28/12/22

LA MENTE RAZIONALE COME SPINTA O FRENO - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 20

Qui di seguito il ventesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA

che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


 LA MENTE RAZIONALE COME SPINTA O FRENO




Le immagini sollecitate nel precedente capitolo a riguardo della realtà, il Padre e l’universo con la sua armonia non hanno lo scopo di portarci verso visioni astratte e ipotesi irreali. Il passaggio importante che vi dobbiamo trarre è che fino a quando ci si basa sul consueto modo di relazione con il mondo esterno, non potremo mai ottenere cambiamenti rivoluzionari come qui trattati. Né raggiungere una più ampia e rinnovata comprensione facendo riferimento alle informazioni che già si sanno.
Il vantaggio stupendo che l’essere umano ha nello sperimentare questa vita è la mente razionale. La quale permette di abbracciare gli imprevedibili dettagli che stiamo scoprendo. Tuttavia, essa diviene del tutto inutile o controproducente se le lasciamo pieno controllo. Attraverso la ragione, infatti, l’uomo è in grado di poter espandere i propri pensieri fermi a limiti che invalicabili sono solo in apparenza.
Si potrebbe affermare che si è presa l’abitudine di considerare la mente razionale come lo strumento per ottenere il parere razionale su ogni cosa ci capiti. Invece, la mente razionale è un vero e proprio trampolino verso qualsiasi ulteriore direzione, senza possibilità di vederne i limiti. La ragione viene sfruttata per lo più per avere ragione, e ciò non è razionale dato che sappiamo che nulla può esattamente essere considerato in un modo soltanto. La ragione, quindi, può essere riconosciuta come l’appropriato sistema per poter facilmente convivere con esseri diversi (le altre persone) perché rende accettabile la possibilità di omologare le esperienze che si condividono. Tale caratteristica è certamente fondamentale, tuttavia ci permetterebbe una convivenza che potrebbe essere descritta non troppo al di sopra di quella caratterizzante soggetti di qualsiasi altra specie: animali e inferiori agli animali. Quel guizzo in più che ci offre la nostra mente deve sicuramente garantirci uno stadio più elevato dell’animalità. E non confermarcelo.
Infatti, la mente razionale può essere parimenti utilizzata per spingere i ragionamenti anche oltre l’avere o no ragione sulle cose. Il rischio, altrimenti, è innalzare di importanza quanto può essere riscontrabile a seguito di prove tangibili. Ovvero, l’attitudine a credere più a esperti esterni che confermano ipotesi piuttosto che alle proprie intuizioni. Una tendenza, infine, a mettere al centro la materialità, il concreto, in luogo, piuttosto, di una tendenza a elevarsi da tali limitazioni.
Razionale non è affermare che una data cosa sia in un modo e non in un altro, ma ammettere che è così qui e ora; in un altro contesto potrà essere diversamente. La razionalità allora sarebbe solo lo strumento che permette all’essere umano (a differenza, ad esempio, degli animali) di facilitare i propri pensieri a dirigersi verso destinazioni imprevedibili. Il chiaro metodo per registrare intuizioni tanto descritto nel precedente volume ("Vangelo Pratico").
È adoperando in questo modo la mente che si può concepire di amare la propria croce. E pure di constatare il danno che si fa nel non amarla, come, ad esempio, il fare la guerra a chi consideriamo dei nemici. Difatti, come varie volte abbiamo notato nel corso delle nostre esposizioni, la medesima dinamica è avviata quando si verificano eventi che si possono giudicare positivi e costruttivi. Malgrado ogni elemento sia unito, tutto l’universo ci appare duale così l’oppressore e l’oppresso sarebbero in realtà la stessa persona. Ed è raggiungendo tale consapevolezza che colui che vuole mettere fine all’oppressione potrà effettivamente ottenere i risultati voluti. Non facendoci la guerra, che equivarrebbe a fare la guerra a se stesso. Tuttavia, si sottolinea che la consapevolezza di ciò deve essere per davvero raggiunta, non la si può solo sapere. Bisogna esserla, come a dire che la si deve realizzare, non basta leggerlo in un libro. Il percorso per poterlo realizzare è seguendo quanto la vita propone, in quanto le esperienze saranno la via ideale per imparare quanto necessario.
Tecnicamente, non è che se voglio arricchirmi mi basta pensarlo e il mio conto corrente aumenterà miracolosamente, come in un esempio passato bastava il pensiero per far sbocciare un fiore. Ciò potrà anche essere possibile, ma solo a seguito di un cambio di coscienza. Il quale porterà a scoprirsi non separati, ma parte del tutto a cui stiamo partecipando: in una forma distinta seppure la medesima sostanza. Come la cellula di un organismo che si rendesse conto di essere contemporaneamente distinta e appartenente a una totalità; nella quale la cellula è presente come in essa vi è il DNA dell’intero corpo. Così è l’essere umano con l’universo.
