26/04/23

STRUMENTI CHE SI HA E CHE SI E’ - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 37

Qui di seguito il trentasettesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


STRUMENTI CHE SI HA E CHE SI E’




Arrivati a conclusione anche di questo libro, bisogna puntualizzare che la comprensione non è la stessa per ciascuno di noi. Ognuno legge le informazioni sulla realtà a seconda del proprio livello di consapevolezza. Così, ad esempio, un evento come l’epidemia della Covid-19 può essere interpretata in modi distinti seppure l’odierna tecnologia permetterebbe di raccogliere dati esaustivi come non era mai accaduto in altri eventi così importanti della nostra Storia.
Pertanto, la conoscenza che viene trasmessa in questo libro è suggerita attraverso delle informazioni che hanno solo lo scopo di far emergere nel lettore quanto già, nel proprio profondo, sarebbe in grado di intuire. Proprio come farebbero su un piano subliminale gli archetipi codificati all’interno della nostra società.
Addirittura, possiamo affermare che non si sta trattando di Dio quando usiamo il termine “Dio”. Il quale è solo una parola usata per favorire contenuti e suggestioni appropriati al ragionamento che si sta in quel momento invitando a fare. La Verità sarebbe a sé stante, anche dalle parole che si usano; così che quando la si raggiunge, esse diventano superflue. Le parole sono state utilizzate per giungere a quel punto, di seguito si procederà senza le parole o con altri linguaggi, un differente vocabolario. Il Vangelo che qui abbiamo trattato, infatti, è lo stesso al quale ci siamo riferiti nel corso del libro precedente (il "Vangelo Pratico") ed è perfino lo stesso pure di quello letto nel catechismo dall’infanzia. Eppure, affrontandolo con un livello di consapevolezza diverso se ne è letta una interpretazione sempre più approfondita. Fino ad arrivare a quella proposta in questo libro che mostrerebbe conoscenze che malgrado la loro parvenza esoterica sono contenute ugualmente nel Vangelo solito. Così, vale anche l’anticipare che in futuro ulteriori letture del Vangelo ci apriranno a intuizioni che rinnoveranno la nostra attuale visione. Forse addirittura contraddicendola come potrebbe sembrare essere successo accostando questo libro al precedente oppure agli insegnamenti catechistici ortodossi. Questo è possibile senza alcuna previsione poiché la Verità che si ricerca non ha nulla a che fare con quello che si può sapere.
Tuttavia, non è sufficiente essere a contatto con la Verità per acquisirla. Ad esempio, grazie a un ottimo maestro, a letture mirate o agli archetipi che ci circondano e costantemente ci suggestionerebbero. Uno deve anche desiderare di volere la comprensione: come l’indugiare con le tentazioni che portano verso i sensi fanno approfondire le esperienze verso il basso, il lasciarsi attrarre verso l’alto aprirà agli scenari finora descritti.
Il desiderio della Verità è lo strumento più importante per condurci verso la via della libertà. Da qui, altri mezzi sono indubbiamente la preghiera e la meditazione.
La preghiera, abbiamo già precisato che non riguarda semplicisticamente il richiedere delle determinate cose. Non significa un volere una soluzione (un evento o un oggetto) per migliorare condizioni personali o generali. Svuotandosi di tutto ciò, la preghiera è più simile a un rimanersene in silenzio. Come scritto poco fa, non servirebbero le parole quando si tratta la Verità come Verità. Mentre quando essa è considerata come una figura, una persona (Dio), allora verrà spontaneo che pure la preghiera diventi una specie di chiacchierare con qualcuno.
Dio conosce già che cosa necessitiamo nella nostra vita, ci viene spiegato nel Vangelo. Allora, il rivolgersi a Dio è, semmai, un confermare la propria adesione alla Verità, alla Vita e ai suoi equilibri. Un’ammissione, proprio come si è sicuri che ogni cosa avverrà in concorso a quanto personalmente si ha bisogno di vivere per la realizzazione propria e della Vita stessa.
Con la medesima serenità, la meditazione diventa un silenzioso focalizzarsi su un elemento preciso. Che può essere un passo delle Sacre Scritture o qualsiasi parola sulla quale possa essere utile soffermarcisi. Oppure un’immagine o una sensazione, ecc. e sempre senza poi darsi anche una risposta o una spiegazione su cosa potrebbero significare per noi. La meditazione è il momento nel quale con umiltà (senza imporre le proprie conoscenze) ci si apre alle intuizioni. A pensieri che possono portarci verso territori che non per forza debbono essere nei nostri programmi e nei nostri consueti ragionamenti o credenze.
Dalla coscienza di sé a cui siamo ora giunti, possiamo constatare che quando preghiamo riferendoci di un “Padre Nostro” o di una “Santa Vergine” che malgrado il suo essere umana ha dato alla luce il Dio incarnato, non stiamo veramente pensando a una figura che è un “Padre Nostro” o di una qualsiasi altra forma sacra del nostro eventuale Pantheon. Ciò a cui ci dovremmo concentrare è la Verità che sta dietro alle forme che potrebbe prendere per essere captata.
