31/08/22

CONSUMISMO E SPIRITUALITA’ SI EQUIVALGONO - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 3

Qui di seguito il terzo capitolo del nuovo libro che ho scritto IL GIORNO DELLA SALVEZZA che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


CONSUMISMO E SPIRITUALITA’ SI EQUIVALGONO



Non bisogna dimenticare che fino al cosiddetto “boom economico” di qualche decennio fa, e genericamente in un po’ tutti i paesi contraddistinti da un periodo di distribuzione della ricchezza, la maggioranza della popolazione viveva una vita gravata da maggiori ristrettezze. L’aumento di disponibilità finanziaria delle famiglie, conseguente alla crescita del prodotto interno lordo, ha creato palesemente un cambio anche all’interno del rapporto tra le persone e dell’individuo con se stesso. Questa globale trasformazione dovrebbe venir considerata anche a livello spirituale e pertanto anche da un punto di vista filosofico e di crescita personale. Nel corso degli ultimi decenni, abbiamo assistito con coinvolgimento a delle modifiche sostanziali sulla religione direttamente dalla Chiesa Cattolica proprio al fine di avvicinare la dottrina alla maturità di una società che non sarebbe più stata quella di prima.
Tuttavia, ci si accorge anche che tali cambiamenti sono avvenuti innanzitutto nella forma in cui la religione prende corpo. Abbiamo già notato, nel corso del libro precedente, Vangelo Pratico, quanto determinano l’animazione di una fede religiosa, i suoi aspetti secondari. Sia nel positivo che nel negativo, ovvero per favorire un accostamento alla Rivelazione senza l’uso centrale della razionalità, come ad esempio con le immagini e i riti, oppure in uno sviamento quando essi vengono fraintesi come principali. Anzi, il motivo che ci ha spinti a scrivere questi libri è stato il provenire da un contesto religioso che considera prevalentemente che il fedele si comporti in determinati modi, piuttosto che assicurarsi che tale costume lo porterà poi per davvero al Vangelo. Il quale tende a quanto sia importante che ogni persona segua un percorso di conoscenza e apertura verso qualcosa di immensamente più grande di noi, piuttosto che soltanto aderire a una Chiesa invece che a un’altra.
Far parte di una Chiesa, desiderare di partecipare ai suoi sacramenti, voler far sapere a tutti che se ne ha ricevuto il battesimo sono tutte tappe fondamentali nella vita del fedele. Qui si vuole portare all’attenzione che se queste non vengono poi arricchite di una ricerca di consapevolezza, possono finire per essere solo degli atti vuoti. Infatti, non è obiettivo di questa analisi il criticare una appartenenza religiosa o le istituzioni in generale. Semmai, il mettere in luce quanto tale rapportarsi formale con la religione e il suo proporlo da parte della Chiesa siano una diretta conseguenza di come la società si stava trasformando, proprio a seguito dei cambiamenti interni accennati all’inizio del capitolo.
Così, un certo tipo di benessere, ma anche gli sforzi che si compiono da parte di chi non vi ha accesso e lo desidera, hanno portato l’individuo a concentrarsi sull’esteriore trascurando l’interiore. Si vive in una realtà materiale e quindi attraverso il materialismo ci si può esprimere. Ma da almeno sessant’anni, la ricerca di beni di buona parte della popolazione ha travalicato il semplice bisogno di sussistenza. Si è riscontrato un progressivo focalizzarsi su come si percepisce e si appare esternamente invece che nel proprio interno: la cosiddetta società dell’apparenza.
Tale radicalizzazione ha comportato da una parte a destinare una fiducia verso la razionalità e la scienza che prima era riservata solo al campo della spiritualità, e dall’altra parte a ricercare nell’accumulare e consumare beni le risposte a domande esistenziali. Come abbiamo visto nel volume precedente, paradossalmente la scienza può traghettare colui che si fa delle domande a un’approccio più spirituale della realtà grazie alla capacità di spiegare fenomeni che altrimenti sarebbero incomprensibili. Mentre l’abitudine dell’acquistare merci svela che vi è celato un intento più profondo, legato all’idea (apparente appunto) che tramite il consumismo si possa accedere alla felicità e alla realizzazione personale. Tutti traguardi ottenibili con una pratica che deve coinvolgere la propria interiorità, invece. Questo, allora, ci fa accorgere che anche se non se ne rende conto, l’uomo è sempre e comunque lanciato verso l’astratto come se sapesse che là non può trovare confini e così andare al nocciolo di tutto quello che in realtà va in cerca. La possibilità di possedere beni induce a desiderarli e così chi abita nella “società dell’apparire” viene abituato a confondere come appagamento quanto percepirà al momento del vero e proprio possesso di quel dato bene. Per esperienza diretta, sappiamo che non è così perché soddisfatto un desiderio, si passerà a volere qualcos’altro. Eppure, si continua a utilizzare questa prassi in quanto, a prima vista, è l’unica efficace a disposizione; ma anche perché è direttamente connessa a quanto si punta spiritualmente, abbiamo constatato. Ovvero la felicità, la liberazione dalla sofferenza e la realizzazione.