Una prova di ciò è offerta proprio dall’ordine che armonizza l’universo. Ordine che permette proprio la sequenza di esperienze più adatte a seguito delle quali personalmente si giungerà a scoprirlo. Più si ha fede, infatti, e maggiore sarà l’ordine che si godrà. Mentre il disordine può essere interpretato come un aumento di difficoltà ad accordarsi con l’universo. Gli elementi che vi prendono parte sono sempre gli stessi, non vi è alcuna perdita.
A un test scientifico, si rileva che due particelle sorte insieme si possono passare una informazione all’istante anche se venissero allontanate. Anche se poste a due estremi dell’universo, si ipotizza per far capire meglio questo concetto che mostra l’universo “non locale”. In realtà, non è che si comunicano velocemente o che effettivamente si comunicano un’informazione. È che entrambe le particelle sono una sola, che l’uomo percepisce raddoppiata perché a lui l’universo appare duale. Allora, sarebbe ancora più corretto se considerassimo ogni cosa presente nell’universo come se concentrata in un unico contesto. Non si può aspirare a fare esperienza di fusione con il tutto senza considerarsi allo stesso momento sia un elemento unico e distinto, sia la totalità (il contesto stesso).
Maggiormente io sono convinto di essere una particella distinta dal resto del corpo, ovvero maggiore è lo spazio che lascio al mio ego di imperare, e meno ordine posso godere (ad aiutarmi ad accordarmi all’universo). Minore è l’importanza che do al mio essere distinto e indipendente dal tutto e maggiore sarà la complementarietà e la simmetria con tutto il resto.
A questo punto, bisogna evidenziare che più ci si mette in sintonia con il tutto e maggiormente si perde la propria coscienza. Ciò acquisisce un valore solo nell’esperienza che comporta infine un mettersi in sintonia con qualcosa di infinitamente più grande di noi. E infinitamente vitale come l’amore divino di cui qui trattiamo.
Tale precisazione va fatta perché lo stesso sistema avviene anche laddove si voglia svuotare le persone per indurle a obbedire. Come un esercito dove i soldati vengono omologati fino nelle azioni e nei gesti più semplici in modo che essi si accordino a una comune risonanza. Oppure gli operai in una catena di montaggio o i cittadini che vengono spinti a consumare e votare in modi predefiniti. Bisogna riconoscere come possibile un ritrovarsi tutti suggestionati come quando si ascolta una musica: è fondamentale fare attenzione, pertanto, a chi si pone sul podio del “direttore dell’orchestra”. Più una persona è consapevole (votata a diventare un eletto, come ci si esprimeva in un precedente capitolo) e maggiori sono le opportunità di divenire un ricevitore di informazioni stimolanti libertà e realizzazione.
Precisazioni su tale aspetto sono, allora, a dir poco fondamentali per cogliere l’attuabilità della pratica. Il divenire consapevoli della realtà in cui si è inseriti è frutto di un processo che è il risultato di esperienze dirette e non per intermediazioni. Non avviene, pertanto, nel sentirsi uniti sotto il manto della stessa religione, o nell’appartenenza a un gruppo politico, a una tifoseria sportiva oppure nella schiera di coloro che sono convinti di una particolare chiave di lettura sulla realtà. Se così fosse, si rimarrebbe allo stadio in cui si subirebbe una innumerevole varietà di probabilità per la propria vita perché non si arriva a percepire autonomamente la via da prendere.
Semmai, è arrendendosi a qualcosa di infinitamente più grande, anche di tutti quei gruppi e leader che garantiscono i risultati a cui si aspira.
In conclusione, è con la razionalità che si ha accesso a una visione più pura sulla realtà da non sentire il bisogno di dover far parte di un gruppo per convincersi di essere in grado di determinare il proprio futuro e modificare così la realtà. È con il corretto uso della razionalità che una persona può scoprirsi distinta e contemporaneamente unita al tutto. Come un’onda del mare che grazie al suo essere onda si differenzia dal resto del mare, ma anche, sempre per il suo essere onda, è il mare. La totalità del mare e una sua particolarità: essere complesso, globalità e la particella.
Nel prossimo capitolo verrà proposta una similitudine per poter fornire delle sfumature di significato a comprendere meglio tale fondamentale passo.




