L’uomo non è neppure un uomo, nel senso che non essendo innanzitutto la forma che anima per vivere l’esperienza corporale non è sostanzialmente un essere umano. Non è neanche uno spirito o un’anima, come verrebbe da interpretare quando si invita a guardare dentro di sé, oltre la superficie. La nostra essenza, bisogna ammettere, è l’Essenza unica e universale: l’Esistenza, la Vita. Il nostro essere coscienti (la nostra coscienza che ci permette di essere coscienti) è l’unica Coscienza nella quale tutto l’universo e tutta l’umanità sono fusi. Proprio come l’unico mare si increspa dando così manifestazione di un’onda.
Quell’onda è ugualmente mare come il restante mare sottostante l’increspatura dell’acqua. Così, dall’unica Coscienza, il nostro differenziarci in esseri coscienti è comunque quella coscienza. E, infatti, come coscienza non si può evitare dall’accorgerci di sé e della propria origine. È perché siamo coscienza che diventiamo coscienti e siamo “fatti” di coscienza, proprio come onda e mare sono costituiti dalla medesima acqua. E si tratta, inoltre, di un temporaneo distanziamento e non separazione; proprio come l’onda sarebbe un mero improvviso alzarsi e abbassarsi del mare.
Nell’increspatura del mare, è il mare, allora, che diventa onda, come se questa fosse una sua “estensione”. Si tratta semplicemente del mare che cambia la propria forma. Ma così facendo, succede che può “vedersi”, accorgersi di sé. L’onda sarebbe il suo testimone, come se raddoppiandosi in onda il mare potesse finalmente osservare il proprio riflesso e conoscersi, riconoscersi. Allo stesso modo, la Coscienza universale fa l’uomo a propria immagine e così può “specchiarSi” e avere un testimone di Sé. Il quale si può accorgere che la Coscienza universale esiste e anche che egli, come Suo riflesso, esiste.
Dio è unico, l’Uno, quindi senza secondi; è la Vita, abbiamo imparato a considerare nel modo più completo. Pertanto, l’esistenza, nella sua unicità, è senza spazio e tempo, senza alcuna contrapposizione. Un unico, totale, grembo: nel creare il proprio riflesso, Dio ha così avviato la dualità (lo spazio e il tempo).
Come si è già scorto, per poter essere rilevabile, la vita si manifesta ospitando il proprio opposto. Così, per “poterSi” conoscere e riconoscere, Dio ha creato il proprio riflesso avverso a Sé: distaccato, incosciente, inconsapevole, materico. Può essere rilevabile una terra senza un cielo sopra, grazie al quale potere riconoscere forme, caratteristiche e confini di quella terra? Ci sarebbe bisogno che ci sia accostato un opposto così che possa fungere da punto di riferimento e di osservazione. Per questo motivo, fuori dalla metafora, non potrebbe Dio aver creato questo universo per renderSi manifesto e rilevabile? Sia a Sé che a ciò che ha creato. E quest’ultima azione, l’essere riconoscibile dal Suo creato, è possibile e spontaneo perché il Suo creato è ugualmente Lui. Il Quale è appunto coscienza, che nell’esperienza umana diviene un “essere coscienti”.
Allora, a causa di questa dualità, dell’opposizione appena desunta, non è affatto interdetto o proibito all’uomo riunirsi a Dio. Anzi, lo sarebbe già; proprio come cielo e terra sono uno il proseguimento dell’altra e la loro contrapposizione è funzionale solo per permettere di fare l’esperienza di poter rilevare entrambi. La materia e una vita influenzata dal corpo, dai sensi e dalle tentazioni mondane, abbiamo infatti già constatato essere addirittura il giusto sollecito per desiderare di volgere verso l’alto. Ovviamente, sempre che la persona non si convinca a credere che la vera realtà sia un reiterare esperienze che appagano solo a seconda di condizioni che reputerebbe esterne a sé, dello spazio e del tempo (di dove e quando si è).
Tutto ciò è comprensibile perché Dio, nel suo essere Uno, e quindi unico e in questo anche completo e universale, non può avere relazioni. Senza alcuna controparte, Dio non avrebbe nulla con cui stringere una relazione. Eppure, essendo completo e universale, si sbaglierebbe a credere che Egli possa essere solo. Non è per questo che ha creato l’universo e l’uomo, né per altri motivi che sarebbero inscrivibili piuttosto ai sentimenti e ai bisogni umani. Dio crea sì per poter avere testimonianza di Sé, ma in questo sviluppo (raddoppio, potremmo dire usando un linguaggio che cerca punti di riferimento logici per capire meglio) consente che avvenga una relazione. E se si parla di relazione, si intende l’amore: creando una relazione, l’amore è possibile. Quest’ultimo, come sappiamo, non è soltanto l’espressione di un sentimento, ma una vera e propria forza che agisce. È la forza stessa che permette la creazione, da quella primigenia a quella di ogni cosa contenuta nell’universo.