Come potrebbero la preghiera e la meditazione essere occasioni di entrare in contatto con qualcosa che è oltre la mia mente e immensamente più grande di me se si usano formule per descriverlo e spiegarlo che sono prodotti della nostra mente? Sarebbero solo pensieri, un lavoro mentale che farebbe guadagnare solamente una rassicurazione perché si rimane all’interno del prevedibile e del comprensibile. Un rimanere sul ponte, per riprendere l’esempio dei capitoli precedenti. Invece, il contatto con l’Assoluto non porta sicurezza, gioia e pace a seguito di qualche condizione esterna, ovvero qualcosa che potrei capire. Sono invece felicità, pace e soddisfazioni autonome, slegate da quanto si vive, incondizionate.
Le condizioni esterne che possono procurare o inficiare la percezione di felicità, pace e soddisfazione sono legate a come personalmente uno percepisce la propria realtà, abbiamo visto. Quindi, avendo a che fare con i propri talenti, pregi e anche difetti, egoismi e limitatezze. Per raggiungere pace e gioia assolute non si deve però cercare di contrastare i propri pensieri che si paleserebbero come un ostacolo. La soluzione, come abbiamo scoperto, non è nel giudicare ma nell’amore. E quindi nell’accogliere anche quei propri pensieri che sono egoistici, viziosi, impigrenti, limitati, ecc. Questo perché l’uomo è colui che fa i pensieri e non il pensiero che sta pensando.
“Cogito ergo sum” significa appunto che io esisto perché penso, cioè nel mio rendermi conto di star pensando, il mio essere cosciente. Ma i pensieri che realizzo non sono me perché io non sono (in modo esclusivo) la persona che sto animando in questa esperienza terrena. I pensieri sono uno strumento che mi è utile nella mia vita proprio come le gambe mi sono indispensabili per muovermi. Però io non mi riconosco essere le gambe quando mi accorgo di potermi spostare con il corpo nello spazio. Allora, posso anche vivere con pensieri egoistici, viziosi, limitati, ecc. e non per forza immedesimarmici, identificarmi con essi. Infatti, posso avere simili pensieri e ugualmente godere della felicità, pace e soddisfazione autosufficienti e intoccabili.
Nei momenti di silenzio, come durante la meditazione, si osserva proprio questa separazione da ciò che si è e ciò che si adopera per fare l’esperienza in questa dimensione. Si può, pertanto, vedere che anche i propri pensieri, che solitamente ci si abitua a identificare come il sé, sono in realtà una struttura di cui si fa uso. Un po’ come degli oggetti, i pensieri possono essere semplicemente osservati e, malgrado quello che esprimono e la loro funzione, fanno parte di me come i vari componenti del motore della mia automobile formano il mezzo di locomozione che mi permette il viaggio.
Quindi, la meditazione favorisce questa osservazione in un certo modo distaccata, nella quale non ci si identifica nei propri pensieri, sentimenti e desideri. Essi verranno recepiti come elementi che formano la mia attuale forma, subendo ovviamente la mutabilità di questa realtà. Così, quello in cui si finirà per riconoscersi sarà ciò che rimane: l’unica coscienza universale. La quale non è qualcosa che si aggiunge a me o che si conquista: è me.
Questo risultato si otterrà infine in modo spontaneo, senza imporselo, altrimenti sarà un desiderio alla stregua di un altro. Ciò a cui si punta è amare accogliendo la personalità che crediamo di essere, anche se ciò dovesse essere giudicata proprio come lo svantaggio (la croce) che impedirebbe la serenità che si vorrebbe vivere. Fin dal primo capitolo del primo libro, si è precisato quanto l’ego sia ineluttabile per vivere l’esperienza in questo mondo. Tanto esso ci fa identificare in questa realtà e tanto l’uomo la crede vera e così potrà farne esperienza. Però, nella ricerca della Verità, l’ego arriverà finalmente ad apparire proprio per quello che è: uno strumento.
E se anche si fosse convinti di essere lo strumento che si sta usando, ad esempio l’automobile che permette di fare un viaggio, la pratica della meditazione indurrà a lasciarsi portare lungo il viaggio. Allora, sta all’individuo scegliere di essere lo strumento di qualcosa di immensamente più grande che guiderà verso mete imprevedibili (e giuste) per lui. Oppure, cercare a tutti i costi di avere il controllo costringendosi in un’esistenza prevedibile e vincolata da quanto ci si possa convincere di sapere. Malgrado quest’ultima sia la modalità che ci si abitua a credere l’unica per raggiungere la felicità.
Io potrei anche essere la migliore automobile che esista, ma è solo quando lascio la guida a un pilota che potrò vivere appieno l’esperienza di un viaggio.