21/12/22

TUTTO CIO’ CHE PER TE E’ INVIOLABILE, TI CONTROLLA - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 19

Qui di seguito il diciannovesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA

che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


TUTTO CIO’ CHE PER TE E’ INVIOLABILE, TI CONTROLLA




Si tenga conto della capacità creativa dell’essere umano attraverso l’amore, come dimostrato quando si giunge ad amare la propria croce. E anche della possibilità di arrivare a dare vita a questa realtà, come nell’esempio del far sbocciare un fiore per il semplice pensarlo. Infine, a ciò collegato, si tenga conto della vera fede: si veda l’episodio di San Pietro che è stato in grado di camminare sull’acqua. A questo punto, è logico pure supporre che l’uomo muore semplicemente perché si convince che dovrà morire.
È perché si è convinti che si giungerà alla morte, come avviene per tutto quanto sia osservabile, che pure in se stesso l’essere umano è come se permettesse il processo di invecchiamento. Oppure catalizzerà quegli eventi negativi che altereranno la sua armonia.
È innanzitutto il constatare che la gente invecchia (ovvero essere immersi nella realtà materiale), che ci si convince di avere la prova che si sta a poco a poco morendo. E non potremmo che esserne convinti in quanto abitatori di un sistema che si basa su questo equilibrio.
Con queste osservazioni, non si vuole suggerire che non si debba morire o che ci sia qualcosa di sbagliato nell’aderire alle regole di transitorietà della nostra realtà. Le quali, come confermato anche nella dimostrazione della croce, sono un altro evento a cui dare ospitalità. Piuttosto, si invita a riflettere che tali regole vengono accettate come se inviolabili, come, cioè, se fossero al pari di un dio. Invece, il creatore dell’universo ha fornito di mutevolezza la realtà proprio per indurci a vederne la natura illusoria.
I problemi che una persona può subire, personali e sociali, non potranno mai venir risolti se affrontati ignorando la vera natura della realtà. Un percorso di crescita interiore favorisce l’accorgersi che dietro a tutto quello che si considera reale e tangibile sia presente una componente assoluta. Nelle sembianze di ogni cosa che capita di vivere, pertanto, vi è qualcosa di infinitamente più grande dell’uomo che la sta in quel momento vivendo. E solo accettando e considerando tale componente divina che si ha una vera visione della realtà e di quanto sta succedendo. Se si ignora tale equilibrio, si reputa che il problema che sta capitando possa avere risoluzioni in modalità e varietà innumerevoli. Mentre, se si considera l’equilibrio con l’assoluto, la soluzione giunge all’istante; anzi, non si coglie neppure di star di fronte a un problema.
Essendo la maggioranza della popolazione vittima di questa ignoranza, ogni gravità viene attraversata subendola passivamente. Oppure nello sforzo di affrontarla e risolverla come un qualcosa di separato da sé, e quindi soltanto tramite vie trasversali. Ovvero, azioni che possano entrare in contrasto con essa, non tentando una diretta trasformazione. Senza, pertanto, alcuna sicurezza che possa infine venire modificata verso un esito giusto. Questa modifica, abbiamo visto che è possibile a tutti quando si ama la gravità che ci sta di fronte. Così, a problemi apparentemente irrisolvibili si trova una soluzione in modo creativo. Sia nella vita di tutti i giorni, sia a livello ampio come portare pace dove c’è la guerra, salute nella malattia, vita nella sterilità. La pratica del Vangelo è un mezzo per arrivare ad amare anche la propria croce; infatti, constatiamo che chi vi riesce è anche colui che può creare dal nulla o agire anche contrariamente alle leggi della fisica. Si legga di Gesù o dei santi che forniscono assistenza e soluzioni tramite azioni che si dimostrano illogiche da un punto di vista concreto.
Se la maggioranza delle persone è tenuta all’oscuro da una simile possibilità, alla quale in realtà tutti avrebbero accesso, è sicuramente per dei motivi ben precisi. Abbiamo imparato che sono vari i maestri che ci hanno mostrato come poter essere liberi e felici, oltre che beneficiari di uno stato beato di figli di Dio. Malgrado queste conoscenze siano alla portata di tutti, le persone tendono ugualmente a rimanere insensibili a tale possibilità, seppure permetterebbe loro di conseguire la vita felice e gratificante alla quale comunque anelano. La quale, non ottenendola, diventa invece solo una parentesi di approssimazione di felicità e gratificazione. Allora, non è sufficiente che le biblioteche e Internet forniscano tutte le informazioni per intraprendere un simile cambio di coscienza. Non è cioè una rivoluzione possibile con la mente. Se essa avviene con un amore così pervasivo, allora deve tutto centrare nel cuore, non con i ragionamenti e i pensieri. Pertanto, l’ostacolo che le persone si trovano tra la loro libertà, felicità e divinità sta nella fatica di praticare un amore degno di tale contingenza.
