienza di una di queste avventuriere, Linda, grazie al suo blog “Riequilibrarsi” e che io ho conosciuto perché è una delle prime lettrici del libro che ho scritto, il Vangelo Pratico.

28/10/20

Entrare in una delle librerie preferite e trovare il proprio libro in esposizione...

Il mio libro lo sto vedendo esposto in varie librerie. E' un enorme piacere scoprire di essere scelto tra le varie proposte.

Questa foto l'ho scattata alla Libreria Ubik di Gorizia e la successiva alla Lovat di Trieste







16/10/20

il VANGELO PRATICO stampato

 


Dopo svariati mesi di attesa, con grande soddisfazione desidero informarvi che a partire dal 22 Ottobre il Vangelo Pratico sarà in vendita oppure ordinabile in tutte le librerie.
La versione stampata è comunque già da ora disponibile per l'acquisto online, come qui, che mette a disposizione anche l'ebook.
Sono letteralmente immerso nelle mie opere.


22/09/20

Michele Spagnolo, artista che conosco personalmente, studia da un po’ di tempo il mondo delle piante. Il suo intento è quello di riuscire a trovare un contatto, affidandosi a delle ricerche che mostrano come le piante comunicano e percepiscono il mondo esterno. Esse sono infatti sensibili alle emozioni e con particolari strumentazioni è possibile registrare le vibrazioni che producono. Queste vibrazioni possono essere tradotte in suoni, ovvero in vere e proprie composizioni musicali: alberi e arbusti come l’acero, la magnolia o l’aloe sono stati registrati da Michele per svariate ore rivelando questi scambi. Il suo modo di ascoltare il mondo vegetale si traduce in un rendere percettibile un’energia che altrimenti rimarrebbe inascoltata.

Passando ora al mondo dell'arte, vorrei rendere a parole un'idea difficile da materializzare, proprio perché ha a che vedere con la sfera della percezione. Nel rappresentare ciò che diventerà un suo “soggetto” l'artista si ritrova a mettere in atto dentro di sé un'operazione che definirei spontanea, ovvero si deve convincere che questo “soggetto” non stia mutando la sua forma (cosa che invece avviene continuamente). Si dice per esempio che uno scatto fotografico sia in grado di “fermare un istante”. Ma l'artista che fotografa, fermando l'istante, non può fermare la mutevolezza insita in tutte le cose. E' per questo motivo che nei miei lavori artistici sovrappongo più spazi e più tempi nel medesimo contesto. Un istante, un luogo riprendono così vita, si riprendono la vita che è stata loro negata nell'attimo stesso in cui sono stati “fermati”.

Allo stesso modo, ora scopro che le piante non sono mute o sorde, ma anzi accolgono gli stati emotivi di chi sta loro attorno. Così, anche da scrittore del Vangelo Pratico, ho spesso usato parallelismi con il mondo della natura, per far immaginare al lettore una energia che ci attraversa continuamente. Anche se non la vediamo.

Per chi volesse approfondire o chiedere informazioni a Michele e ascoltarne la musica, visiti la pagina “Musicologia Botanica”: https://musicologiabotanica.bandcamp.com/

15/09/20


Chi come me ha la passione di visitare posti abbandonati, sa bene quanto potente possa essere la natura quando è libera dal controllo dell’uomo. Sono sufficienti pochi giorni, infatti, perché le piante spuntino dove prima c’era un marciapiede, se si smette di camminarci sopra; dopo qualche settimana l’edera e altre piante rampicanti avranno già coperto buona parte delle superfici; un piccolo bosco si farà strada tra le crepe e gli interstizi fino a spingere e travolgere i muri. Gli edifici si mostrano per quello che sono, non appena cadono in disuso: un fragile cumulo di sabbia.

Quante volte ho trovato alberi sani e forti cresciuti da soli dal centro di una stanza, dove prima c’era il tavolo della cucina o una rampa di scale… Molto spesso, il curiosare nelle case vuote deve essere compiuto con cautela perché le piante fagocitano quello che secondo gli ingegneri dovrebbero invece essere i punti saldi: fondamenta, pavimenti, colonne, il tetto… Basta che non ci sia nessuno a tener lontano la vegetazione che ogni cosa potrà crollare e diventare di nuovo terra fertile… Infatti, anche se osserviamo queste cose, non si deve credere che la natura ci sia ostile. Cerca semplicemente la vita, non di prevaricarci; le piante sono semplicemente alla ricerca di una base sulla quale aggrappare le proprie radici… Anche qualcosa di enorme come un edificio, se dovesse crollare non sarà mai veramente una distruzione.


