27/11/16


Quest'estate, dopo essere stato in Francia, ho trascorso una settimana con Michele a Napoli. Anche se la città ha delle stradine dove le case danno l'idea di essere trascurate e c'è sporcizia, tutto si somma come un mosaico di immagini ben distinte e appassionanti. Ciascuno degli elementi che compone la "stradina" è un'immagine a sé stante e al contempo unita al resto; la cosa affascinante, forse unica, è che le immagini sono sovrapposte l'una all'altra con armonia - seppure trattasi di una strada sporca o comunque qualcosa che un turista ha l'abitudine di evitare...
Per il modo in cui realizzo le immagini fotografiche, è stato un grosso insegnamento che vorrei influenzasse il mio lavoro prossimo: una convivenza di molti elementi sovrapposti che sono in grado di mostrarsi appieno e in modo marcato senza apparire nascosti, parziali o poco chiari.
Lavoro alla scrittura di un film, dopo mesi la sceneggiatura è terminata. Sarà probabilmente un mediometraggio, iniziato guardando ai luoghi in cui abita Emanuele Franz e le nostre riflessioni insieme. A volte mi sembra che abbiamo simili punti di vista sulla realtà e ciò che non è realtà: lui li esprime con la parola e io in modo effimero e astratto con delle immagini; forse il film ne sarà una fusione.

Il film ha come protagonista anche la nostra regione, il Friuli, e penso che ci sia altro da scoprire nelle zone che ho meno esplorato. Per questo motivo, cerco di vivere in un alloggio, in affitto, in una qualche zona del Friuli; qualsiasi parte sarebbe un fuori programma, perché non ho mai immaginato effettivamente di decidere, desiderare di vivere nella mia regione - che per vari motivi ho sempre visto come punto di partenza e mai di arrivo... Ora sono vicino ai magredi, e da dicembre a Udine.

26/11/16


“La fotografia estesa” è la proposta di immagini fotografiche ottenute attraverso foto e pellicole non realizzate dall’autore. Come fotografo, Enzo Comin ha rinunciato alla produzione di nuovi scatti fotografici per lavorare a partire da immagini già esistenti e di cui si appropria. Per il progetto “La fotografia estesa”, Comin attinge dalle fotografie trovate nel corso degli anni per delineare il profilo di un totale altro. Partendo dal pressuposto che per “altro” si intende tutto ciò che non concerne l’identico a sé, lo si può immaginare come un processo per rappresentare la diversità nel suo significato più assoluto; anche non esistente o immaginata. Una sorta di linguaggio universale in quanto suggerisce elementi estranei all’autore ma che potrebbero essere riconoscibili da chi è totalmente altro da lui.
Se Comin è in grado di realizzare immagini che siano composte da elementi totalmente esterni da esse e da lui è perché ogni immagine già esisterebbe ed evidentemente è potenzialmente percepibile. Il punto di partenza di queste riflessioni è il riconoscere ciò che si vorrebbe fotografare nelle foto scattate in passato (anche in quelle di sconosciuti ritrovate per caso su una strada), come se ci fossero già abbastanza foto a rappresentare ogni cosa oppure che tutto sia già stato rappresentato. Infatti, nella sua professione, Comin replicava ad ogni scatto quanto era già stato visto – sia perché la foto testimonia quanto abbiamo sotto ai nostri occhi, sia perché è ogni volta una raffigurazione di una esperienza che rientra nel prevedibile, nel riscontrabile. Di conseguenza, egli smette di fare foto e il suo lavoro è un’iconografia trattata con immagini già vissute.
Il limitarsi ad immagini che già esistono, libera paradossalmente l’autore dal copiare e gli permette di far emergere qualche cosa di non visto, rimasto nascosto al momento dello scatto e che ora può scoprirsi e sorprenderci. Questo non visto, questo “altro”, non è nel semplice aggiungere o sottrare soggetti oppure nell’alterare la foto iniziale, ma nel dialogo tra questi elementi che compaiono o scompaiono e nel modo in cui le varie presenze sono tra di loro agganciate o sganciate. Pertanto, all’interno delle immagini ci sono dei componenti che in modo continuo si ripetono in ciascuna fotografia e che si possono evolvere in modo indipendente da essa come un ospite che si sposti a proprio piacimento da una foto all’altra.

In queste serie di fotografie rielaborate, la presenza umana è onnipresente perché per andare a fondo nell’alterità, lavorare sull’intimo è il modo più efficace: ecco che dai ritratti compaiono presenze aliene.