Il motivo preciso, perciò, a comportare un impedimento nell’apprendere come praticare il vero amore e goderne direttamente i frutti è collegato a una forma di controllo sull’essere umano. Controllo che non deve essere immaginato come costituito da un gruppo di potere che voglia comandare sul mondo. Tale controllo parrebbe esistere a prescindere, come forma di sopravvivenza dell’umanità. L’ecosistema prolifica se le specie che vi abitano si adeguano a determinate e simili modalità di vivere. Mentre una vita di fede presagirebbe una condotta fuori controllo perché imprevedibile e non programmabile. Sta all’individuo diventare cosciente, per prima cosa, di quanto abbia permesso che in sé prendesse corpo la paura a infrangere la prevedibilità e la programmabilità.
Semmai, il fantomatico gruppo di potere approfitterebbe di questa dinamica già esistente per mantenersi l’unico a vivere nella totale libertà di modificare gli eventi a proprio comodo e accedere alle risorse dell’universo che in modo naturale sono inesauribili. Se un individuo si volesse opporre a questa élite da cui si sente essere comandato, non dovrebbe farci la guerra, come sappiamo. Paradossalmente, infatti, lo sforzo che il cittadino compie per contrastare i gruppi di potere che influenzerebbero il destino della società va in realtà a rafforzare la potenza di quel gruppo e a svilire la propria. Più egli si oppone come se ciò che volesse cambiare sia soltanto esterno a lui e più questa convinzione si radica da impedirgli di vedere chiaramente come realmente è organizzata la società stessa e su quali sottili equilibri si muove. Dalla guerra che subirebbe, l’élite dominante trae l’energia che ne permette l’esistenza; perché quella guerra è la concreta manifestazione di quanto l’oppositore sia convinto che quell’élite esista e sia in grado di fare quanto denuncia. Maggiore è la guerra, il contrasto a essa, maggiore sarà così l’autorizzazione al suo esistere.
Questa situazione opprimente sussiste perché chi si oppone all’oppressione vuole che essa esista, in verità: non si deve scordare che è lui a crearsi la realtà che percepisce. Quindi, piuttosto, dovrebbe modificare la sua coscienza e vedersi anche lui un usufruttuario e creatore dell’universo come chiunque altro. Ovvero, dovrebbe anche lui iniziare ad amare la propria croce.
È indubbio che qualsiasi società per poter comandare in modo totalitario sui propri abitanti, li debba innanzitutto controllare. E tale controllo deve di conseguenza essere su questa potenza liberatrice: sul loro modo di amare. Se le persone non venissero in un qualche modo distratte da ciò o sedate, non potrebbero mai accettare di vivere le condizioni così rigide a cui vengono indotte. Ed è a tali finalità che la gente viene bombardata da stimoli riguardanti l’amore e la sessualità che invece di accenderle e approfondirle le banalizzano, le opprimono e le rendono monotone.
L’amore e l’eros sono sicuramente delle energie che permettono a qualsiasi cosa sia in vita di espandere ulteriormente la vita. Per amore, l’uomo può costruire qualsiasi cosa e prendere qualsiasi decisione. Pertanto, solo controllando tali energie si potranno comandare le decisioni delle persone.
Lo stesso insegnare il Vangelo e la religione come un mero statuto sull’amorevolezza per poter convivere insieme con benevolenza è un gettare il fumo sugli occhi. Piuttosto, il Vangelo può essere senza difficoltà letto come una guida per poter scatenare questa fonte di energia creativa; che tutti possiedono per il semplice essere in vita. Energia che comunque non sussiste per creare il mondo come si vuole, ma per permettere di realizzare senza limiti la volontà del Padre.
Quando si sperimenta un simile amore, quando cioè si riesce ad amare la propria croce, si è tutt’uno con Dio. Non si crede più all’inviolabilità di questo mondo, alla verità di questa realtà. Ma a quanto ci sta dietro.
Si torna a unirsi al Padre, come mostra Gesù quando sulla croce muore solo apparentemente, nella forma. E ciò avviene conoscendo Dio veramente, proprio perché si è provato il perfetto opposto. Pertanto, anche la morte appare come un mero dettaglio, un pretesto per amare.
L’intero universo è come se fosse una persona ed è inserito in una popolazione di innumerevoli universi che nascono, vivono e muoiono all’interno di un unico sistema al pari di una società, nella quale conducono ciascuno un’esistenza diversa. La quale è distaccata o passibile di connessioni come già accennato. Tale sistema è la fonte di tutto, ed è quello che ci siamo abituati a chiamare “Dio” o “Padre”. E singolarmente Dio è anche ciascuno di questi universi, seppure differenti. Per la nostra comprensione, quindi Dio è come una persona. È una persona, come l’uomo; o meglio, l’uomo è una persona come Dio. E, parimenti, l’essere umano ha in sé inscritte le regole stesse che permettono la vita nell’universo. Essendo creato da Dio, in lui è travasata la stessa fonte di energia che permette tutto e crea: essa è l’amore. Che può tranquillamente venire pensata come sinonimo di Dio, come il sangue lo è per un organismo.



