Uno dei passaggi essenziali del nostro trattato è ottenere la libertà dalla sofferenza. La quale non va a scontrarsi con l’amore provato nei confronti della propria “croce”. Precisamente, si è passati da un accettare ogni cosa che capiti nella vita senza attaccarcisi, al di là della sua parvenza positiva o negativa, fino a giungere ad accettare così anche quanto può essere vissuto come promotore di problemi e sofferenze. Dopodiché, si è addirittura fatto progredire il sentimento di accettazione in vero e proprio amore. È decisamente importante comprendere cosa significhi la proposta che ci muove la croce di Cristo ad amare quanto dovrebbe invece essere spontaneamente da odiare.
Così ci viene mostrato platealmente quanto l’amore possa modificare gli eventi e portare cambiamenti anche tangibili. E che vadano anche oltre il senso comune: si veda, infatti, che Gesù accetta il processo, il rifiuto da parte del popolo fino a chiedere a Dio di perdonare coloro che lo esprimono e lo attuano mettendoLo a morte. Infine, violando qualsiasi legge fisica, Egli riapparirà in vita successivamente al decesso.
Con queste osservazioni, pertanto, ci rimane una difficoltà nel comprendere come Egli possa essere giunto ad amare l’elemento che è maggiormente dicotomico all’amore: la morte. La morte, infatti, è l’evento dove non è presente l’amore essendo questo il veicolo della vita. Amare la morte è un concetto antinomico che si può paragonare allo scegliere di addentrarsi in un torrido deserto per ricercarvi l’acqua.
La verità è che Gesù non ama la morte, come si potrebbe fantasticare quando si utilizza la formula controproducente del giudizio. Ad esempio, se si giudicasse la morte come la presenza più negativa nel mondo oppure come la manifestazione del male. Difatti, nella vita di ciascuno di noi si può registrare che è quando ci si sofferma a ragionare su termini valutativi che alcunché può essere oltrepassato, neppure una sofferenza di cui si desidera la fine. Egli non ama il male che rappresenta la morte o il dolore che procura, né si crogiola nell’accondiscendere alle torture che subisce. In verità, non ama la morte come si presenta in questa realtà, ma Dio che sta dietro alla morte.
Uno dei significati più importanti ci può venir trasmesso proprio per via della gravità che comporta l’esperienza della croce. Ovvero, l’evento nella propria esistenza che per la sofferenza che provoca pare impossibile da accettare e accogliere. E il senso è appunto che dietro alla croce vi è Dio stesso ed è a Lui che va indirizzato l’amore, non alla croce di per sé.
Neanche in questo caso, si invita il praticante ad amare la sofferenza, perlomeno non intesa come un elemento separato da tutto il resto. Proprio come si adduceva in passato a non attaccarsi a nulla, né negativo, né positivo. La rivelazione decisiva alla crocifissione è che il Padre è ogni cosa e quindi lo è anche in tutte le forme e tutti gli eventi di questo universo. Pertanto, Dio è anche la “croce” che ciascuno vive nella propria esistenza. E nell’episodio di Gesù è, come già precisato, quanto viene narrato nella sezione della Passione, compresa la morte stessa. Cristo, infatti, arriva ad amare anche la morte perché essa pure è manifestazione della vita: dello Spirito Santo e del Padre.
Nell’evitare proposte di lettura che siano troppo evanescenti e filosofiche, si può accostarsi a tale svelamento considerando sempre che Dio è ogni cosa. Allora, Egli si manifesta nella nostra vita sotto qualsiasi forma e quindi anche come quello che giudichiamo essere la nostra “croce”. Siamo noi, individualmente, che giudichiamo che un evento sia positivo, un’altra incombenza negativa e altri dettagli invece con indifferenza. Fino, per giunta, alcuni componenti viverli come radicati o irrisolvibili, quello che nella cultura popolare vengono chiamate le “proprie croci”. Per l’universo sono solo eventi, abbiamo già appurato, e che rendono l’intera realtà un unico, singolo evento.
Quindi, per potersi orientare, anche quando fossimo abituati all’idea di giudicare quanto si vive e così a classificare le esperienze a seconda della loro gravità, si può comunque sempre interpretarle come manifestazione di Dio. Dio appare nella mia vita sotto forma della mia croce. Ecco in che modo la posso amare: questo è come Gesù arriva ad amare la morte.
