19/07/23

IL GIORNO DELLA SALVEZZA ... pratico

Il libro IL GIORNO DELLA SALVEZZA era nato come approfondimento del precedente, VANGELO PRATICO, e ci ha accompagnati attraverso un nuovo viaggio. Il quale, essendo trasformativo, è a tutti gli effetti creativo.
Chiunque voglia discutere o proporre quesiti su quando presentato nei vari capitoli, mi scriva pure in privato a contact@enzocomin.com oppure qui nei commenti...
Qui di seguito tutti i capitoli che evidenziano un argomento ciascuno. Ringrazio di nuovo per l'attenzione e la lettura!
Tutto il libro è rinvenibile nei post precedenti, un capitolo a post...


INDICE




PRESENTAZIONE


Capitolo 1: A CHI SI OBBEDISCE


Capitolo 2: IL VERO FEDELE NON SI ASTIENE DA NULLA


Capitolo 3: CONSUMISMO E SPIRITUALITA’ SI EQUIVALGONO


Capitolo 4: IL GIUSTO RUOLO PER OGNI COSA, ANCHE IN NOI


Capitolo 5: CON LA MENTE SI SVELA IL MONDO, NON LA FELICITA’


Capitolo 6: IL GIORNO DELLA SALVEZZA


Capitolo 7: TU SEI L’ELETTO


Capitolo 8: RIMANERE IN PAUSA FINCHE’ NON CI SI SCOPRE ELETTI


Capitolo 9: NOI A SUA IMMAGINE E LUI A NOSTRA IMMAGINAZIONE


Capitolo 10: ESSERE IL PROPRIO SE’ O LA PROPRIA OMBRA


Capitolo 11: LA CONOSCENZA


Capitolo 12: LA COMPLEMENTARIETA’


Capitolo 13: LA VERA REALTA’ E LA VERA IRREALTA’


Capitolo 14: RICORDARE LA VERITA’


Capitolo 15: LA PROPRIA CROCE


Capitolo 16: MOLTI NEMICI MOLTO AMORE


Capitolo 17: CHI SI NASCONDE DIETRO ALLE NOSTRE SOFFERENZE


Capitolo 18: ESSERE UNA MANIFESTAZIONE


Capitolo 19: TUTTO CIO’ CHE PER TE E’ INVIOLABILE, TI CONTROLLA


Capitolo 20: LA MENTE RAZIONALE COME SPINTA O FRENO


Capitolo 21: SE LA COSCIENZA E’ TOTALE, COME NON FARNE PARTE?


Capitolo 22: VITA PARADISIACA


Capitolo 23: DIO E’ UNA PERSONA, E QUELLA PERSONA SEI TU


Capitolo 24: COME LA REALTA’ VIENE CREATA


Capitolo 25: IN PRINCIPIO C’E’ LA FINE


Capitolo 26: LA MEMORIA DEL VERO SE’


Capitolo 27: SI E’ SEMPRE AL SERVIZIO, MA SI PUO’ SCEGLIERE DI CHI


Capitolo 28: ACCEDERE ALLA VERA REALTA’


Capitolo 29: L’UOMO E’ IL MODO IN CUI DIO E’ IN QUESTA REALTA’


Capitolo 30: INTERVENIRE NEL TEMPO E OLTRE IL TEMPO


Capitolo 31: COME VEDERMI SE POSSO VEDERE SOLO DI FRONTE A ME?


Capitolo 32: DARE VITA ALLA VITA


Capitolo 33: LO SCOPO DELLA TUA INTERA VITA


Capitolo 34: IL VANGELO PORTA AL DI LA’ DI TUTTO, ANCHE DEL VANGELO


Capitolo 35: SE LA CONOSCENZA E’ UN PONTE, DEVE ESSERE SUPERATA


Capitolo 36: DOVE PUO’ NON ESSERCI LA VITA?


Capitolo 37: STRUMENTI CHE SI HA E CHE SI E’


Capitolo 38: VEDERE LA SEPARAZIONE PER VEDERE L’UNIONE


Capitolo 39: RISPONDERE ALLA DOMANDA “CHI SONO?”