28/08/20

Prefazione al VANGELO PRATICO

 Prefazione

di Eva Comuzzi *

Ho conosciuto Enzo dieci anni fa, durante un reading di poesia. Sguardo

stralunato, fra l’assente e il perplesso, mi osservava e ascoltava in silenzio.

Poi si metteva in disparte. Non era semplice collocarlo, non comprendevo

chi fosse veramente. Se fosse serio o mi stesse prendendo in

giro. Era indubbio vivesse su altre frequenze. Poco dopo ho scoperto

che, oltre a scrivere, era anche un artista visivo e che proprio le sue

poesie davano spesso vita a performance, video o fotografie. Anche in

quel contesto l’occhio era sfocato, in un alternarsi costante di presenza e

assenza, rapporti con la realtà, l’apparenza e la distorsione. Vi percepivo

un tentativo costante di mettere in discussione vari punti di vista. E poi

aveva sempre un legame molto stretto con la luce. Con l’illuminazione,

potrei dire ora. Questi interventi di stratificazione e dissoluzione continuavano

anche nei suoi video, dove la riflessione sulla memoria, il

vissuto e il passato era forse ancora più evidente. Credo sia stato proprio

partendo da questi “dubbi visivi”, da queste immagini ancora fuori fuoco

davanti e dentro sé, che Enzo abbia iniziato una riflessione più profonda

sul suo essere artista ma anche sul suo essere uomo. Dopo varie mostre

fatte assieme, infatti, lo scorso anno, durante un dialogo pubblico, mi

comunicò che il manifesto del suo lavoro c’era già ed era il Vangelo.

Un’affermazione che ancora una volta poteva sembrare eccessiva, fuori

luogo e anche in controtendenza per una persona della sua età. Soprattutto

per un artista. Ricordo che per quell’incontro portò pochissime

immagini della sua produzione, quasi volesse farla immaginare a chi ci

ascoltava. E nominava spesso Gesù e il suo viaggio raccontato nei Vangeli.