Tanto che è doveroso riconoscere che la pratica dell’accumulare e consumare beni è magica. I beni che vengono desiderati e poi comprati non sono in verità un semplice oggetto, ma un simbolo. Il procurarcelo, si è convinti che faciliterà una soddisfazione emozionale, la quale è manifestazione di un desiderio di soddisfazione ancor più assoluto: spirituale.
E il lasciarsi convincere che attraverso il possesso di una cosa si possa ottenere altro che sia svincolato dal mero utilizzo di quel bene e che possa arricchire interiormente, vuol dire riconoscere nelle cose un potere taumaturgico per cui ha senso considerare la pratica del consumismo e dell’apparire come vera e proprio religione. Seppure i suoi praticanti si soffermano solo ad analisi superficiali ed esteriori sulle cose e sui propri comportamenti, il voler accumulare e consumare è paragonabile a una fede. Colui che brama il possedere e indirizza i propri sforzi e risparmi per permettersi un dato oggetto, sta mettendo in scena una devozione proprio a causa della convinzione (anche inconscia) che attraverso l’ottenimento di quell’oggetto otterrà anche un beneficio interiore. Questa pratica, questo impegno è allora una sorta di rito magico dato che l’oggetto da acquistare dovrà poi “operare” al di là della sua funzione materiale.
La persona che accumula tanto e partecipa attivamente al consumismo e al materialismo, cela in realtà una personalità incline alla spiritualità e alla volontà di ricerca interiore. È il rimanere sedotti da questo sistema consumistico che svela quanto l’uomo sia in qualsiasi condizione tendente spontaneamente all’assoluto, all’invisibile, al divino. Ed è anche un’ulteriore prova che fa riconoscere le nuove generazioni sempre più predisposte a un percorso di auto-realizzazione.
Forse ciò è a conoscenza di quanti hanno creato le trame della relazione tra l’individuo e il commercio così da incentivare i consumi. Ma quello che a noi interessa, è accorgerci della vera natura dell’uomo e della realtà: egli pellegrina di fronte alle vetrine dei negozi a espressione dei propri desideri, come il fedele fa con la preghiera; compie una serie di azioni finalizzate a ottenere quello che desidera, come andare a lavorare, risparmiare, convincersi dell’utilità di quell’oggetto; prende parte all’acquisto (come un rito).
Così, appare evidente, se facessimo una comparazione, quanto una persona che pratica una religione la possa praticare come se fosse invece un consumatore e quanto un amante dello shopping possa accumulare cose comportandosi sottilmente come se fosse il fedele di una religione. Il punto in comune fra i due soggetti è il vivere che un gesto, una credenza, un oggetto possano apportare un beneficio nella propria vita. Il quale, però, è solo un’idea: entrambi sono fedeli non a ciò che sta dietro a quella fede religiosa o a quel bene acquistato, ma all’idea che hanno su quella fede e quell’oggetto. E, ulteriormente, l’idea su quanto questi apporteranno nella loro vita. Ovvero, in entrambi i casi ci sono dei desideri personali da voler soddisfare, e sia questi che il metodo da seguire per soddisfarli sono convincimenti personali. Cioè idee.
Nella pratica del Vangelo, sono proprio le idee dalle quali bisogna alleggerirsi. Le idee sono quanto si desidera, si crede di essere, si è in diritto o in dovere di fare a seconda di come si appare. I pensieri, come in vari modi attestato nel precedente libro, sono quanto va a influenzare e creare la persona, la realtà in cui vive, gli eventi che gli capitano e gli incontri con gli altri. Il motivo per cui bisogna alleggerirsene è che l’uomo non è costituito dai suoi pensieri, le sue idee, ma a seconda di come è lui, la sua mente concepirà (o attrarrà) determinati pensieri piuttosto che altri.
La mente che formula i pensieri non sarebbe più un organo che stiamo usando, ma diventa noi stessi se ci convinciamo di essere i nostri pensieri. Indipendentemente dalla grandezza e dall’altezza che i propri pensieri possono raggiungere, essi sono comunque il prodotto di una parte del nostro corpo. Essi vengono elaborati attraverso un sistema meraviglioso formato da tutto quello che conosciamo e ricordiamo. Non credere che noi siamo solo quello, ma arrenderci a qualcosa di immensamente più grande di tutto ciò e che attraverso di noi può manifestarsi, apre questo sistema a una rete estremamente più vasta, che va oltre la nostra mente. La quale, tra le varie cose, diventerà anche ricettacolo di pensieri più grandi. I quali forniranno le risposte di cui si ha bisogno e che spesso crediamo di ottenere nell’acquisto di beni o nel vuoto seguire di un cammino spirituale.



28/08/22

La bella bestemmia

L’abitudine di bestemmiare (o comunque di lagnarsi e prendersela con qualcun altro / qualcos’altro) rivela quanto ogni cosa che capita venga evidentemente letta come un problema irrisolvibile. Solo chi è convinto di non poter determinare la propria vita, infatti, si dispera in questo modo (e bestemmia). 