L’ente che è uno, non può far altro che sdoppiarsi. Da ciò, come una catena inarrestabile, l’intero universo è stato provocato al propagarsi di quest’amore. Tutto ciò che è nell’universo, pertanto, è connesso in una relazione. Ed è anche plausibile che alla stessa maniera, dalla stessa Coscienza, a partire dalla prima relazione se ne siano sviluppate altre che hanno prodotto altrettanti universi. Anche non percepibili dall’essere umano o non fisicamente raggiungibili.
Ogni volta, anche in questo trattato, che si è osservato che in ciascuna azione vi è un donare, un accogliere o un trattenere, un contrapporsi, un respingere e allo stesso modo un trasformare, si sta parlando di relazioni. In questo universo tutto si manifesta tramite la dualità: due elementi che si rapportano. Fin nel più banale gesto, ogni cosa in questo universo si relaziona a un’altra. Così, le persone mettono in scena una relazione non solo nel loro incontrarsi ma pure in ciò che non si sospetterebbe. Quando io sorseggio un bicchiere d’acqua, creo una relazione tra il liquido e il mio organismo fino alle vicendevoli molecole e cellule. Questo perché si va ad alimentare una reazione, e infiniti esempi così si possono riscontrare. Quando si cucina, si digiuna, si comunica, si calpesta la terra nel passeggiare o si scrive qualcosa su un foglio, ecc. Tutto è relazione e questa relazione deve per forza contenere l’amore altrimenti non sarebbe possibile alcuna creazione. Neppure la relazione stessa.
Il convincersi di vivere una vita che ci vede come esseri separati gli uni dagli altri e dall’universo che abitano, è la distorsione che comporta esperienze inadeguate e approssimative nel sentiero per la felicità e la Verità. Il riconoscersi invece in un contesto in cui ogni componente, dalle galassie fino al minimo atomo, è collegato inevitabilmente in una relazione è la porta che si apre alla felicità e alla Verità. Queste relazioni non possono essere interrotte altrimenti ci sarebbe una sospensione, una falla della creazione. Esse, difatti, sono tutte tra loro allacciate e connesse come potrebbero apparire le ramificazioni di un albero. A questa immagine, ci si può certamente soffermare nel vedere che l’albero è Dio e laddove si tentasse un’assenza di relazione, il ramo secco che se ne distaccasse.
Ogni relazione varia a seconda della misura in cui trasmette amore. Tale trasmissione è quello che determina quanto la relazione comporterà nel contesto. Dipendendo da ciò, infatti, ogni relazione dà l’avvio a nuovi universi. Come ciascun scambio è una relazione, altrettanti saranno gli universi di seguito creati; i quali costituiscono una catena sconfinata dalla quale dipartono ulteriori innumerevoli “diramazioni” di vita.
Da questo, a sua volta l’uomo si può accorgere del proprio peso nell’universo come creatore. E, inoltre, che pure la morte o la metempsicosi sono ugualmente forme di relazione: tutto è vita, l’unica, la prima e l’ultima. Essendo stata innescata questa catena di azione e reazione dovuta alla realtà duale caratterizzata da spazio e tempo, solamente chi si limita a pensare che la morte sia la fine della vita, ne farà esperienza non da immortale come egli sarebbe. Allo stesso modo, malgrado siamo tutti vincolati dalle stesse leggi di questa realtà materica, dello struggersi in sofferenze e frustrazioni ne è succube solo chi accetta che ogni fatto della vita è fisso e a sé stante, e non una onnipervasiva relazione con il resto dell’universo.
Proprio come il giudicare quanto si sta vivendo sarebbe allora un dare giudizio e valutazione a tale relazione, così il non giudicare faciliterà che a livello personale ognuno di noi possa percepirsi come la relazione stessa. Un’unica vita che si dirama come una rete senza possibilità di vederne la fine, comprendendo così tutte le forme, tutte le trasformazioni, tutta la conoscenza. Questa è libertà, realizzazione e felicità illimitate perché non dipendono da nulla in particolare. E possono pertanto essere vissute anche se si vive una vita incarnati in un essere umano mortale, dalle capacità limitate e dalle possibilità esigue. Perché si conosce la Verità e si vive connessi con ogni componente della diramazione.