Così, per usare nuovamente il mio esempio personale, la mia croce, la mia sofferenza che non mostra soluzione, la mia magrezza, io posso smettere di odiarla se la riconosco essere il modo che Dio ha di manifestarsi nella mia vita. Allora non è una “croce” intesa come condanna o punizione, ma come l’espediente che il Padre escogita per poter palesare la sua presenza nella mia quotidianità. D’ora in avanti, non riuscirò neppure più a odiare o essere indifferente verso il mio problema, perché sarebbe come uno scegliere di detestare o di ignorare Dio. E lo stesso vale se uno ha un problema finanziario: la sua povertà è il modo, per via di come lui è fatto e delle esperienze che necessita, che Dio usa per mostrarglisi. Se egli smettesse di odiare o ignorare le sue limitatezze finanziarie, queste potranno finalmente ricambiare l’amore ricevuto. Ovviamente, si espone tale dinamica in modo astratto: la sua povertà, infatti, non esiste realmente, esiste Dio che utilizza quella forma per avere una relazione con lui.
Quindi, ci rendiamo anche conto quanto non riuscivamo a risponderci nel capitolo precedente: come avere una relazione con la propria “croce”. Essa, in verità, non esiste, proprio come l’intera realtà è un’illusione. Tutto è eretto all’occorrenza per darci personalmente l’occasione di inscenare la relazione con qualcosa di inafferrabile come è Dio. Proprio come si fa con una scenografia in un set cinematografico.
A questo punto, ricordiamo con ulteriore trasporto quando ci accorgevamo che tutto è Dio. Non solo la propria “croce”, allora, ma esattamente ogni minimo dettaglio è Dio. Per poter essere a noi manifesto, adopera come se fossero delle maschere un evento positivo, uno negativo, quello prodigioso e anche ciò che quasi non notiamo per la sua insignificanza. E lo stesso vale per le forme materiali, non solo astratte. Perciò, l’intera realtà è imbastita a tale fine ed è a beneficio esclusivamente per permettere che un rapporto che altrimenti sarebbe intangibile sia sperimentabile.
Dio sta dietro alla vincita della lotteria, al matrimonio, al salvataggio fortuito di una persona che fa un incidente, alla scoperta scientifica che guarirà da una malattia; all’arrivare ultimo in una gara, al divorzio, al ferimento mortale sul luogo di lavoro, alla comparsa di una epidemia; al sorgere del Sole, alle persone che camminano su una strada senza accorgersi l’una dell’altra, ai germi che vivono ovunque, alla pioggia; al miracolo, all’evento soprannaturale, alla religione che cerca il contatto con l’oltremondano, alla guarigione inspiegabile; al computer sul quale sto scrivendo, alla finestra che ho di fronte, a ciò che ci sta dall’altra parte, al mio corpo. Dietro a tutte queste cose, si nasconde Dio, e non per mantenersi celato, distante, irraggiungibile, ma il contrario: per trovare la maniera, anzi tutte le maniere possibili, per poter essere disponibile e in relazione. Come gli scrittori per l’infanzia che quando raccontano di un fantasma, inventano che indossa un lenzuolo così da essere visibile agli uomini.
La pervasività di questa condizione rende l’essere umano e il Padre costantemente in contatto e in relazione. Relazione che non è mai soggetta ad arbitrari sentimentalismi da parte di Dio, abbiamo visto. Infatti, è a seconda di come reagisce l’uomo che egli si procura un maggiore o minore accesso alle condizioni che lo porteranno alla personale realizzazione e felicità. Il Padre non esprime un sentimento in maniera diversa a seconda del comportamento singolo. Il Suo amore non fa preferenze: gli eventi negativi e positivi che influenzano le persone (dal singolo a intere popolazioni e nazioni) sono semplicemente le conseguenze delle azioni umane. E gli eventi che capitano procurano sempre le ideali condizioni per poter andare verso la Verità, indipendentemente da come vengano giudicati. Verità che qui scopriamo essere un favorire l’accorgersi di avere a che fare con Dio stesso presente in ogni cosa e in ogni evento. Senza alcuna separazione, distanza, pausa e comprendendo tutto, pure la morte (la “croce”).
Logicamente, non sarebbe corretto fantasticare che Dio, essendo unità, si debba frammentare in innumerevoli forme a costituire così il creato. Egli non è innanzitutto la forma, ma la materia. Non è che, come abitanti del creato, si possa creare Dio ogni volta che si produce una nuova forma. Noi possiamo fare quello che vogliamo con la forma, Egli ne è la sostanza che la anima.