“Seppure non lo citi direttamente”, disse, “il Vangelo è ciò che mi ha

permesso di alzarmi verso la luce e verso una maggiore consapevolezza

e libertà. Nella ricerca di ascesi, la gente viene fatta confluire, anche per

motivi commerciali, in quel grande bacino dove c’è tutta l’alternativa

al Vangelo, dalla New Age alle religioni orientali, dalla naturopatia alla

cromoterapia, all’ufologia e così via”. “In realtà”, continuò, “sono tutte

pratiche che immobilizzano, anziché liberare (almeno nella loro versione

occidentale) e sono convinto che in tutto ciò ci sia un tornaconto, che

sia una modalità commerciale per racchiudere le persone in gruppi e

categorie regolate”. E la nostra riflessione si era poi spostata sul notare

quanto fosse presente, anche nel mondo artistico – nelle ultime biennali,

in particolare – la presenza dell’alchemico, dello sciamanesimo. Dello

spirituale. È questa una moda o una reale esigenza? È una volontà di

ritrovarci, attraverso simbologie arcaiche e riti ancestrali e di riportarci

alle energie della terra che stiamo sempre più violentando o un altro modo

per perderci? “Se inviti le persone a osservare l’arte e a concepirla come

qualcosa di più profondo, ovvero qualcosa che passa anche attraverso i

suoi simboli”, continuò, “significa che hai intercettato che c’è anche un

bisogno da parte del pubblico e dell’artista di avere un orientamento in

tutto ciò. È evidente che questo dipenda dal fatto che qui da noi non si

viene preparati alla spiritualità”. Secondo lui e, a mio avviso, non a torto,

tutta questa domanda di spiritualità non sa però che cosa effettivamente

domandare. E questo problema, ovvero che cosa posso chiedere, dove

posso andare a cercare le mie risposte, era ben evidente nella successiva

performance messa in atto nella chiesa di San Girolamo a Cervignano

del Friuli, in occasione della mostra The Other Side Of The Moon, da me

curata con Orietta Masin. Ne Le persone con molti corpi, dei musicisti

suonavano di fronte all’altare, mentre Enzo, al centro era un ammasso

informe. Una maschera che attraverso una forma di esorcismo cercava di

liberarsi dalla sua Persona per diventare Essenza. All’apice del concerto,

attraversava il pubblico legando tutti i presenti tra di loro con dei fili. Lo

scopo, anche qui, era quello di manifestare, come in un sogno, quanto

potrebbe accadere quando si cerca una libertà tramite lo spirituale senza

sapere dove cercare. In questo libro, suddiviso in quattro parti principali

(consapevolezza, compassione, fede e beatitudine), Enzo cerca di darci

dei suggerimenti per imparare a domandare e cercare, nel modo e nei

luoghi più adatti, al nostro sé più profondo. Per la partenza ci suggerisce

una cosa fondamentale, ovvero l’abbandono di quel controllo continuo

e ostinato che abbiamo e che pensiamo di poter avere su tutto, con con-

seguenti malesseri e sensi di colpa se ci distraiamo da esso e accade

qualcosa che non avevamo previsto. “Accettare il mistero”, sostiene

Enzo, “è il primo passo del viaggio verso la consapevolezza. Un salto

nel vuoto fa paura e questo è il motivo per cui spesso ci si accomoda a

sostenere che bisogna piuttosto vivere tenendo tutto sotto controllo.” Ma

la vita, come egli sostiene, non è un momento per stare attenti. Piuttosto,

aggiungo io, è un momento per fare attenzione a tutto ciò che ci accade

e ci circonda. Un momento per osservare e comprendere come tutto sia

in connessione e come questo abbia un senso per il nostro percorso, che

a sua volta ha un senso solo se vi è azione e trasformazione. Come lo

scrittore e giornalista brasiliano Fernando Sabino affermava: “Di tutto

restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che

abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima

di finire. Pertanto, dobbiamo fare: dell’interruzione, un nuovo cammino,

della caduta, un passo di danza, della paura, una scala, del sogno, un

ponte, del bisogno, un incontro”.

2019


Storica dell’arte.




21/08/20

 https://youtu.be/XiH2Ze1O-eY

Da oggi inizia il canale Youtube che raccogliere video per poter condividere quanto amo: la vita, la realtà e la sua conoscenza...

17/08/20



Ciao a tutti, vi voglio parlare dell’arrendersi a qualcosa di infinitamente più grande di noi.

Per capire, facciamo finta che questo “qualcosa” sia una persona: quando si può giungere al desiderio (non forzatura) di arrendersi a un altro? Quando questo desiderio è mosso dall’amore verso l’altra persona. Così, spontaneamente cessano le opposizioni, scompaiono i contrasti e le resistenze.

Amare questo qualcosa di infinitamente più grande di noi è possibile anche se non è un oggetto definibile. Anzi, proprio perché caratterizzato dall’infinitezza è senza limiti, onnipervasivo, universale… è la vita stessa. Quello che nelle religioni, per convenzione, si è deciso di identificare con il termine “Dio”. Allora accoglierlo significa accogliere la vita e dirle sempre di sì. Più si accetta quanto capita nella vita e più c’è amore. Ma anche creare l’ambiente ideale per cui la vita e l’amore affluiscano.

Come sarà un’esistenza carica di amore e vita? Ricca di felicità, soddisfazione e realizzazione.

Ma attenzione, non si sta parlando che per essere pienamente felici bisogna compiere chissà quale sforzo, che per avere appagati i propri desideri si deve per forza rinunciare a qualcosa o che per vivere una vita realizzata bisogna mettere in conto che la spunterà solo chi si carica di caparbietà e spirito di sacrificio. 

No, non ci sarebbe alcuna guerra o arrampicata da compiere. 

L’unica cosa da fare è semmai il contrario: smettere di opporsi a quanto la vita propone, scegliere di reagire alle cose con amore. E anche questo atteggiamento è da compiere, non è spontaneo. È il modello mostrato nel Vangelo, il quale deve essere, appunto... fatto.

Io sono nato e cresciuto in un ambiente cattolico, così che spesso capitavano occasioni in cui si parlava del Vangelo (in chiesa, a scuola, a catechismo, in famiglia). Eppure tali discorsi parevano poi non avere un riflesso nelle scelte quotidiane, nel modo di vivere… anche di coloro che me lo volevano spiegare. Come se esso fosse solo un costume, una tradizione aleatoria da tramandare della quale è sufficiente acconsentire a farne parte e accettare di capirla in un modo o in un altro. Invece, il Vangelo non è una cosa che deve essere semplicemente capita, anzi, va al di là del mero comprendere. Addirittura, per adattare certe pagine al ragionamento quotidiano delle persone, trovavo che il Vangelo veniva spiegato in modo banale, sempliciotto e pure mitico. Come qualcosa, appunto, che può solo essere messo da parte quando si crescerà e si inizierà a fare le scelte autonome per la propria vita.