19/04/23

DOVE PUO’ NON ESSERCI LA VITA? - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 36

Qui di seguito il trentaseiesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


DOVE PUO’ NON ESSERCI LA VITA?




L’uomo non è neppure un uomo, nel senso che non essendo innanzitutto la forma che anima per vivere l’esperienza corporale non è sostanzialmente un essere umano. Non è neanche uno spirito o un’anima, come verrebbe da interpretare quando si invita a guardare dentro di sé, oltre la superficie. La nostra essenza, bisogna ammettere, è l’Essenza unica e universale: l’Esistenza, la Vita. Il nostro essere coscienti (la nostra coscienza che ci permette di essere coscienti) è l’unica Coscienza nella quale tutto l’universo e tutta l’umanità sono fusi. Proprio come l’unico mare si increspa dando così manifestazione di un’onda.
Quell’onda è ugualmente mare come il restante mare sottostante l’increspatura dell’acqua. Così, dall’unica Coscienza, il nostro differenziarci in esseri coscienti è comunque quella coscienza. E, infatti, come coscienza non si può evitare dall’accorgerci di sé e della propria origine. È perché siamo coscienza che diventiamo coscienti e siamo “fatti” di coscienza, proprio come onda e mare sono costituiti dalla medesima acqua. E si tratta, inoltre, di un temporaneo distanziamento e non separazione; proprio come l’onda sarebbe un mero improvviso alzarsi e abbassarsi del mare.
Nell’increspatura del mare, è il mare, allora, che diventa onda, come se questa fosse una sua “estensione”. Si tratta semplicemente del mare che cambia la propria forma. Ma così facendo, succede che può “vedersi”, accorgersi di sé. L’onda sarebbe il suo testimone, come se raddoppiandosi in onda il mare potesse finalmente osservare il proprio riflesso e conoscersi, riconoscersi. Allo stesso modo, la Coscienza universale fa l’uomo a propria immagine e così può “specchiarSi” e avere un testimone di Sé. Il quale si può accorgere che la Coscienza universale esiste e anche che egli, come Suo riflesso, esiste.
Dio è unico, l’Uno, quindi senza secondi; è la Vita, abbiamo imparato a considerare nel modo più completo. Pertanto, l’esistenza, nella sua unicità, è senza spazio e tempo, senza alcuna contrapposizione. Un unico, totale, grembo: nel creare il proprio riflesso, Dio ha così avviato la dualità (lo spazio e il tempo).
Come si è già scorto, per poter essere rilevabile, la vita si manifesta ospitando il proprio opposto. Così, per “poterSi” conoscere e riconoscere, Dio ha creato il proprio riflesso avverso a Sé: distaccato, incosciente, inconsapevole, materico. Può essere rilevabile una terra senza un cielo sopra, grazie al quale potere riconoscere forme, caratteristiche e confini di quella terra? Ci sarebbe bisogno che ci sia accostato un opposto così che possa fungere da punto di riferimento e di osservazione. Per questo motivo, fuori dalla metafora, non potrebbe Dio aver creato questo universo per renderSi manifesto e rilevabile? Sia a Sé che a ciò che ha creato. E quest’ultima azione, l’essere riconoscibile dal Suo creato, è possibile e spontaneo perché il Suo creato è ugualmente Lui. Il Quale è appunto coscienza, che nell’esperienza umana diviene un “essere coscienti”.
Allora, a causa di questa dualità, dell’opposizione appena desunta, non è affatto interdetto o proibito all’uomo riunirsi a Dio. Anzi, lo sarebbe già; proprio come cielo e terra sono uno il proseguimento dell’altra e la loro contrapposizione è funzionale solo per permettere di fare l’esperienza di poter rilevare entrambi. La materia e una vita influenzata dal corpo, dai sensi e dalle tentazioni mondane, abbiamo infatti già constatato essere addirittura il giusto sollecito per desiderare di volgere verso l’alto. Ovviamente, sempre che la persona non si convinca a credere che la vera realtà sia un reiterare esperienze che appagano solo a seconda di condizioni che reputerebbe esterne a sé, dello spazio e del tempo (di dove e quando si è).
Tutto ciò è comprensibile perché Dio, nel suo essere Uno, e quindi unico e in questo anche completo e universale, non può avere relazioni. Senza alcuna controparte, Dio non avrebbe nulla con cui stringere una relazione. Eppure, essendo completo e universale, si sbaglierebbe a credere che Egli possa essere solo. Non è per questo che ha creato l’universo e l’uomo, né per altri motivi che sarebbero inscrivibili piuttosto ai sentimenti e ai bisogni umani. Dio crea sì per poter avere testimonianza di Sé, ma in questo sviluppo (raddoppio, potremmo dire usando un linguaggio che cerca punti di riferimento logici per capire meglio) consente che avvenga una relazione. E se si parla di relazione, si intende l’amore: creando una relazione, l’amore è possibile. Quest’ultimo, come sappiamo, non è soltanto l’espressione di un sentimento, ma una vera e propria forza che agisce. È la forza stessa che permette la creazione, da quella primigenia a quella di ogni cosa contenuta nell’universo.
L’ente che è uno, non può far altro che sdoppiarsi. Da ciò, come una catena inarrestabile, l’intero universo è stato provocato al propagarsi di quest’amore. Tutto ciò che è nell’universo, pertanto, è connesso in una relazione. Ed è anche plausibile che alla stessa maniera, dalla stessa Coscienza, a partire dalla prima relazione se ne siano sviluppate altre che hanno prodotto altrettanti universi. Anche non percepibili dall’essere umano o non fisicamente raggiungibili.
Ogni volta, anche in questo trattato, che si è osservato che in ciascuna azione vi è un donare, un accogliere o un trattenere, un contrapporsi, un respingere e allo stesso modo un trasformare, si sta parlando di relazioni. In questo universo tutto si manifesta tramite la dualità: due elementi che si rapportano. Fin nel più banale gesto, ogni cosa in questo universo si relaziona a un’altra. Così, le persone mettono in scena una relazione non solo nel loro incontrarsi ma pure in ciò che non si sospetterebbe. Quando io sorseggio un bicchiere d’acqua, creo una relazione tra il liquido e il mio organismo fino alle vicendevoli molecole e cellule. Questo perché si va ad alimentare una reazione, e infiniti esempi così si possono riscontrare. Quando si cucina, si digiuna, si comunica, si calpesta la terra nel passeggiare o si scrive qualcosa su un foglio, ecc. Tutto è relazione e questa relazione deve per forza contenere l’amore altrimenti non sarebbe possibile alcuna creazione. Neppure la relazione stessa.