Dare per scontato che non si è liberi ma si può solo subire quel che succede… Mentre, diventare protagonista della propria vita, invece che spettatore, permette piuttosto di leggere che nulla, pure un problema, sia veramente un qualcosa di schiacciante. Questo avverrebbe poiché si acquisisce una libertà dal dover per forza giudicare alla mercé degli eventi gli altri e sé stessi…; non che questo non farà vivere problemi o sofferenza, ma verranno percepiti con una diversa gravità.




24/08/22

IL VERO FEDELE NON SI ASTIENE DA NULLA - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 2

Qui di seguito il secondo capitolo del nuovo libro che ho scritto IL GIORNO DELLA SALVEZZA che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


IL VERO FEDELE NON SI ASTIENE DA NULLA


A seguito del capitolo precedente, l’immagine del fedele deve nettamente apparire distinta da quella stereotipata. Di solito, il fedele viene idealizzato come una persona morigerata, sobria e specialmente rinunciataria. Invece, a questo punto, in che cosa vediamo che egli si limita e a cosa rinuncerebbe? A se stesso, a porre se stesso come il pianificatore primo della propria esistenza.
Così, da fuori, il fedele avrà l’aspetto di colui che non mette al centro della propria esistenza un percorso lavorativo, la soddisfazione di un dato piacere, il raggiungimento di prestabiliti obiettivi o lo sforzo di possedere determinate cose. E questo non è conseguenza di un’assenza di passione o azione, ma assenza di un mettere per prima la propria volontà (il proprio ego).
Come spiegato, egli, in realtà, non darebbe priorità a una cosa precisa a causa del considerare tutto divino e pertanto del medesimo valore. Quindi, quello a cui rinuncia è più esattamente il ricercare una cosa sola. Il fedele, paradossalmente, è pronto ad accettare qualsiasi direzione per la propria vita e, pertanto, non sarebbe incline a rinunziare ad alcunché. Seppure in misura del discernimento e delle proprie intuizioni, come dimostrato nel volume precedente, Vangelo Pratico.
Un altro paradosso, un altro fraintendimento, allora: è, semmai, chi non è fedele, chi non pratica il Vangelo a esperimentare una vita di rinunce in quanto, sentendosi in dovere di focalizzare i propri sforzi verso traguardi delineati e, spesso, rigidi, finisce per non godere dell’eventuale restante che potrebbe trarre dalla vita.
Come cristiano, verrebbe spontaneo, quasi senza rifletterci, il prendere decisioni che si rivelano in linea con la filosofia di amore e pace seguita. Tutto ciò che è divergente da essa, risulta infine come invisibile: non viene naturale considerarlo. Questo, allora, non è un rinunciare poiché si tende con naturalezza solo verso alcune cose e mai verso altre; proprio perché trattasi del proprio stato naturale. E in questa dinamica, non si sta perdendo nulla perché la propensione del fedele porta personalmente ad approfondire e scoprire varianti e proposte della realtà che neppure si sapeva che esistessero. Un po’ come quando una persona che è vegetariana accede a un universo di sapori e pietanze che non conosceva fino allora; mentre chi non lo è, spesso teme che se si privasse della carne si dimezzerebbe soltanto il proprio menù e la varietà di quello che può gustare.
Ritornando al discorso più astratto, il fedele arrendendosi a qualcosa di più grande di lui (in luogo del prendersi la responsabilità per ogni esito che otterrà nella vita) smette di fare rinunce. Egli si abituerà allora a una libertà che gli permette di non perdere nessuna esperienza appagante per sé. Il fedele è una persona che abbraccia tutto, e più si abitua all’amore e più abbraccerà. Nel senso che maggiore è la sua disposizione ad accogliere, maggiore sarà l’andargli incontro della vita stessa e dei suoi doni.
Se io mi sforzassi in tutti i modi di ottenere qualcosa che desidero, come il possedere una certa automobile, potrei alla fine arrivare effettivamente a potermela permettere e acquistare. Invece, se io mi concentrassi solo su desiderare di accogliere quanto mi arriva dalla vita, benché seriamente appassionato di auto o nel vero bisogno di dovermene procurare una, forse potrei non raggiungere l’auto che sto sognando, ma vivere varie esperienze che saranno l’ideale tassello per il mio procedere progressivo in questa vita.