Piuttosto, il Vangelo è pratico e in questo modo lo tratto nel mio libro. Assumere nella propria vita i comportamenti lì introdotti, anche le riflessioni che apparentemente paiono illogiche, porterà a un cambiamento radicale nella propria vita. Inaspettatamente. Arricchendola di felicità, soddisfazione e realizzazione che non si consumano.

Come si può avere la prova di ciò? Nel fatto che io non ve lo sto dicendo perché l’ho imparato da qualche parte, ma perché lo vivo. Iniziamo a imparare, infatti, che il Vangelo non invita a una vita speculativa ma pratica. Tant’è che non vi servirà a niente credermi, perché le credenze non possono portare a cambiamenti inconsumabili come qui proponiamo: voi tentate e poi credete solo a quello che troverete. Fatevele da sole le prove.

A meno che, ovviamente, voi non abbiate già deciso che la felicità può essere invece solo qualcosa di transitorio e fugace... 

10/08/20


Ciao, sono tornato ora da 10 giorni di vacanza, spero che anche le tue ferie siano state piacevoli come le mie.

Nel corso del viaggio, mi sentivo incuriosito per qualsiasi cosa mi si parasse davanti... capita a tutti, vero? Specialmente quando si va in un posto mai visto prima.

Sono stato così attirato da tante novità e sorprese che avevo l’impressione di non poterle comprendere del tutto. E addirittura che alcune mi sarebbero sfuggite.

Ma questo è normale se si vuole vivere un’esplorazione, un visita conoscitiva di luoghi mai incontrati. Come si potrebbe infatti compiere un viaggio di questo tipo sapendo già cosa ci si aspetta? Sarebbe piuttosto un semplice andare da un’altra parte…

Addirittura, in un viaggio si è un po’ obbligati a modificare le proprie abitudini. Se no, sarebbe un fare sempre le cose consuete cambiando solo il contesto, la scenografia sullo sfondo.

Invece, il vivere situazioni diverse, fare nuove esperienze, ricevere così stimoli fuori programma che potrebbero arricchire intimamente il viaggiatore, sono fattori talmente importanti per il benessere da far da sempre considerare il turismo come un vero e proprio bisogno. E non un semplice divertimento o intrattenimento. 

Tutti siamo consapevoli di ciò perché, in un modo o in un altro, siamo nelle condizioni fortunate di poter staccare dalla routine ogni tanto. Opportunità che, come sappiamo, non è scontata: non lo è stato di certo per chi viveva altre epoche e, purtroppo, non lo è oggi per chi è inserito in ambienti che pongono troppi limiti.

Ora voglio farvi notare che vivere esperienze sempre nuove e mutevoli è la caratteristica stessa della vita. Non solo di un viaggio perché ci porta altrove; anzi, possiamo proprio dire che la vita stessa è come un viaggiare. 

Potreste dire che la vostra vita è un viaggio?

Ovvero, nel corso della vostra quotidianità, cercate di dirigervi verso la novità, l’inedito, l’inaudito, l’ignoto…? Oppure utilizzate quello che già conoscete come punti di riferimento da usare per le scelte e le preferenze?

Io ricordo che durante le vacanze cerco sempre di dirigermi verso dove non so cosa troverò: quest’estate sono stato in un’isola della Grecia e ogni giorno andavo su una spiaggia diversa e così via quando visitavo i villaggi o pensavo a cosa avrei mangiato a cena…

La vera vita è quella che ci aspetta finita la vacanza o è invece quella che viviamo durante la vacanza?

Ovviamente non si vuole criticare il modo in cui uno decide di vivere e le scelte personali, ma con un tono leggero si vuole far riflettere: quando si è in viaggio (come io in Grecia, fino a poco tempo fa) sarebbe lo stesso se ci si recasse sempre nella stessa spiaggia, se ogni giorno si visitasse lo stesso villaggio e mangiato al solito tavolo con il solito menù?

27/07/20

Dovremmo immaginare la vita come la spedizione di un avventuriero in un paese sconosciuto da attraversare per scoprire un tesoro inestimabile. Il quale è la Verità su tutto, anche sull’avventura stessa, prendendo coscienza di sé e della vera Realtà, di Dio. Cosicché, non è fondamentale che la vita sia catalogabile in un modo o in un altro, che sia scandita in susseguenti incarnazioni o ci si incarna una volta sola sicuri che si ritornerà alla “fine dei tempi”. Tutti questi dettagli sono alla stregua di sfumature come i vari incontri, gli enigmi e le insidie che l’avventuriero dovrà affrontare per giungere al tesoro. Tali dettagli sono a lui indispensabili per la meta ma il suo scopo è solo il tesoro, come potrebbe interessargli altro?