14/12/22

ESSERE UNA MANIFESTAZIONE - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 18

Qui di seguito il diciottesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA

che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


ESSERE UNA MANIFESTAZIONE




Il chiarimento svelato nel precedente capitolo permette di estendere la nostra comprensione. Innanzitutto sulla struttura stessa dell’universo nel quale siamo inseriti. Poiché ogni cosa in esso contenuto, quindi anche l’essere umano, è manifestazione di Dio, sia spiritualmente che materialmente. Non procediamo più su riflessioni locali e quindi, ad esempio, precisare “l’essere una manifestazione di Dio in Terra” perché non vi sono confini e quindi punti di riferimento nell’universo. La Terra stessa, benché rappresenti tutto il conoscibile dell’essere umano, è un dettaglio che non si può misurare. Anzi, essa pure è una manifestazione di Dio.
È per questo principio, che qualsiasi cosa faccia esperienza di questo universo è Dio. E anche, per lo stesso motivo, non è in grado di poter fuoriuscire dall’universo. Ad esempio, l’essere umano, malgrado la tecnologia che raggiungerà non potrà mai fare esperienza al di fuori della realtà in cui è inserito né materialmente, né spiritualmente. Sarebbe come credere che una parte del mio corpo, come un arto, possa staccarsi dal tronco e vivere da esso separato facendo esperienze diverse e avendone coscienza. Tale considerazione ha significato per far percepire che comunque esistono dei limiti che non sono legati alle dimensioni; ad esempio rischiare di sconfinare dall’universo, dato che è infinito. Questi limiti sono di appartenenza, potremo dire di concordanza, sintesi; come due composti chimici che si possono unire solo quando hanno una reazione in comune. Altrimenti, se venisse a mancare tale corrispondenza, si otterrebbe semplicemente che i vari componenti non verrebbero recepiti. Infatti, si può ammettere che più universi sono sovrapposti o congiunti ma convivono solo in determinate condizioni che ne permettono la contemporanea manifestazione.
Quello che a noi interessa per aiutarci nella pratica è l’evidenza che nulla di quanto è presente nell’universo può sussistere senza l’universo stesso, cioè indipendente, fuori dal tempo. Caratteristiche che sono solo del suo creatore, infatti. Al di fuori di Esso, lo stesso essere umano non esisterebbe e, allo stesso modo, non ha gli strumenti per poter spingere le osservazioni esplorative. Anche quando è convinto di star studiando altre dimensioni, in realtà sarebbe sempre la stessa, sarebbe sempre Dio, se no non la potrebbe percepire o dotarsi di strumenti per recepirla.
Quando si giunge a riconoscersi come manifestazione del creatore dell’universo, si perde il significato del voler cercare oltre l’universo. Per il semplice fatto che si ha coscienza di essere l’universo e quindi di farlo avanzare con il semplice vivere. Come potrebbe esserci dell’ulteriore conoscenza ed esperienza? Sempre con la solita libertà di inventare similitudini, sarebbe come se una cellula del mio corpo scoprisse finalmente che essendo una cellula del mio corpo è il mio corpo: io sono lei e viceversa.
Sicuramente, sarà nell’avere le stesse mire dell’universo che un giorno troverò il modo di creare a mia volta un universo dal nulla. E non mappando con la conoscenza il mio essere componente di un corpo più grande e così tendere speranzoso a potermene un giorno separare. Nella maggiore, ulteriore fusione, pertanto nella totale arresa, verrà facilitata sempre più creazione.
Concentrando la nostra analisi sull’uomo, bisogna evidenziare che pure l’uomo è costituito dalla stessa sostanza di qualsiasi altra cosa. Quindi, l’essere umano e l’universo sono la medesima cosa. Più propriamente: egli è Dio, nel senso spiegato nel precedente capitolo. Ovvero che il Padre adopera (anche) l’essere umano per manifestare la Sua presenza e volontà.
Il corpo dell’essere umano, e anche la mente, i suoi pensieri, la sua anima (per chi crede nell’anima), è Dio. Ogni cosa è espressione dell’energia divina, ospita la vita ospitando il soffio vitale, il pneuma, di Dio.