Infatti, pure quello che sogno è, in realtà, soltanto un’idea (vedi capitolo 1). Anch’essa formulabile solo attraverso quello che conosco: non posso desiderare qualcosa che non conosco. Forse, allora, non sono io a sognare quella data cosa, ma è la mia mente a farlo (ovvero l’insieme di quanto conosco e ho fatto esperienza). E cercare di concretizzare quel sogno sarebbe come fare quanto dice qualcun altro: la mia mente. Invece, controllare la propria volontà per lasciare che altro possa agire in essa, non è parimenti un annichilirsi, un dipendere. Questo si spiega perché se una persona è certa che ogni cosa è Dio, di conseguenza considera anche se stessa come Dio.
Ovviamente, non si intende che ogni ente nell’universo, ogni uomo della Terra è un dio. Sarebbe alla stregua di catalogare ogni goccia dell’oceano come l’oceano. Semmai, ogni entità è parte (nella sua sostanza) e partecipatrice (nella sua coscienza) a quel tutto che, fino ad adesso, abbiamo deciso di chiamare Dio. Allora, un fedele, un praticante del Vangelo, non è alla mercé di una volontà superiore ma un perfetto componente, una sua manifestazione in questa realtà. Nella Bibbia, si descrive l’uomo come immagine di Dio: l’essere umano è un riflesso, una proiezione.
Come nella sua piccolezza la goccia dell’oceano contiene la stessa acqua che costituisce l’intero mare, così l’individuo si porta appresso la medesima sostanza di tutto l’universo. E, per estensione, se vogliamo precisare con un nome: la stessa sostanza di Dio.
L’uomo non è una creatura separata, un ospite della creazione, è la creazione, è il creatore. Tuttavia, solo quando si intraprende un percorso di conoscenza di sé e ci si è liberati dall’idea di dover essere in un dato modo e dover fare date cose per soddisfare tutti i doveri (mascherati da desideri), che ci si alleggerisce dall’ego e ci si può vedere come creatori in conseguenza dell’essere porzione del tutto. E non perché si può prendere possesso di tutto e manipolarlo a nostro vantaggio; questo è quello che già l’essere umano fa su questo pianeta. Come se una cellula del mio corpo si accorgesse di essere parte di qualcosa di molto più grande, sconfinato, e allora, per il semplice fatto che ne è diventata cosciente, lo vuole comandare. Essa è sì il mio corpo, ma solo in misura del farne parte; così l’uomo in rapporto all’universo.
L’uomo è proiezione del creatore e pertanto è lui stesso creatore, come la mia immagine sullo specchio è identica a me. Essa espleta con perfezione il proprio scopo se segue i miei movimenti ogni volta che mi muovo. Se non lo facesse, sarebbe uno specchio utile parzialmente o difettoso. Fuor di metafora, l’uomo vive la sua vera natura quando riflette con piena armonia quanto sta “rispecchiando”. Il fedele si riconosce (si scopre) tutt’uno con quanto ha di fronte (è la sua immagine).
Tale armonizzazione, impariamo che è diretta conseguenza del non rinunciare a nulla (nella maniera proposta all’inizio di questo capitolo), dell’accogliere la vita in tutte le sue forme (altrimenti sarebbe un apparire diversi rispetto a quanto si sta rispecchiando). Tutto serve per fare la vita e il Padre sfrutta qualsiasi cosa per fare sperimentare all’uomo quanto deve affrontare. Con vero stupore, si può leggere nel Vangelo che Dio si serve addirittura di Satana per dei fini precisi; come far vivere a Gesù l’esperienza evidentemente necessaria di prove e tentazioni nel deserto. Cosa sarebbe successo se, invece, Gesù si fosse opposto a un simile esame? Comprensibilmente, Gesù avrebbe anche avuto ragione, se avesse tentato di evitarlo. È forse perché Egli sa che tutto è sottilmente legato al Padre e alla Sua volontà, che acconsente?
Così Gesù attraversa quell’esperienza scandita con incontri vari con Satana. Egli, semplicemente, accetta di viverla. Tuttavia, ricordiamo che nel Vangelo si racconta di altri episodi in cui Gesù esercita la forza contro demoni per liberare persone possedute. Può essere che nel secondo caso si tratta di un Male, un “Satana”, che sfugge a quello che Dio vuole per Gesù? No, non cambia nulla, non c’è differenza fra i due casi se non nella reazione di Cristo. Perché anche i demoni del secondo caso, Gesù sa che sono in realtà manifestazione di Dio: sono lì perché Egli deve affrontarli con forza. Proprio come qualsiasi cosa che nella vita di ciascuno di noi può essere valutata come negativa: ci capita sì, come evento da affrontare, ma sempre come anch’esso manifestazione del divino.
In un modo più esaustivo, si è voluto qui delineare quanto l’abitudine del giudicare è non solo controproducente, ma anche una mera perdita di tempo ed energie. Inoltre, può portare a un affievolire o intorpidire la propria armonia. La quale, vedremo essere (sempre più nel corso dei vari capitoli) la chiave più fattiva per entrare in contatto con la propria essenza di creatore. E quindi con Dio.