Capitolo 40: IL TESORO


Capitolo 41: IL SE’ E’ L’UNICO MAESTRO PER… SE’


Capitolo 42: L’INEVITABILITA’ DELL’AMORE


Capitolo 43: L’INDEFINIBILE CHE STA DIETRO AL DEFINITO


Capitolo 44: LA COSCIENZA PRODOTTA O PRODUTTRICE


Capitolo 45: VIVERE CON E SENZA COSCIENZA


Capitolo 46: QUANDO SI SPIEGA L’INSPIEGABILE


DICHIARAZIONE FINALE: AUTOSCIAMANO





05/07/23

AUTOSCIAMANO - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo finale

Qui di seguito il quarantasettesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


AUTOSCIAMANO




Il compito che io sento di avere (e quindi il mio scopo come artista) è quello di accompagnare le persone verso altri mondi. E intendo come “altro mondo” una realtà nella quale la coscienza sulle cose che si vivono e ciò che si è muti in un’apertura che vada oltre il porre differenze, divisioni, definizioni e preferenze come avviene invece per consuetudine nella quotidianità; un mondo che per tale libertà e assolutezza si è certi che sia la vera realtà. Con l’arte, non si hanno dubbi: tale “trasferimento” non è nel fisico, nelle coordinate di dove si sta, ma nella cognizione che si ha della realtà e di sé.
Non potrei attribuire termini come “sciamano” o “guaritore” a me oppure alla mia produzione artistica. Il motivo è che nel mio percorso devo sempre riconoscere che ad agire vi è qualcosa di immensamente più grande, di cui, quindi, il mio operato permetterebbe “solo” la sua manifestazione. È a quello, cui rivolgo la mia fede, non alle mie capacità, le quali sarebbero sostanzialmente degli strumenti. Ciò che esce dal mio atelier e i libri che scrivo sono ovviamente frutto del mio operato, della mia elaborazione, delle mie conoscenze e abilità, ma non ne sono io l’autore; perlomeno finché permetto che questo canale rimanga aperto riconoscendo che se mi basassi solo su quello che sono e conosco, i miei lavori sarebbero, appunto, già visti e riconoscibili. E non potrebbero raccontare di quel mondo che sta oltre il già visto e il conoscibile.
Se si lavora nell’arte, bisognerebbe adoperare la creatività e questo non è così ovvio. Infatti, un artista può anche creare qualcosa investendo maggiormente nella logica e nel calcolo; proprio come si fa nella vita di tutti i giorni, ad esempio per trovare soluzioni più convenienti e che vengano meglio accolte dagli altri. Qui non si vuole fare preferenze di un comportamento rispetto a un altro, indicare come positiva la “mente creativa” e negativa quella più logica e rivolta al materiale. Entrambe sono utili, cioè sono efficaci mezzi che l’uomo ha in dotazione: per poter riuscire nell’ordine della società è indispensabile far uso della mente logica, come di quella creativa per trovare soluzioni innovative, creative e che travalichino il prevedibile. Un creativo, difatti, è colui che ha fede che vi è comunque sempre un’armonia in ogni cosa, anche se dovesse essere in un contesto o un evento dal quale la mente logica vi vedesse solo disordine. Ciò sia a livello di esperienza personale come quando si entra in un bosco e si riesce a sentire che il caos della vegetazione è in verità un ordine, sia a livello globale con eventi che ci travolgono indistintamente come la crisi dovuta dalla Covid-19.
Seppure dobbiamo ammettere che l’evento della pandemia è globale, questo coinvolgimento non è uguale per tutti. La differenza sta proprio nel modo in cui si concepisce la realtà, ovvero in quanto ci affidiamo alla mente logica e quanto alla mente creativa, alle proprie forze e conoscenze e a quanto possa esserci oltre alle proprie forze e conoscenze. A questo punto, si può affermare che creativo non è solo chi lavora nell’arte, come razionale non è solo chi fa un lavoro meccanico e sempre uguale. Creativo lo è chiunque agisca affidandosi alla mente creativa e in questo modo può portare sé e chi gli sta attorno a percepire qualcosa “oltre”. Un artista, allora, se realizza immagini (le quali possono essere espresse anche attraverso prodotti che non sono fisicamente immagini come azioni, idee, ecc.) in modo creativo è sempre