Il convincersi di vivere una vita che ci vede come esseri separati gli uni dagli altri e dall’universo che abitano, è la distorsione che comporta esperienze inadeguate e approssimative nel sentiero per la felicità e la Verità. Il riconoscersi invece in un contesto in cui ogni componente, dalle galassie fino al minimo atomo, è collegato inevitabilmente in una relazione è la porta che si apre alla felicità e alla Verità. Queste relazioni non possono essere interrotte altrimenti ci sarebbe una sospensione, una falla della creazione. Esse, difatti, sono tutte tra loro allacciate e connesse come potrebbero apparire le ramificazioni di un albero. A questa immagine, ci si può certamente soffermare nel vedere che l’albero è Dio e laddove si tentasse un’assenza di relazione, il ramo secco che se ne distaccasse.
Ogni relazione varia a seconda della misura in cui trasmette amore. Tale trasmissione è quello che determina quanto la relazione comporterà nel contesto. Dipendendo da ciò, infatti, ogni relazione dà l’avvio a nuovi universi. Come ciascun scambio è una relazione, altrettanti saranno gli universi di seguito creati; i quali costituiscono una catena sconfinata dalla quale dipartono ulteriori innumerevoli “diramazioni” di vita.
Da questo, a sua volta l’uomo si può accorgere del proprio peso nell’universo come creatore. E, inoltre, che pure la morte o la metempsicosi sono ugualmente forme di relazione: tutto è vita, l’unica, la prima e l’ultima. Essendo stata innescata questa catena di azione e reazione dovuta alla realtà duale caratterizzata da spazio e tempo, solamente chi si limita a pensare che la morte sia la fine della vita, ne farà esperienza non da immortale come egli sarebbe. Allo stesso modo, malgrado siamo tutti vincolati dalle stesse leggi di questa realtà materica, dello struggersi in sofferenze e frustrazioni ne è succube solo chi accetta che ogni fatto della vita è fisso e a sé stante, e non una onnipervasiva relazione con il resto dell’universo.
Proprio come il giudicare quanto si sta vivendo sarebbe allora un dare giudizio e valutazione a tale relazione, così il non giudicare faciliterà che a livello personale ognuno di noi possa percepirsi come la relazione stessa. Un’unica vita che si dirama come una rete senza possibilità di vederne la fine, comprendendo così tutte le forme, tutte le trasformazioni, tutta la conoscenza. Questa è libertà, realizzazione e felicità illimitate perché non dipendono da nulla in particolare. E possono pertanto essere vissute anche se si vive una vita incarnati in un essere umano mortale, dalle capacità limitate e dalle possibilità esigue. Perché si conosce la Verità e si vive connessi con ogni componente della diramazione.
Tutto ciò è stato fino a qui riportato perché è stato anche provato. E chi lo trascrive ha la netta sensazione di averne avuta esperienza. Non si tratta di una speculazione o di studi riferiti per compiacersi o per il gusto di vantare elucubrazioni eccezionali. Chi scrive garantisce che tutto ciò che è stato scritto proviene da quanto si può cogliere nel corso del processo stesso che viene descritto. Tuttavia, le spiegazioni contenute non sono importanti, lo è la meta finale. La quale è una esistenza felice, soddisfatta e realizzata a causa dell’accorgersi della fusione con qualcosa di immensamente più grande di noi. La conseguenza è questa, allora, e tutte le conoscenze e intuizioni che si possono cogliere e che qui vengono anticipate sono semplicemente un mezzo. La Verità, la stessa conoscenza, fungono da strumenti, come il ponte descritto metaforicamente nei capitoli precedenti. Una persona spirituale e che ha raggiunto la pace non si riconosce quando dimostra di sapere tutto sugli argomenti spirituali e, forse, pure con la presunzione di sapere esattamente come è il mondo al di là del percepibile. Comportandosi così, finirebbe per essere colui che si ferma sul ponte e non piuttosto che lo ha attraversato.
Le conoscenze servono solo per andare dall’altra parte e, essendo di questo mondo, esse sono soggette a interpretazioni e modifiche. Si può affermare che il ponte verso la Verità può essere differente a seconda di com’è la persona che lo vuole affrontare. Come a dire che ce ne siano in realtà di innumerevoli. Ciò non importa perché la realtà dei fatti è che sono solo dei pretesti per raggiungere la Verità, non la Verità.
Una pienezza spirituale, pertanto, la si raggiungerebbe con la gioia e non dimostrando di sapere tanto. Le stesse informazioni contenute nella sequenza dei capitoli del nuovo libri, che qui viene riportata di settimana in settimana, non sono utili a fare il lettore più dotto oppure per riempirlo di risposte che altrove non troverebbe, esse sono solo il percorso che viene inscenato per condurlo dall’altra parte. Quando egli raggiungerà la Verità, la scoprirà da solo e non perché percepirà con il proprio intelletto quanto spiegatogli: lo saprà indipendentemente dalla spiegazione che aveva ricevuto per giungervi.
Farsi forti di quello che si scopre e di quello che si sa è un vivere ancora in un modo egoistico in cui si cerca di spiccare sugli altri. Può succedere anche in campo spirituale, la spiritualità è un’idea come un’altra, un oggetto come qualsiasi altro di questa realtà. E può venire sfruttato anche per compiacersi e per sentirsi al sicuro perché convinti delle proprie credenze. Le credenze, le conoscenze sono fondamentali per trarvi quanto sul momento abbiamo bisogno per sollecitarci a fare i passi in avanti verso la Verità. Quando poi vi si giunge, tutto quello che si credeva fino a quel momento impallidisce e si confonde come conseguenza del sentimento di pienezza ed esattezza che si vive. Il quale, ovviamente, non potrà mai indurre a farci sentire più grandi o più saggi degli altri. Come ci si potrebbe sentire “più grandi” quando si sente che tutto è un Uno e non ci sarebbe così nient’altro per permettere una comparazione?
Tutto quello che è servito per giungere fin là è stato come il periodo della vita da infante quando si impara a pensare: agli inizi si segue una certa macchinosità nel costruire ragionamenti da esprimere poi in frasi che abbiano senso, mentre quando si diventa adulti tale processo avviene in modo spontaneo e all’istante da dubitare addirittura che fosse un qualcosa a cui invece si è riusciti un passo alla volta.
Il praticante che arriva al traguardo sarà immerso nella serenità, nella conoscenza, nella felicità. Sarà il suo semplice essere a trasmettere tutto ciò, non un mettere sotto i riflettori quanto dimostra di possedere in fatto di conoscenze, abilità, ecc. Chi non ha raggiunto questo traguardo, lo desidererà accorgendosi di questo, non per un convincimento dovuto alle informazioni che si possono trasmettere. Allo stesso modo, la persona che le ha trascritte in questo libro, non vuole che per forza le si creda. La sicurezza, la serenità, la pace non sono una conseguenza del sapere cose che si è convinti che non possano venire confutate, ma dal vivere al riparo dal preoccuparsi di tutto ciò. E da qualsiasi cosa. 