17/08/22

IL GIORNO DELLA SALVEZZA - A CHI SI OBBEDISCE capitolo 1

Qui di seguito il primo capitolo del nuovo libro che ho scritto IL GIORNO DELLA SALVEZZA che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


A CHI SI OBBEDISCE


La fede è la grande conquista ottenuta dal praticare il Vangelo, come abbiamo conseguito dal precedente libro, Vangelo Pratico. Attraverso la fede l’individuo avanza senza pretese, senza programmi, come bendato sapendo solo che deve procedere in avanti.
Quotidianamente si è inclini a stabilire i propri doveri e piaceri, non viene spontaneo vivere senza. Con la fede, anche il pianificare prende un tono meno impositivo: come le regole che ci si fissa in un gioco, comunque vada è sempre parte del divertimento. In questo nuovo libro, ci porteremo a vedere che il divertimento, l’ilarità, la leggerezza, sono sintomi di un vivere da un’altra parte rispetto alla società che induce allo stress per soddisfare parametri poco flessibili. E il divertimento, la gioia sono la vita stessa e in tale forma essa deve essere fatta passare attraverso noi, cioè attraverso i nostri pensieri, le nostre azioni, le nostre creazioni, ecc.
Con fede, quindi, si possono comprendere le Sacre Scritture, se questa non lascia spazio a dubbi o perplessità. È solo a causa della condizione di fedeli, che qui parliamo del Vangelo, infatti. Perché se il Signore fosse argomento di studio, allora qui lo trovereste affrontato per mezzo di interpretazione. Cosa che non ci serve perché, come già sostenuto, l’interpretazione impone di rimanere influenzati dal personale modo di vedere e capire. La Verità non si può cogliere con metodo empirico perché l’uomo sarà sempre condizionato da ciò che sa, crede, pensa e sente emotivamente.
Pertanto, la fede è sia il risultato riscontrabile nella pratica del Vangelo che il mezzo per poter ulteriormente comprendere il Vangelo stesso. È plausibile che dopo questo nuovo traguardo, si possa giungere a un risultato nuovamente diverso da permetterci di cogliere dell’altro ancora, seppure eravamo partiti da quella che si credeva essere la comprensione maggiore delle Scritture. Un imprevedibile nuovo approfondimento.
Qui sta la differenza fra leggere il Vangelo come ispiratore per un mondo di bontà e pace e leggerlo come scrigno che si apre a rivelare un percorso di iniziazione verso una zona fuori da qualsiasi mappa mentale, rappresentabile, dove poter conoscere il Signore Supremo.
Non è che la fede rende l’individuo più intelligente o laureato in teologia; le sue conoscenze, credenze, valutazioni, pensieri e sentimenti saranno sempre i medesimi: è la stessa persona di prima. La diversità sta in quanto egli si concederà di rimanere influenzato da ciò che proviene dalla propria interpretazione e quanto, invece, da qualcosa di più grande. Che egli lascerà ad agire al proprio posto. E la comprensione, anche delle Scritture, avverrà per intuizione.
A questo punto, si percepisce molto probabilmente un naturale scostamento da quanto la società richiede. Ad esempio, le conquiste mondane che vengono raggiunte dalla persona si mostrano in realtà come conseguenze a imposizioni esterne piuttosto che un manifestare la personale libertà di scelta. Pure l’appagamento nel possedere beni e immobili, viene vanificato quando si comincia a intuire la società in modo diverso. Che senso trovare, allora, in una esistenza che è sganciata dalle regole alle quali tutto il resto e tutti gli altri, apparentemente, sono agganciati?
Ricordando il libro precedente, sappiamo che non c’è nessun senso nella vita, in realtà, se non il facilitare la vita stessa. E questo avviene attraverso un accettare e ricambiare quanto riceviamo giorno per giorno (che abbiamo colto che è corretto definire come dei doni, essendo ideale per ciascuno di noi). Ebbene, un osservatore esterno può valutare questo paradigma al pari di una stasi che non permetterebbe di raggiungere obiettivi, profondi godimenti o successi. Valutazione che però avrebbe fondamento soltanto quando si vive credendo se stessi gli unici artefici dei propri obiettivi, piaceri, successi e così via. Lasciar fare a qualcos’altro che agisca per noi, al posto nostro, è il potere della fede; ma solo se si ha a che fare con una fede incrollabile in Dio. Altrimenti, si cova un sospetto che possa aprirsi per noi una vita di immobilità e noia se non ci si preoccupasse di riempirla di quanto si aspira.