spirituale. Tuttavia, nel mio lavoro voglio che chiunque colga l’equivalenza tra le possibilità dell’artista di andare oltre al consueto (e al senso comune, a volte) e quelle di chiunque nel momento in cui si dedica a qualcosa con mente creativa. Quest’ultimo potrebbe non avere gli strumenti per realizzarlo in modo efficace o simbolico come un artista, però tra di loro non vi sono ulteriori differenze come a dire che entrambi hanno le stesse possibilità creative perché provenienti queste dalla stessa mente creativa. Quello che cambia, al massimo, è quanto a essa ci si lascia andare e se ne seguono le intuizioni.
Allora, creatività ha proprio direttamente a che fare con la capacità di creare, che, al di là di una effettiva produzione di oggetti (come nel caso di un artista visivo), permette di sperimentare una realtà che va oltre appunto differenze, divisioni, definizioni e preferenze. E se non sussistono limiti, il creativo diventa creatore, senza confini e senza la possibilità di respingere alcunché. Unità e totalità: ognuno può riconoscere così di essere (anche) tutto quello che vorrebbe essere; lo è già, non deve fare nulla per ottenerlo riconoscendosi come l’autore di cui inizialmente si credeva solo uno strumento. Ognuno sarebbe pertanto responsabile per ogni cosa nella propria vita individuando un senso anche laddove prima c’era solo caos. La condizione di unione comporta, pertanto, una salute fisica e psicologica, poiché l’individuo si crea il problema e anche la sua soluzione, non può incolpare nessuno o cercare aiuto altrove: non servirebbe, allora, andare a cercare sciamani o guaritori perché ognuno lo è già.
“L’autosciamano” è colui che non si identifica in qualcosa di definito o preferito, neppure in se stesso; egli non ha nome e sa che non è circoscritto in quanto di sé può essere percepito dagli altri, come il proprio corpo, la personalità o quanto vi è indicato nel suo documento d’identità. Appare e vive proprio come tutti, esattamente la stessa vita che conduceva prima di raggiungere la vera realtà, il nuovo mondo; ciò che cambia è la sua coscienza, e quindi la sua cognizione su ogni cosa. Egli, innanzitutto, sa che non vi è alcuna limitazione percependosi parte integrante di quell’armonia che è alla base di un ordine universale, come se l’intero universo partecipasse a un unico singolo evento. Essendo costantemente consapevole di questo evento, ne è inevitabilmente presente e parte attiva, e questo può essere fruito da chiunque e da qualunque cosa sia a contatto con lui. Anche se dovesse isolarsi poiché qualsiasi cosa dovesse succedere o non succedere è parte di questa globale compartecipazione. La quale, per chi si crede di essa uno spettatore la interpreta come “guarigione”, altrimenti sarebbe “divertimento”. L’autosciamano è la conseguenza della pratica fin qui esposta.
Questo non significa che l’autosciamano possa compiere qualsiasi cosa malgrado i confini oggettivi della realtà, ma che il semplice esserci, viverci permetterà che in essa verrà suscitato un percorso creativo tagliato su misura. Come potrebbe esserci un limite se anche il proprio corpo, la propria mente e le proprie capacità non vengono ritenute delle barriere vere e proprie?
Per poter mettere in scena l’autosciamano bisogna far avvenire una concordanza, quindi, in un modo non palese, esoterico potremo dire, è come se il praticante considerasse la costante esistenza del suo opposto. Sono necessari due attori a dare forma a una parte fisica e a una non fisica; l’essenza assoluta, indefinita e le attribuzioni date dagli altri; il doppio che in realtà è unità e totalità... A questo suo opposto sarebbero quindi attribuibili caratteristiche perfettamente contrarie, contemplando così ogni cosa e annullando così ogni cosa. Ciò non è tanto per simboleggiare una fusione: concretamente, per poter mostrare un individuo singolo autosciamano, è necessario raffigurare due elementi; i quali diventano completi con il terzo attore che è il contesto e che rappresenta l’universo/l’universalità. La scena composta da tutti e tre è un’unica singola entità e un unico singolo evento.