È per questo che nel Nuovo Testamento e nella liturgia cristiana si riscontra l’assunto che Gesù è stato generato e non creato, ed esiste da prima della comparsa dello spazio e del tempo. Non è un enigma, sancisce l’appartenenza e la costituzione divina. Se Gesù è manifestazione di Dio, allora esiste come Dio: da sempre, ovunque e per sempre. Egli ne diventa consapevole e lo esperimenta praticando l’unione con Dio. Che gli permetterà, grazie all’amore che scandisce tale unione, di svincolarsi da qualsiasi cosa possa essere considerata inviolabile. Come la morte, abbiamo visto; e le stesse caratteristiche e lo stesso destino è riservato all’uomo che pratica il Vangelo.
Si legge ancora che è per mezzo di Gesù che le cose sono state create. Si trova raccontato anche che ogni cosa è stata creata all’inizio dei tempi e questo non significa che è stato direttamente e individualmente Gesù a creare tutto allora. Come abbiamo scoperto, Gesù era già presente perché, per via dell’unione, è sempre con Dio. E per lo stesso processo, aderisce attivamente anche alle esperienze di Dio, non come spettatore esterno. Sempre per la medesima eguaglianza, così anche l’uomo, quando accetta il proprio stato di unione con il Divino, si riconoscerà partecipe di Dio e delle Sue “azioni”; ovunque, da sempre e per sempre perché il Divino è infinito ed eterno.
Cogliere e acconsentire a questa equanimità, facilita anche la comprensione di quanto spiegato precedentemente sulla capacità dell’uomo di creare. Questo stato di unione, come già accennato e qui precisato quando si descrive Gesù, è sempre esistito. Anche ora, chiunque lo sta vivendo, ma ha un concreto riscontro nel reale solo quando se ne diventa coscienti. Perché ciò possa essere possibile, viene proposta una vita perfettamente contraria all’originale: separata da Dio, che fa accorgere di essere divisi da tutto e tutti, materiale e insensibile allo spirituale. Scoprire la propria vera natura, pertanto, è in realtà un riscoprire. Proprio come un pesce potrebbe accorgersi che la sua natura è quella di nuotare immerso nell’acqua solo quando prova l’opposto venendo scaraventato sulla terra asciutta.
E questo “opposto” per l’uomo è quantomeno un percorso che lo indurrà a così tante distrazioni da confondergli enormemente la meta. Infatti, benché si riconosca questa esistenza attraversata da varie sofferenze e noie, prevede anche piaceri e bellezze. Sia le esperienze negative che quelle positive sono comunque un compiacimento perché alimentano la percezione di sé. La quale è esattamente la vera conquista in questa vita terrena a differenza di una esistenza spirituale che prevede la fusione e quindi l’impossibilità di determinarsi a sé stanti. Sarebbe come dire che, malgrado la sua ignoranza nei confronti della realtà, l’essere umano, in quanto uomo, prova la sensazione di imitare l’esperienza di un Dio che esiste di per sé, senza dipendere da nulla. In realtà non è così, come sappiamo, egli è sempre dipendente, anche quando ricoprisse un ruolo di potere nella società poiché avrebbe bisogno di qualcuno o qualcosa che gli confermi il proprio ruolo di potere. In altre parole, ignora che è appunto smettendo di mettere sé al centro che potrà avviarsi a un percorso di unione con Dio da garantirgli veramente la capacità di dominio e creazione che agognerebbe.
È come se questo mondo fosse per l’essere umano una sorta di parco giochi, dove poter godere di esperienze alle quali altrimenti non potrebbe neppure accedere. Ed è così che, infine, egli faticherà a volersene ridestare. Dovrà innanzitutto provare quanto in verità questa realtà è finta e limitante. Ma se si sperimenta il virtuale, come è facile notare, è poi difficile tornare al reale. Come uno che prova Internet e i social network e dopo vorrebbe restarci dentro: li preferisce o li crede più facili e immediati delle esperienze che farebbe offline. Vi trova, cioè, una vita più vicina ai propri desideri, con una facilità di ottenere gratificazioni: più comoda.
Anche in questo caso, solo con l’amore si potrà mostrare anche a loro la verità. Non facendoci la guerra, a loro che preferiscono il virtuale o contro il mondo che vivono: perché nulla di tutto quello è vero. Ma mostrando l’amore nella vita reale (offline, per rimanere nello stesso esempio), l’amore per la verità.