Però, ciò che l’uomo può fare sarà sempre entro i limiti della propria immaginazione; di conseguenza, cercare di realizzare quanto si vuole è semplicemente a motivo di un temere che in alternativa non possa accadere nulla. È il grande mistero della fede, che mi induce a essere libero senza sapere cosa farmene della libertà, piuttosto che aderire al profilo di persona che la società vuole che io sia.
Tale libertà, come paventato poco sopra, parrebbe introdurre a una sensazione di vuotezza, di inanità. E ciò è ovviamente legato in modo diretto all’abituarsi a considerare ogni cosa, anche noi stessi, in base alla utilità.
Però, se argomentiamo che il senso della vita è facilitare la vita, non è questo un principio ugualmente basato su una funzione, e per di più precisa e inderogabile? La risposta è no, perché in questo caso si tratta dell’espletazione di una predisposizione naturale. Pertanto, nel corso di questo trattato, ci inviteremo a mettere sempre più a fuoco come è la natura propria dell’essere umano e della realtà in cui vive.
Perché, ad esempio, ci viene più facile credere di essere immersi in problemi invece che immersi nella beatitudine? Dio è ogni cosa, quindi anche quando si dovessero vivere esperienze problematiche, chi ha fede considererà tutto come Dio. Sa di esserne immerso, con onestà calcola come inconcepibile la vastità dell’universo e allora si arrende, non giudica. Chi non ha fede, seppure anch’egli calcola come inconcepibile la vastità dell’universo, si oppone a questa incomprensione e vuole spiegarsi ogni cosa. Così, paradossalmente, chi non crede in Dio finisce con il dover tenere conto di una marea di cose: tutto quello da cui viene toccato perché ogni cosa è parimenti esistente e distinta. Mentre chi ha fede è certo che qualsiasi cosa sarebbe sempre, in realtà, una. E il paradosso sta che in tale dinamica, chi non ha fede finirebbe per avere fede e credo in maniera più ampia e complessa di un fedele che concentra invece i propri pensieri e azioni verso un solo “soggetto”.
Nel tentativo di semplificare ed evitare di banalizzare, si potrebbe affermare che il liberarsi di tutte quelle fedi (vari dèi a cui rendere conto) è il punto di vista migliore per inquadrare nel suo aspetto più maturo e forte la libertà derivante dalla pratica del Vangelo. Cercare di vivere con l’intento di soddisfare quanto ci si convince che ci si aspetti da noi, pilota le nostre decisioni, dalle cose più importanti (la carriera, il posto dove abitare, come apparire) fino a quelle minime (i luoghi che si sceglie di frequentare (online e no), il modo di formarci, la scelta degli oggetti che ci circondano) così che sarebbe appropriato individuare dietro a ciascuna di queste richieste soddisfatte o meno una figura che avanza tale richieste. Tali figure possono anche essere palesi sotto forma delle persone che incontriamo nella vita, ma non è esattamente a loro che si obbedisce. Si obbedisce all’idea che si deve essere in un dato modo, all’idea che c’è dietro alle nostre scelte, come la carriera lavorativa che costruiamo fino a un oggetto che si acquista senza pensarci troppo. Ma quella carriera o quell’oggetto sono solo un lavoro e una cosa, quello a cui si aspira è l’idea che si ha e che si pensa che la società ha su quel lavoro e quell’oggetto.
In conclusione, le idee vengono assurte a qualcosa di vivente, esistente, seppure astratte. Proprio come un’idea potrebbe essere ciò che il fedele insegue di Dio. Ma, riallacciandoci al concetto iniziale: chi non ha fede in Dio finisce per sentirsi costretto a soddisfare una marea di dèi per essere felice.
Malgrado ciò, a questa analisi si dovrà anche aggiungere un consuntivo su cosa si ottiene concretamente nei due distinti modi di condurre l’esistenza. Per adesso, focalizziamo l’attenzione attraverso la comparazione appena fatta su cosa si intende essere fedeli e cosa no; e specialmente su cosa si considera per vita libera.
Addirittura, da questa osservazione si potrebbe alludere che un fedele, in realtà, per il suo essere fedele è semplicemente fedele alla vita, alla sua natura. Dio non gli dice come essere e cosa fare, perché tutto quanto egli è e tutto quello che gli capiterà è Dio. Il fedele non deve, in pratica, fare nulla di particolare per vivere da fedele, e il suo rendere conto a Dio, obbedirGli, è il mero vivere.