12/04/23

SE LA CONOSCENZA E’ UN PONTE, DEVE ESSERE SUPERATA - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 35

Qui di seguito il trentacinquesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


SE LA CONOSCENZA E’ UN PONTE, DEVE ESSERE SUPERATA




Dopo il capitolo precedente, si può addirittura aggiungere che pure oltre le speculazioni spirituali, su qualsiasi argomento, ognuno potrebbe dimostrare di avere ragione. Come potersi fidare di una voce piuttosto che di un’altra? E come scegliere tra i propri pensieri quelli che sono ispirati dall’alto e quelli stimolati dal basso?
La conoscenza che sollecita il percorso ideale per giungere alla Verità non può essere trasmessa da nessuno, abbiamo già riferito. Altrimenti, sarebbero informazioni esposte dall’opinione di un individuo. La quale sarebbe inevitabilmente soggettiva e opinabile di interpretazione anche se il maestro fosse una persona santa e illuminata.
Anche la gnosi più alta, pertanto, se diventa un materiale che si può apprendere e passare ad altri finirebbe per subire le leggi della realtà materica. E quindi non immune da mutamenti, transitorietà e così interpretazioni che possono lasciar adito a fraintendimenti. Inoltre, per poter essere percepibile, dovrà mostrarsi avversa a qualcos’altro. Pertanto, quando fa la sua comparsa una religione: essa dovrà pure provocarne una controparte eretica; intercettando il bene assoluto del Divino, sarà considerata anche la presenza del male; ne vengono considerati dei canoni e anche come violarli.
Allora, se la conoscenza può venire impartita in innumerevoli modi, tanti saranno anche i contrasti che ne seguiranno.
La ricerca della Verità è un’esperienza, prima ancora di una massa di conoscenze che verranno acquisite. Essa è pertanto un procedere verso la Verità e tale attitudine, che si dimostra come un desiderio, porterà a un cambiamento nel praticante. Tale cambiamento non è detto che porti anche a sapere testimoniare con esattezza sulla realtà, perché il praticante potrebbe non essere in grado di tradurre in pensieri le proprie suggestioni; ad esempio, per una mancanza di strumenti culturali. Ma la Verità non è finalizzata a un sapere di più oppure tutto, questo atteggiamento equivarrebbe invece a un altro desiderio, quello di ingrandirsi. Infatti, credere che la Verità farà conseguire la risposta a tutte le domande o a nuove conoscenze è un precludersi di accedervi. Perché sarebbe come un comportarsi aspettandosi già in quale modo sarà, come se la si conoscesse già. E sarebbe incoerente allora il mettersi a cercarla.
Non è detto, perciò, che la gnosi faccia diventare sapienti, nemmeno speciali. Potrebbe anche che si rimanga sempre gli stessi, perlomeno agli occhi degli altri. Il vero cambiamento, infatti, sarà nell’essere coscienti di sé e della realtà. Come quando per la prima volta si vede la propria immagine allo specchio.
Abbiamo già descritto questo momento come l’accorgersi di non essere in verità separati da Dio. L’uomo in realtà non è corporeo, benché usi vari corpi: fisico, mentale e altri ancora a seconda delle personali credenze. Però, con i propri corpi, egli ospita quel divino che così scopre non separato da sé: è sé. Un’unica, universale, coscienza.
E pure queste informazioni sono solo nozioni che si possono mettere in accordo con altre e in contrasto con altrettante. O almeno finché il praticante smetta di cercare di raggiungere le nozioni e cominci piuttosto a esserle. Nel dedicarsi alla ricerca, egli si ritroverà impedito a riconoscere come identificare la vera Verità, la reale Realtà poiché non è identificabile. Per il motivo che non può essere messa in contrapposizione con alcunché.
Questo è il trovare rifugio nel Padre. L’assenza di dubbi non è dovuta al convincersi di credere in modo risoluto in una cosa invece che in un’altra. Abbiamo già scartato l’affidarsi a credenze e idee, qui si riscontra una sincera pace. Essa è conseguenza dell’essere sempre meno sensibili verso le questioni che si alzano tra due poli in opposizione. Proprio come l’esempio nel capitolo precedente delle varie tifoserie che si dilungano in discussioni sul calcio o in guerre per imporre la propria presunta superiorità nei vari campionati. E facendo così, si perdono l’essenza di ciò che starebbe al centro della loro passione: il gioco. Raggiungere la Verità è allora un non vedere più tali contrasti e conflitti poiché non sono reali; nella nostra metafora: quei contrasti e conflitti non sono lo sport. Semmai lo è quello che vi rimane quando venissero levati: il mettersi a giocare.
Quindi, ulteriormente, tra due religioni in contrasto, ancor più che affermare che entrambe hanno ragione e hanno torto, come nel capitolo precedente, ora si può dire che la loro contrapposizione non è reale, ma, al massimo, illusoria. E se si toglie la contrapposizione che ciascuna religione ha con le altre, allora ci renderemo conto che non esiste nulla perché non vi rimarrebbe nulla. E così vale per ogni cosa in questa realtà duale. O meglio, ciò che vi rimane è la vera realtà, la Verità, l’assenza di contrasto, la pace. Quello che altrove abbiamo evocato con le immagini: Eden, l’unica Coscienza universale, il Padre.