20/07/20

La felicità autosufficiente



La società che si affida alla tecnologia avrà un beneficio in fatto di progresso, però non potrà mai essere autonoma. Proprio perché a rispondere alle sue richieste è qualcosa di esterno a lui. Per di più, la tecnologia, essendo un artificio, dovrà sempre avere un controllore perché, appunto, non è autonoma… e di seguito: un controllore che controlla il controllore, un controllore che controlla il controllore che controlla il controllore, ecc.
Così, le persone che abitano in una simile società godranno, grazie alla tecnologia, di più opportunità in molti settori, dai servizi ai bisogni primari, dall’intrattenimento alle relazioni… Ma la loro libertà non potrà essere totale, abbiamo visto.
Con la pratica del Vangelo si scoprirà che fintanto io mi affido a qualcosa di esterno a me per ciò che ho da vivere, la mia felicità, soddisfazione e possibilità di realizzazione non saranno mai esaustive. Proprio perché il mio essere felice, la mia possibilità di superare sofferenze, l’impegno nel raggiungere traguardi, ecc. è condizionato da quello che mi circonda… Pertanto, la vera e piena felicità e soddisfazione sono possibili quando esse non variano a seconda di quello che mi succede.
Perché la vera felicità non si ottiene da qualcosa, se no dipenderebbe da quello che si ha o si riesce a guadagnare dalle proprie azioni. Essa esiste a prescindere, è la conseguenza di un affidarsi invece a qualcosa che non può cambiare mai. Qualcosa di assoluto.
Se la mia felicità è autonoma, è autosufficiente, come potrebbe capitare qualcosa che la influenzi? Certo, sono triste se capitano cose tristi, annoiato quando non c’è nulla da fare e al verde quando finiscono i risparmi; ma nulla potrà mai intaccare qualcosa che fondamentalmente è… a sé stante.
Libero.

16/07/20



Il mio libro si intitola “Vangelo Pratico”, quindi di certo tratterà di Vangelo, di religione, di spiritualità… Spesso è sufficiente nominare questi argomenti per vedere reazioni annoiate. Come se fosse di sicuro una barba, o una storiella per bambini. Figuriamo poi leggerci un libro…
Questi argomenti vengono di solito esposti in modo astratto e anche con espressioni poetiche e paternalistiche. Io stesso ricordo da bambino, a catechismo, i discorsi sulla fraternità e l’amore spiegati con immagini edulcorate slegate dalla realtà. E, quel che è peggio, affermando punti di vista che nel mondo non sono facilmente riscontrabili.
Come parlare pertanto di simili cose se nella realtà di tutti i giorni non se ne ha un riscontro diretto? Non ha molto senso, vero? Oppure davvero chi educa in modo religioso è convinto che da adulti diventeremo dei veri cristiani?
Se le persone vengono abituate a qualcosa che poi non troveranno nel loro futuro o non ricevono gli effettivi strumenti per esserne loro i realizzatori, è probabile che in ciò si nascondano finalità che hanno più a che fare con la società e il suo ordine, piuttosto che con la spiritualità.
Ma allora, cos’è questa spiritualità? La spiritualità non serve per diventare delle persone più spirituali o che vedano solo l’astratto nella realtà, serve per essere persone più pratiche. Perché la spiritualità ti permette di avere una visione più nitida e sicura di quanto si vive, su di sé e la realtà. 
La spiritualità non serve neppure a diventare migliori o pieni di amore; queste cose, al massimo, sono conseguenze del diventare più consapevoli e meno dubbiosi su quanto si vive.
Perché la realtà è sì fatta di eventi e cose che continuamente cambiano da sembrare di non poterne mai avere un controllo, ma al di sotto di ciò c’è qualcosa che non può mutare, è assoluto. È su quello che la spiritualità ti permette di poggiare i piedi: in cosa dovrebbe esserci dell’astratto in tutto questo?
O barboso?
Ovviamente, non abbiamo nulla contro coloro che educano alla spiritualità perché sappiamo bene, per esperienza diretta, che è facile che non siano stati forniti degli strumenti adatti per comunicare simili messaggi con le persone di oggi. Molto è cambiato da quando io ero bambino, e tanto è anche cresciuta la curiosità e l’interesse per questi argomenti. Il mio libro, infatti, si colloca proprio in questo desiderio di andare a fondo, sicuri delle moltitudini di viaggi che il Vangelo ci permetterà.