10/08/22

IL GIORNO DELLA SALVEZZA - Il Vangelo pratico, seconda parte -

Da questo post in poi proporrò dei brani tratti dal nuovo libro che ho scritto IL GIORNO DELLA SALVEZZA che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima Edizioni. Spero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


PRESENTAZIONE




Una seconda parte a Vangelo Pratico è necessaria per così poter umilmente parlare di un ulteriore sviluppo che di nuovo viene trasmesso guardando al Vangelo. Pertanto, la si consiglia di leggere successivamente alla prima, Vangelo Pratico, la quale ha anche avuto funzione di preparazione alla presente.
Il precedente trattato, infatti, aveva sì delle finalità espresse e chiare, ma anche altre non rivelate al lettore. Le prime, come viene spiegato attraverso tutti i suoi capitoli, intendono ricordare al lettore che tutto, nell’universo, è un’unica sostanza; far riemergere, grazie alla traccia delle Sacre Scritture e all’osservazione del quotidiano, che qualcosa di infinitamente più grande dell’uomo esiste ed è in costante connessione con lui. Da qui, il far chiarezza su come considerare la realtà che si vive anzitutto non come verità oggettiva ma come sequenza di esperienze che verrebbero proposte dalla vita proprio per far accorgere l’uomo della sua natura libera e sconfinata. Unita al tutto.
Il percorso del primo libro, Vangelo Pratico, quindi, intende segnalare una libertà dal condizionamento da ogni cosa che capiti nella vita personale e così facilitare un’esistenza caratterizzata dalla felicità e dalla soddisfazione: attraverso, appunto, la pratica del Vangelo. Cos’altro ci potrebbe essere da aggiungere?
In effetti, se si accetta di vivere una vita carica di doni e così che apporti felicità e realizzazione, non dovrebbero sussistere incertezze tali dal voler ricercare dell’altro ancora oppure qualcosa di differente. Le intuizioni apprese tramite il Vangelo Pratico, o comunque le informazioni in esso contenute, non sono da processare ulteriormente, ma da utilizzare come punto di partenza per un viaggio maggiormente profondo.
La finalità del primo libro non direttamente palesata è giustappunto il preparare il lettore, per mezzo di tutte le riflessioni evidenziate, a quelle che verranno introdotte in questo nuovo testo. Non potrebbe essere facilmente adoperabile il libro IL GIORNO DELLA SALVEZZA senza che prima non ci fosse stato il precedente a sviluppare i concetti atti a portare alla luce delle intuizioni più complesse e meno prevedibili. Il lettore stesso, proprio grazie alla lettura del primo libro, troverà un beneficio dal modo in cui i temi sono stati là sviscerati quando si metterà alla prova in questo nuovo percorso. Nuovamente, si tratta di un viaggio che utilizza il Vangelo come base (e senza per forza chiudersi in esso).
Tenendo conto dell’intenso studio del primo libro, com’è possibile scrivere ancora sul Vangelo? Il Vangelo non esaurisce il Vangelo, innanzitutto; lo stesso Gesù lo fa sospettare. Questo si evincerebbe quando gli Apostoli chiedono spiegazioni ai discorsi che il Maestro fa alla gente. Egli precisa che c’è una diversità nello spiegare: alle persone attraverso parabole, mentre agli Apostoli evidentemente in modo più chiaro e ampio. Non è che la gente avesse una capacità di comprensione inferiore rispetto agli Apostoli, ma è probabilmente differente il ricevere l’insegnamento con costanza e insistenza rispetto a una modalità casuale ed episodica.
Agli Apostoli veniva riservato un passaggio di informazioni che solo in pochissima parte ci è arrivato con il Vangelo. Infatti, nella cronaca di Gesù si legge principalmente di discorsi ed esperienze che Egli ha con la gente qualsiasi, piuttosto di quando è appartato con i suoi discepoli. In altre parole, agli insegnamenti più approfonditi non abbiamo un diretto accesso e se ne rimane parzialmente all’oscuro. Addirittura, come precisato dagli evangelisti, Gesù spiega loro che alle altre persone (non agli Apostoli) Egli parla in modo non immediatamente chiaro, così che la comprensione non sia diretta. Gesù per primo si preoccupava che “l’uomo della strada” non avesse una visione cristallina del messaggio.
Ovviamente, questo non significa che Cristo facesse delle discriminazioni. Egli sapeva che, a differenza dei discepoli che erano con lui continuamente, gli altri, anche se avessero saputo la verità definitiva, non avrebbero creduto. Pure temeva che si spargesse la notizia delle Sue capacità di guaritore per evitare che Lo considerassero, Lo ascoltassero e Lo seguissero solo a motivo di quelle.
Uno può rivelare la verità “Dio è dentro di te, e grazie a questa unione nulla ti è impossibile”, ma l’uomo è talmente condizionato da quello che vive da credere più al suo esterno che al suo interno, dal materiale che dal trascendente. E così, anche se la verità venisse compresa, non viene poi vissuta. Pertanto, la vita propone una sequela di eventi (anche esperienze che personalmente si possono giudicare negative o senza importanza) al fine di permettere certi insegnamenti o avere certe intuizioni e così infine giungere alla verità che gli era già stata rivelata, in realtà, all’inizio del viaggio. Allo stesso modo, Gesù crea degli ostacoli nella trasmissione della “Buona Novella” per evitare il rischio che non venga neppure accettata. Ecco perché il Vangelo viene definito (si veda l’ultima parte del Vangelo Pratico) come punto di partenza e non come punto di arrivo.