Tutto ciò è stato fino a qui riportato perché è stato anche provato. E chi lo trascrive ha la netta sensazione di averne avuta esperienza. Non si tratta di una speculazione o di studi riferiti per compiacersi o per il gusto di vantare elucubrazioni eccezionali. Chi scrive garantisce che tutto ciò che è stato scritto proviene da quanto si può cogliere nel corso del processo stesso che viene descritto. Tuttavia, le spiegazioni contenute non sono importanti, lo è la meta finale. La quale è una esistenza felice, soddisfatta e realizzata a causa dell’accorgersi della fusione con qualcosa di immensamente più grande di noi. La conseguenza è questa, allora, e tutte le conoscenze e intuizioni che si possono cogliere e che qui vengono anticipate sono semplicemente un mezzo. La Verità, la stessa conoscenza, fungono da strumenti, come il ponte descritto metaforicamente nei capitoli precedenti. Una persona spirituale e che ha raggiunto la pace non si riconosce quando dimostra di sapere tutto sugli argomenti spirituali e, forse, pure con la presunzione di sapere esattamente come è il mondo al di là del percepibile. Comportandosi così, finirebbe per essere colui che si ferma sul ponte e non piuttosto che lo ha attraversato.
Le conoscenze servono solo per andare dall’altra parte e, essendo di questo mondo, esse sono soggette a interpretazioni e modifiche. Si può affermare che il ponte verso la Verità può essere differente a seconda di com’è la persona che lo vuole affrontare. Come a dire che ce ne siano in realtà di innumerevoli. Ciò non importa perché la realtà dei fatti è che sono solo dei pretesti per raggiungere la Verità, non la Verità.
Una pienezza spirituale, pertanto, la si raggiungerebbe con la gioia e non dimostrando di sapere tanto. Le stesse informazioni contenute nella sequenza dei capitoli del nuovo libri, che qui viene riportata di settimana in settimana, non sono utili a fare il lettore più dotto oppure per riempirlo di risposte che altrove non troverebbe, esse sono solo il percorso che viene inscenato per condurlo dall’altra parte. Quando egli raggiungerà la Verità, la scoprirà da solo e non perché percepirà con il proprio intelletto quanto spiegatogli: lo saprà indipendentemente dalla spiegazione che aveva ricevuto per giungervi.
Farsi forti di quello che si scopre e di quello che si sa è un vivere ancora in un modo egoistico in cui si cerca di spiccare sugli altri. Può succedere anche in campo spirituale, la spiritualità è un’idea come un’altra, un oggetto come qualsiasi altro di questa realtà. E può venire sfruttato anche per compiacersi e per sentirsi al sicuro perché convinti delle proprie credenze. Le credenze, le conoscenze sono fondamentali per trarvi quanto sul momento abbiamo bisogno per sollecitarci a fare i passi in avanti verso la Verità. Quando poi vi si giunge, tutto quello che si credeva fino a quel momento impallidisce e si confonde come conseguenza del sentimento di pienezza ed esattezza che si vive. Il quale, ovviamente, non potrà mai indurre a farci sentire più grandi o più saggi degli altri. Come ci si potrebbe sentire “più grandi” quando si sente che tutto è un Uno e non ci sarebbe così nient’altro per permettere una comparazione?
Tutto quello che è servito per giungere fin là è stato come il periodo della vita da infante quando si impara a pensare: agli inizi si segue una certa macchinosità nel costruire ragionamenti da esprimere poi in frasi che abbiano senso, mentre quando si diventa adulti tale processo avviene in modo spontaneo e all’istante da dubitare addirittura che fosse un qualcosa a cui invece si è riusciti un passo alla volta.
Il praticante che arriva al traguardo sarà immerso nella serenità, nella conoscenza, nella felicità. Sarà il suo semplice essere a trasmettere tutto ciò, non un mettere sotto i riflettori quanto dimostra di possedere in fatto di conoscenze, abilità, ecc. Chi non ha raggiunto questo traguardo, lo desidererà accorgendosi di questo, non per un convincimento dovuto alle informazioni che si possono trasmettere. Allo stesso modo, la persona che le ha trascritte in questo libro, non vuole che per forza le si creda. La sicurezza, la serenità, la pace non sono una conseguenza del sapere cose che si è convinti che non possano venire confutate, ma dal vivere al riparo dal preoccuparsi di tutto ciò. E da qualsiasi cosa.