A questo punto, si può finalmente riprendere in mano con più chiarezza quanto fin qui trasmesso per descrivere l’indipendenza del praticante, compresa la sua emancipazione da ogni cosa lo circonda. Ripetiamo anche il termine già usato di autocefalo, come se egli possa essere una chiesa formata da una sola persona, non potrebbe essere diversamente: il coinvolgimento di altri sarebbe un ostacolare la strada sulla quale trovare il proprio personale percorso di scoperta della coscienza. E nella “propria” chiesa, il fedele, mettendo in scena l’autosciamano percorre un rito che non può che essere ideale per lui. Il rito condotto da uno sciamano, possiamo precisare a questo punto, non ha efficacia perché eseguito seguendo le regole fissate o grazie all’evocazione di determinati simboli, ma piuttosto nella fede incrollabile dell’officiante in un equilibro onnipervasivo. Il rituale, allora, non viene realizzato per ottenere quello che si desidera (come una guarigione nell’esempio dello sciamano-guaritore), ma per ristabilire la concordanza a quell’armonia generale e confermare il volerne fare parte. Sarà il ristabilirla, a rasserenare un’unione, come nel corpo per il malato, nel nostro esempio, o nel percorso dell’artista quando si fa accompagnatore verso altri mondi.
Il filo conduttore sarà appunto nella cognizione che si ha della realtà. La convinzione fondamentale si basa sul riconoscere l’individuo come particella determinante del tutto e quindi su di essa agire per condizionare tutto il resto; la problematica che avviene a livello globale è considerata suscettibile di “guarigione”, ma questa può avverarsi partendo da un’azione che si dimostra apparentemente contraria al globale: un confronto intimo nella solitudine (indipendenza) introspettiva mostrata attraverso l’immagine di un processo per farsi autosciamano. Un confronto con sé deve portare a una riunificazione di ogni parte del proprio essere e così poter fare l’esperienza di non aver per forza bisogno di qualcun altro che conduca fuori dalla problematica. Una pandemia come quella che stiamo vivendo, ad esempio, è un momento liminale e l’intera realtà che ne è coinvolta prende la forma di un rito; a questo punto, l’individuo diventato completo può ergersi come il maestro del rito e condursi da sé al di fuori senza dover attendere che l’avidità dei vari leader della nostra società permetta che qualcuno di loro si autoproclami salvatore per tutti. E ciò è possibile nella solitudine per poter temporaneamente vedersi fuori dalla società e quindi, paradossalmente, fuori dalle personali caratteristiche che ci individuano e ci rendono riconoscibili agli altri.
Sarebbe come da immaginare, mettendo come esempio l’autore, Enzo Comin, che la vita che egli ha condotto fino al momento di divenire autosciamano sia in verità una performance artistica da lui interpretata per poter esperire la realtà in cui partecipano gli altri (iniziata nel giorno in cui gli è stato attribuito un nome e quindi una definizione, identificazione). Una performance che avrà termine con la realizzazione dell’autosciamano, che segnerà appunto un rito di passaggio in uno status chiamato “vera realtà” caratterizzato dalla mancanza di fede nei limiti, nelle differenze, nelle definizioni e nelle preferenze; inoltre, sarebbe come se l’autore in questo modo determinasse di non identificarsi nella persona di Enzo Comin così che “Enzo Comin” potrà al massimo essere considerato il personaggio che interpreta e “Enzo Comin” il suo nome d’arte.
Il nuovo essere sarà capace di mantenersi felice, integro e sereno indipendentemente da quello che gli capita attorno. Per raggiungere una simile consapevolezza, l’autosciamano mostrerà di seguire innanzitutto le proprie intuizioni e i simboli che giorno dopo giorno rinverrà. Il passaggio che verrà prodotto può essere quindi descritto come una sorta di viaggio spirituale in cui nulla viene lasciato da parte a eccezione di quello che fino al momento prima della partenza si tratteneva.