Nel parafrasare il Nuovo Testamento, anche noi ci siamo ritrovati inconsapevolmente a creare le condizioni grazie alle quali per prima cosa si potesse afferrare il livello principale di comprensione. Dopo che uno ha affrontato il primo libro, infatti, potrà esplorare questo nuovo. Il quale gli apparirà ovviamente ricco di novità, come di esagerazioni per chi non ha letto il precedente volume.
Di conseguenza, si potranno riscontrare in questo libro delle contraddizioni o degli scostamenti con il precedente. Ciò non vuol dire che i due lavori sono scollegati o l’autore è impreciso. Si tratta, semmai, di una differenza nell’esporre taluni argomenti. Come già giustificato, il primo libro è stato un fare in modo che chiunque potesse introdursi a una tematica di spiritualità, pertanto si è usufruito di un lessico che potesse essere da tutti comprensibile. Non si tratta di una mancanza di rispetto, e neppure di un prendere in giro il lettore. Si è dovuto ricorrere a un linguaggio il più adatto possibile per rendere trasmissibili certe idee, facilitarne l’intendimento e mantenere fluido il procedere del viaggio.
Difatti, si ribadisce, qui non si impone alcuna religione, né si insegna un credo ma si affronta per prima cosa come portare la propria coscienza alla più ampia libertà, in un diretto contatto con l’infinito. Con questo nuovo libro, ci interessiamo a far fluire ancor più questa coscienza.
Allora, facciamo la scoperta che Gesù non ci ha interdetto gli ammaestramenti più alti, i quali erano stati riservati ai discepoli e, forse, persi o limitati nell’evolversi della Storia. Questi sono ancora accessibili a tutti, sono insegnamenti che esistono sotto i nostri occhi, negli stessi Vangeli. Infatti, ora che abbiamo fatto il primo salto, come sviscerato nella pratica del Vangelo (vedi il Vangelo Pratico), il Vangelo segreto è raggiungibile. Attraverso la pratica del Vangelo, è come se si diventasse più sintonizzati verso le intuizioni e da quelle riuscire a rileggere in modo più profondo il Vangelo stesso. La parola del Cristo si apre come uno scrigno e mostra dell’altro ancora, come se si fosse imparata una nuova lingua; qualcosa di ancor più inerente all’infinito.
In verità, non sono io ad aver acquisito una capacità in più, una sorta di prodigiosa abilità. No, è tutto in quell’arrendersi a qualcosa di infinitamente più grande di noi. Questo favorisce anche la limpidità di fronte a ogni cosa, anche alla necessità di capire le cose stesse. Più si pensa che siamo noi a comprendere maggiormente quanto ci circonda, e meno permettiamo alle intuizioni di attraversarci.
In IL GIORNO DELLA SALVEZZA, il lettore verrà accompagnato verso punti di vista divergenti dal consueto, forse anche dal senso comune. Ma si invita a non cercare in questo libro le conferme di quel che già si sa; le stesse conferme che uno crede di aver conquistato grazie al libro precedente, in questo verranno sorpassate.
Ci sono anime che si incarnano per vivere una vita in cui sono condizionate da ogni cosa, altre si incarnano per mostrare alle prime che il condizionamento è solo un’illusione. Condizionamento che è stato creato proprio per far accorgere che è un’illusione che serve solo a questa funzione. Si smette così di credere nel condizionamento e di darsi pensiero per ogni cosa che capita nella vita e si accetta la Verità. Che libera.
Questo libro non può dare delle regole, la formula per ottenere qualcosa, la felicità ad esempio (si avanzerà diversamente dal libro precedente che è innanzitutto descrittivo). Perché se l’autore di un libro scrive la propria proposta per essere felici oppure scrive su quella di qualcun altro, lo dovrà comunque fare stando dal proprio punto di vista. E il proprio modo di vedere la realtà è un confine invalicabile se si agisce in tal modo. I lettori, così, non potranno mai ricreare quanto suggerito da quell’autore, appunto perché anch’essi, a loro volta, hanno un distinto modo di percepire e intendere la realtà. Questo è il motivo per cui, a tale scopo, nessun libro finora ha funzionato in modo esaustivo.
Che il precedente nostro volume, quindi, venga considerato fondamentalmente per dismettere l’abitudine ad avere certezze. Mentre il presente propone un percorso che, malgrado le informazioni che vengono utilizzate per renderlo immaginabile al lettore, accompagnerà verso una nuova visione, unica per ciascuno. Essa non può essere qui anticipata perché altrimenti il lettore rimarrà in attesa di rilevarla durante tutta la lettura, invece che addentrarsi senza punti di riferimento. Neppure si può fornire la sicurezza che raggiunta l’ultima pagina egli potrà vedere effettivamente un rinnovamento. Perché è l’avanzare convinti di potersi appoggiare a qualcosa di certo a ogni passo, il motivo che renderebbe tutto un mero cercare di ottenere qualcosa, di soddisfare un desiderio. Anche in ambito evanescente come potrebbe venire definito quello che trattiamo.
Il faro per il nostro viaggio dovrà sempre essere l’ignoto, piuttosto. Così che se dovessimo abbracciare considerazioni e ragionamenti che già conosciamo, avremo la prova di aver imboccato la strada sbagliata. Perché se ci circondiamo, anche in questo processo, di idee e credenze che già abbiamo conosciuto, allora non staremmo per incontrare quanto non siamo mai riusciti a incontrare finora.
Usiamo le conoscenze e l’intelletto per andare oltre le conoscenze e l’intelletto, perché se “sapere cose” ci fa anche soffermare su quelle cose e crederle vere allora non servirebbero ad aprirci a oltre quello che già siamo e sappiamo. La pratica del Vangelo ci stimola la fede, dopodiché, con fede, possiamo rileggere il Vangelo stesso.