Questo non vuol dire che per il praticante la realtà materica di tutti i giorni svanisce come per magia. È solo che per lui ogni cosa apparirà per quello che è: un equilibrio di discordanze fra due elementi. E tali disaccordi non sono insussistenti, perché creano le quotidiane esperienze e interazioni. Essi sono il modo che dà la possibilità alle cose di manifestarsi; di più: sono il modo per cui qualcosa di immensamente più grande può prendere forma in questa realtà.
Così, in ogni elemento, oggetto ed evento, anche laddove il loro contrapposto porti a una guerra, si sta manifestando l’assoluto, il Divino. Ed è grazie a questa consapevolezza che ogni cosa la si può accogliere e amare.
Pure nell’esempio maggiore qui proposto, delle religioni in contrasto tra loro: il loro divergere e scontrarsi è il modo in cui l’assoluto si palesa. L’aumentare e il diminuire dello spazio che personalmente si concede a tali contrapposizioni facilita l’efficacia del proprio comprendere l’assoluto e prendervi parte. Assistere meno alle sue manifestazioni (contrapposizioni) e maggiormente aderirvi, esserlo.
Pertanto, non c’è per davvero uno scegliere in quale filosofia riconoscersi o a quale cammino spirituale votarsi. Come non ci si deve preoccupare su quali intuizioni bisogna credere e quali no. Ogni volta che si avverte che si è nella posizione di dover imboccare una strada piuttosto che un’altra, si è ancora nella mentalità della realtà duale. Ovvero una mentalità che induce a schierarsi con il gruppo (cioè l’idea) che ci convinciamo essere il vincente. Non è che da un certo punto in avanti i dubbi o i bivi cesseranno, essi verranno semplicemente avvertiti per quello che sono: illusione. Segnalandoci così dove non è la vera realtà e indicarci verso dove trovare il rifugio, la pace.
Dunque, agli inizi, il desiderio di conoscere la Verità potrebbe portare il praticante a ricercare studi e argomentazioni da indurlo ad accumulare tante informazioni. Così tante da tentarlo forse alla resa. Perlomeno a causa dell’enorme intrico creatosi o, peggio, delle differenze di opinioni che procurano un non sapere da che parte andare, anziché una chiara direzione. Ragion per cui, a livello personale, come narrato nel precedente libro, l’unico vero passo in avanti per me è stato ammettere di non sapere nulla.
Per cui, la Verità si trova dietro a questa mole di informazioni che fungerebbero da risposta a una miriade di domande. Ogni volta che ci si convince di aver trovato una risposta, si crede anche di aver toccato la verità. Ma essa non lo è, è solo una risposta, ugualmente discutibile perché riflette certamente una dichiarazione a lei contraria. La conoscenza, allora, serve solo per farci accorgere dell’impossibilità di fissare cos’è vero e cos’è falso, dato che possono potenzialmente esistere entrambe le condizioni. La conoscenza è il ponte che porta alla Verità, quindi, per il motivo che essa non può fornire rifugio, deve essere soltanto concepita come “ponte” e superata.
E quando questo superamento avviene, tutta la conoscenza, paradossalmente, ci è a portata di intuizione. Per il mero fatto che il praticante si renderà conto che il punto di vista di ogni elemento della realtà non può vincere la gara contro il suo opposto su chi avesse ragione, su quale dei due sia vero, perché vero non lo è nessuno. In quanto questa realtà si esprime fatalmente in una perpetua compresenza di due poli opposti.
Di conseguenza, si può mancare di oltrepassare completamente il ponte della conoscenza quando ci si convince di aver trovato la verità in qualcosa in questa realtà. Bisogna andare oltre, pertanto; e questo vuol dire pure andare oltre quanto finora abbiamo nel nostro percorso per raggiungere la Verità rinvenuto come irremovibili punti di riferimenti. Vale a dire (nel nostro caso): il Vangelo, Gesù, Dio; poiché non sarebbero anch’essi che forme, delle idee che diamo a qualcosa che forma non ha. Ci sono servite da ponte.
Sarebbe più corretto affermare di andare oltre alle idee che abbiamo sul Vangelo, su Gesù e su Dio. Queste idee ci sono state utili fino a qui per andare dentro di noi e così trovare la Verità, che era già noi. Ora, queste idee, perlomeno quando inizieranno ad apparire come delle “idee”, possono essere messe da parte. E questo non per scelta, ma semplicemente perché, in modo naturale, non sembreranno più utili poiché insufficienti. Se non sono fondamentali, sono alla stregua di qualsiasi altra cosa alla quale ci si attacca per sentimentalismo. Si finirebbe per adorare e onorare delle semplici “idee”: dei pensieri che vengono formulati per poter capire, dare forma a qualcosa che non è capibile e forma non ha.
Tutto quello che ho conosciuto di Cristo, ad esempio, a questo punto non mi trattiene più qui di fronte a Cristo. Ma mi fa procedere oltre: tutto quello che ho conosciuto tramite il mio viaggio di conoscenza di Cristo, dell’amore divino e del Padre mi fanno andare al di là. Al di là di quello che significano, ovvero di tutte le conoscenze che potrei mai apprendere su questi concetti. Perché non avrei più nulla da imparare: lo sono.