07/12/22

CHI SI NASCONDE DIETRO ALLE NOSTRE SOFFERENZE - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 17

Qui di seguito il diciasettesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA

che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.

CHI SI NASCONDE DIETRO ALLE NOSTRE SOFFERENZE




Uno dei passaggi essenziali del nostro trattato è ottenere la libertà dalla sofferenza. La quale non va a scontrarsi con l’amore provato nei confronti della propria “croce”. Precisamente, si è passati da un accettare ogni cosa che capiti nella vita senza attaccarcisi, al di là della sua parvenza positiva o negativa, fino a giungere ad accettare così anche quanto può essere vissuto come promotore di problemi e sofferenze. Dopodiché, si è addirittura fatto progredire il sentimento di accettazione in vero e proprio amore. È decisamente importante comprendere cosa significhi la proposta che ci muove la croce di Cristo ad amare quanto dovrebbe invece essere spontaneamente da odiare.
Così ci viene mostrato platealmente quanto l’amore possa modificare gli eventi e portare cambiamenti anche tangibili. E che vadano anche oltre il senso comune: si veda, infatti, che Gesù accetta il processo, il rifiuto da parte del popolo fino a chiedere a Dio di perdonare coloro che lo esprimono e lo attuano mettendoLo a morte. Infine, violando qualsiasi legge fisica, Egli riapparirà in vita successivamente al decesso.
Con queste osservazioni, pertanto, ci rimane una difficoltà nel comprendere come Egli possa essere giunto ad amare l’elemento che è maggiormente dicotomico all’amore: la morte. La morte, infatti, è l’evento dove non è presente l’amore essendo questo il veicolo della vita. Amare la morte è un concetto antinomico che si può paragonare allo scegliere di addentrarsi in un torrido deserto per ricercarvi l’acqua.
La verità è che Gesù non ama la morte, come si potrebbe fantasticare quando si utilizza la formula controproducente del giudizio. Ad esempio, se si giudicasse la morte come la presenza più negativa nel mondo oppure come la manifestazione del male. Difatti, nella vita di ciascuno di noi si può registrare che è quando ci si sofferma a ragionare su termini valutativi che alcunché può essere oltrepassato, neppure una sofferenza di cui si desidera la fine. Egli non ama il male che rappresenta la morte o il dolore che procura, né si crogiola nell’accondiscendere alle torture che subisce. In verità, non ama la morte come si presenta in questa realtà, ma Dio che sta dietro alla morte.
Uno dei significati più importanti ci può venir trasmesso proprio per via della gravità che comporta l’esperienza della croce. Ovvero, l’evento nella propria esistenza che per la sofferenza che provoca pare impossibile da accettare e accogliere. E il senso è appunto che dietro alla croce vi è Dio stesso ed è a Lui che va indirizzato l’amore, non alla croce di per sé.
Neanche in questo caso, si invita il praticante ad amare la sofferenza, perlomeno non intesa come un elemento separato da tutto il resto. Proprio come si adduceva in passato a non attaccarsi a nulla, né negativo, né positivo. La rivelazione decisiva alla crocifissione è che il Padre è ogni cosa e quindi lo è anche in tutte le forme e tutti gli eventi di questo universo. Pertanto, Dio è anche la “croce” che ciascuno vive nella propria esistenza. E nell’episodio di Gesù è, come già precisato, quanto viene narrato nella sezione della Passione, compresa la morte stessa. Cristo, infatti, arriva ad amare anche la morte perché essa pure è manifestazione della vita: dello Spirito Santo e del Padre.
Nell’evitare proposte di lettura che siano troppo evanescenti e filosofiche, si può accostarsi a tale svelamento considerando sempre che Dio è ogni cosa. Allora, Egli si manifesta nella nostra vita sotto qualsiasi forma e quindi anche come quello che giudichiamo essere la nostra “croce”. Siamo noi, individualmente, che giudichiamo che un evento sia positivo, un’altra incombenza negativa e altri dettagli invece con indifferenza. Fino, per giunta, alcuni componenti viverli come radicati o irrisolvibili, quello che nella cultura popolare vengono chiamate le “proprie croci”. Per l’universo sono solo eventi, abbiamo già appurato, e che rendono l’intera realtà un unico, singolo evento.
Quindi, per potersi orientare, anche quando fossimo abituati all’idea di giudicare quanto si vive e così a classificare le esperienze a seconda della loro gravità, si può comunque sempre interpretarle come manifestazione di Dio. Dio appare nella mia vita sotto forma della mia croce. Ecco in che modo la posso amare: questo è come Gesù arriva ad amare la morte.