05/04/23

IL VANGELO PORTA AL DI LA’ DI TUTTO, ANCHE DEL VANGELO - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 34

Qui di seguito il trentaquattresimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


IL VANGELO PORTA AL DI LA’ DI TUTTO, ANCHE DEL VANGELO




Nel groviglio del tempo, dai testi sacri e dalle loro interpretazioni, dai trattati filosofici apocrifi o di altre esperienze spirituali, Gesù è passato sotto le più svariate letture. Alcune delle quali dubiterebbero con prove la Sua reale esistenza storica o che invece sia inscrivibile all’interno di tradizioni inaspettate. E potrebbe anche essere così, seppure al praticante del Vangelo non interessa credere in un personaggio storico.
È la conoscenza a servire, il modo che essa adopera per giungere a noi è secondario. Perché la struttura attraverso la quale ne facciamo l’interpretazione e ne abbiamo una visione è anch’essa stessa una costruzione posticcia. Proprio come fin qui abbiamo descritto l’intera realtà, in quanto risultato di idee e credi. Per questo, dopo che la gnosi viene captata, il praticante non troverà più una fonte esaustiva nella religione o nel percorso spirituale fino a quel punto frequentato. Le religioni, proprio quando si fanno mantenitrici di una tradizione, diventano, forse inconsapevolmente, promotrici di quel mondo che in verità pure esse stesse indicherebbero come illusorio. Quando, invece, le religioni si prestano per attraversare la realtà come farebbe un ponte al di sopra del caos, si realizzano permettendo la libertà; anche dalla religione stessa: da lì in poi, il fedele non vedrà le credenze come sbagliate, ma come mero apprendistato per la maturità.
Infatti, ogni confessione religiosa tramanda l’esperienza di gruppi di eletti che proprio quando si sono scostati dal suo interno, dall’organizzazione di riti e cerimonie, hanno intercettato il contatto con il Divino che dovrebbe fungere da meta.
È altresì osservabile come forse tutte le religioni portano a questo risultato non appena le si oltrepassi. Allo stesso modo di come invece diventano manifestazione di potere quando si radicano. Una (e la medesima) è la Verità dietro a tutte le ricerche spirituali, proprio come sulla loro facciata si trova un clero dalle mire politiche. Probabilmente, una esiste grazie all’altra o a favore dell’altra e viceversa. Anche questo libro usa un linguaggio che potrebbe essere riconoscibile in una dottrina piuttosto che appartenente a un’altra; ma sarebbe solo come pretesto per veicolare le informazioni necessarie.
I tre magi presumibilmente furono sacerdoti irani che seguendo la traccia della stella, sapevano che sarebbero stati condotti al cospetto dell’erede annunciato secoli prima dal loro profeta Zarathustra. Fatto che, come sappiamo, effettivamente essi riscontreranno: un neonato che da adulto avrebbe annunciato la resurrezione. Mentre gli ebrei, percorrendo la loro fede, riconobbero in Gesù il messia atteso; forse reincarnazione di Elia. Maometto, folgorato dalla Rivelazione, si ritroverà a spendere la vita nel proseguire la predicazione di Gesù; egli segnerà in questo modo l’avvio di una nuova religione: l’Islamismo. Seguendo il filo rosso che diparte da Cristo, si può giungere in India e si rinviene che Egli rispecchia anche una delle manifestazioni attese sulla Terra di Visnù.
Inoltre, attraverso i vari continenti, i Vangeli hanno posto il seme al loro passaggio di confessioni che variano l’approccio al Cristianesimo. Mentre da epoche antiche e in luoghi distanti tra loro, si rinverrebbero le tracce di culti legati a figli di Dio nati da una vergine, condannati a morte e risuscitati.
Approfondendo questi spunti, si può venire sopraffatti da un’immensa mole di dati. La confusione e gli intrecci possono spingere alla resa anche il più desideroso di capire e fare chiarezza. Con onestà, bisognerebbe segnalare che Gesù apparirebbe plasmato oppure deformato a seconda delle esigenze del momento. O meglio, sospettare che in nessun credo ci si potrebbe sentire al sicuro e nella ragione di essere al cospetto della verità.
In realtà, sarebbe corretto leggere la Storia in modo meno rigido quando abbiamo a che fare con il divino. Proprio per il contesto assoluto nel quale Gesù opera, Egli è veramente il filo rosso di ogni cosa. Come già mostrato, Gesù si presenta sì come manifestazione diretta di Dio, ma anche come spirito presente “fin dalla fondazione del mondo”. Egli incarna la Verità e lo Spirito Santo, quindi è anche presente in ogni cosa alla pari della rete sulla quale si poggiano le fondamenta di un edificio. È vero che la conoscenza, la Verità, appare in forma di Gesù, ma non è Gesù, il quale è solo l’immagine, l’icona, come la copertina per un libro. Essa si manifesta attraverso quell’immagine e quindi può prendere l’aspetto di tutto ciò che si incontra quando si indaga il divino.
Pertanto, è logico che nella forma del messia di varie religioni possa passare sempre la stessa icona. Un po’ come la neve che ovunque nel mondo, malgrado le distanze, appaia sempre nella stessa guisa perché prodotta dalla medesima reazione fisica. O l’utensile, come un piatto, che gli archeologi scoprono identico seppure costruito da uomini distanti vari continenti ed epoche. Oppure, come le conoscenze che vengono trasmesse e si manifestano nelle varie creature anche se non sono in contatto come se fossero un’unica coscienza.
Si potrebbe allora dichiarare che Gesù è l’immagine in cui si manifesta la Verità, ma non è questo importante, ovviamente: la Verità che vi è dietro, semmai. Non si vuole per questo livellare ogni diversa fede diffusa nel mondo come se fosse la medesima. Piuttosto invitare a cogliere che malgrado il modo in cui si organizza un credo e il suo adattamento nel corso dei tempi, la fede sarebbe in realtà sempre indirizzata verso l’unico Uno, la vera Realtà, il Padre.
Allora, la conoscenza può essere trasmessa tramite la dottrina più consona per il popolo e utilizzando dei nomi precisi. E la dottrina però, è solo lo strumento per giungere a Dio, non Dio. Per questo motivo, si è ritenuto fondamentale riconoscere anche nella Storia che chiunque, non appena sia entrato in contatto con l’Assoluto, si sia discostato dalla religione del suo tempo. Anzi, si potrà notare che pure i profeti che si riconoscono come fondatori della religione alla quale personalmente si è devoti spesso hanno sentito un bisogno spontaneo di scostarsi e relazionarsi con Dio lontani dalle consuetudini, dai templi, dalle cerimonie. Essi sono poi tornati parlandoci di quello che troviamo testimoniato anche nel Vangelo. Sono poi i loro discepoli che strutturano quello che diventerà una religione, per motivi organizzativi, formativi, potremo dire. Anche laddove non venga richiesto da chi ne era stato il promotore.
Noi abbiamo deciso di dedicarci al Vangelo di Gesù non per arroganza, ma perché lo intercettiamo come il nodo centrale a cui tutte le fedi sono legate con un filo. È stato così, infatti, che personalmente scoprii che mentre studiavo altre religioni stavo anche facendo luce sulla parola di Gesù e viceversa. Religioni alle quali mi ero interessato perché non trovando una risorsa per approfondire la mia fede sorta nel mondo cristiano, avevo creduto di dover anche oppormi a esso. Invece, mi sarei poi reso conto che la mia avversione era solo frutto di una mancanza di comprensione su quanto la vera realtà sia una sola, malgrado le svariate sfaccettatura essa possa prendere.
Avrei potuto cambiare religione o diventare ateo, ma sarebbe stato lo stesso: un cambiare un credo. Quanti “credi” cambiamo nel corso della vita? Abbiamo già notato che ciò è paragonabile un po’ a come quando ci si cambia di abito. Anche non credere a nulla o interessarsi solo al soddisfare i propri desideri, sono dei credi.
Di conseguenza, si può poi seguire una religione perché si rimane affezionati al culto, alla tradizione. Un praticante sinceramente desideroso di entrare in contatto con il Padre giunge ad andare oltre la religione e a qualunque intermediazione. Per il motivo che ora qualsiasi cosa che funge da intermediazione gli appare come una costruzione che l’uomo ha fatto per poter giungere alla Verità, non la Verità.
Tant’è che tutte le confessioni religiose, se giungono alla Verità hanno ragione su di Essa e su come interpretano Gesù (vedi elenco più sopra). E, contemporaneamente, nessuna ha ragione perché analizzano da questa realtà: dal punto di vista della loro natura artificiale. La quale è una costruzione utile per questa realtà che permette di fare esperienza solo nella divisione e opposizione. Infatti, ogni fedele è sicuro che la propria religione sia quella più consona alla Verità, mentre le altre sarebbero parziali o, addirittura, fraudolente. Pure per la spiritualità, si deve rilevare, è presente la mentalità competitiva se si rimane su un piano superficiale. Proprio come le varie tifoserie di uno sport, gli appartenenti a una religione non arriverebbero mai a credere che la propria fede sia rivolta a un culto mediocre e a un Dio perdente. Ognuno crede di far parte della squadra vincente, e vede chi non è a lei devota come qualcuno che sarà sempre legato a chi si piazza al secondo posto.
È importante notare che per poter manifestare la propria presunzione di superiorità, si arriva anche a farsi apertamente la guerra. E il rischio è che nel frattempo si discute e si lotta per avere ragione o per il punteggio da prendere in classifica (per ripetere l’esempio dello sport), si finisce per mancare di fare direttamente l’esperienza.
Proprio come i tifosi di calcio che se amassero veramente il calcio non si perderebbero in litigi ed elucubrazioni sul gioco del calcio ma si metterebbero piuttosto a tirare calci a un pallone. Che sarebbe enormemente più divertente; ma, è evidente, il reale interesse è apparire vincenti convincendosi di far parte di una squadra vincente.