Così, per usare nuovamente il mio esempio personale, la mia croce, la mia sofferenza che non mostra soluzione, la mia magrezza, io posso smettere di odiarla se la riconosco essere il modo che Dio ha di manifestarsi nella mia vita. Allora non è una “croce” intesa come condanna o punizione, ma come l’espediente che il Padre escogita per poter palesare la sua presenza nella mia quotidianità. D’ora in avanti, non riuscirò neppure più a odiare o essere indifferente verso il mio problema, perché sarebbe come uno scegliere di detestare o di ignorare Dio. E lo stesso vale se uno ha un problema finanziario: la sua povertà è il modo, per via di come lui è fatto e delle esperienze che necessita, che Dio usa per mostrarglisi. Se egli smettesse di odiare o ignorare le sue limitatezze finanziarie, queste potranno finalmente ricambiare l’amore ricevuto. Ovviamente, si espone tale dinamica in modo astratto: la sua povertà, infatti, non esiste realmente, esiste Dio che utilizza quella forma per avere una relazione con lui.
Quindi, ci rendiamo anche conto quanto non riuscivamo a risponderci nel capitolo precedente: come avere una relazione con la propria “croce”. Essa, in verità, non esiste, proprio come l’intera realtà è un’illusione. Tutto è eretto all’occorrenza per darci personalmente l’occasione di inscenare la relazione con qualcosa di inafferrabile come è Dio. Proprio come si fa con una scenografia in un set cinematografico.
A questo punto, ricordiamo con ulteriore trasporto quando ci accorgevamo che tutto è Dio. Non solo la propria “croce”, allora, ma esattamente ogni minimo dettaglio è Dio. Per poter essere a noi manifesto, adopera come se fossero delle maschere un evento positivo, uno negativo, quello prodigioso e anche ciò che quasi non notiamo per la sua insignificanza. E lo stesso vale per le forme materiali, non solo astratte. Perciò, l’intera realtà è imbastita a tale fine ed è a beneficio esclusivamente per permettere che un rapporto che altrimenti sarebbe intangibile sia sperimentabile.
Dio sta dietro alla vincita della lotteria, al matrimonio, al salvataggio fortuito di una persona che fa un incidente, alla scoperta scientifica che guarirà da una malattia; all’arrivare ultimo in una gara, al divorzio, al ferimento mortale sul luogo di lavoro, alla comparsa di una epidemia; al sorgere del Sole, alle persone che camminano su una strada senza accorgersi l’una dell’altra, ai germi che vivono ovunque, alla pioggia; al miracolo, all’evento soprannaturale, alla religione che cerca il contatto con l’oltremondano, alla guarigione inspiegabile; al computer sul quale sto scrivendo, alla finestra che ho di fronte, a ciò che ci sta dall’altra parte, al mio corpo. Dietro a tutte queste cose, si nasconde Dio, e non per mantenersi celato, distante, irraggiungibile, ma il contrario: per trovare la maniera, anzi tutte le maniere possibili, per poter essere disponibile e in relazione. Come gli scrittori per l’infanzia che quando raccontano di un fantasma, inventano che indossa un lenzuolo così da essere visibile agli uomini.
La pervasività di questa condizione rende l’essere umano e il Padre costantemente in contatto e in relazione. Relazione che non è mai soggetta ad arbitrari sentimentalismi da parte di Dio, abbiamo visto. Infatti, è a seconda di come reagisce l’uomo che egli si procura un maggiore o minore accesso alle condizioni che lo porteranno alla personale realizzazione e felicità. Il Padre non esprime un sentimento in maniera diversa a seconda del comportamento singolo. Il Suo amore non fa preferenze: gli eventi negativi e positivi che influenzano le persone (dal singolo a intere popolazioni e nazioni) sono semplicemente le conseguenze delle azioni umane. E gli eventi che capitano procurano sempre le ideali condizioni per poter andare verso la Verità, indipendentemente da come vengano giudicati. Verità che qui scopriamo essere un favorire l’accorgersi di avere a che fare con Dio stesso presente in ogni cosa e in ogni evento. Senza alcuna separazione, distanza, pausa e comprendendo tutto, pure la morte (la “croce”).
Logicamente, non sarebbe corretto fantasticare che Dio, essendo unità, si debba frammentare in innumerevoli forme a costituire così il creato. Egli non è innanzitutto la forma, ma la materia. Non è che, come abitanti del creato, si possa creare Dio ogni volta che si produce una nuova forma. Noi possiamo fare quello che vogliamo con la forma, Egli ne è la sostanza che la anima.