Perseguendo il privilegiato esempio del mondo vegetale, si può vederne a simbolo una pianta come lo scotano. Seppure appaia in gruppo di fitti e indipendenti fusti, in realtà essi sono un’unica pianta che si moltiplica svariate volte germogliando ed erigendosi dalle proprie radici sotterranee, invisibili all’occhio umano.
Questa vera e propria forza propulsiva, che stiamo appunto chiamando vita, la si può correttamente identificare con Dio, ma non è la coscienza pura e universale introdotta in un capitolo precedente. Questa energia vitale, come per facilità abbiamo dato nome nel primo libro, non è neppure esatta etichettarla in un modo preciso come “forza” o “energia”. È quanto si è già esaustivamente riconosciuto come lo Spirito Santo della teologia cristiana.
La coscienza pura e suprema che diffonde lo Spirito Santo, la vita, è quanto convenzionalmente si chiama Dio. Gesù, infatti, ci ha portati a fare la conoscenza dello Spirito Santo per così rapportarci più adeguatamente alla vita e all’infinito che è la vita stessa. Ovvero, come rapportarsi a Dio; è a quella coscienza cui Egli fa riferimento senza sosta.
Gesù non è venuto per indicarci come fare una modifica o una rivoluzione a livello politico, sociale oppure addirittura religioso. Perché tutto ciò ha a che fare con le cose che mutano e hanno una fine. Egli ci parla di quanto non muta e come recepirlo: la coscienza. È come l’individuo cambia intimamente, che poi verrà modificata la realtà in cui vive. È innanzitutto con una rivoluzione della coscienza, quindi, che muterà tutto il resto. I racconti del Vangelo, infatti, testimoniano che se si necessita di un cambiamento, di una rivoluzione, questa deve essere compiuta dentro di sé perché possa pervadere totalmente anche all’esterno.
Come già suggerito mentre si argomentava l’illusorietà della realtà: fino a che non si compie verso di sé quanto si ricerca, quello che si ottiene avrà sempre una data di scadenza, un’approssimazione. Pure se si muovesse una rivoluzione appoggiati dalla maggioranza della popolazione e armati in misura soverchiante rispetto al nemico. Se, invece, io dirigessi, metaforicamente, una simile operazione verso di me, nella mia coscienza, allora si rifletterà nella realtà materiale concretizzandosi pienamente. In maniera spontanea e senza incappare in ostacoli.
Benché la coscienza sia unica e tutti gli esseri umani sono animati dalla stessa sostanza (e fisicamente tutti sono fratelli, abbiamo dovuto ammettere un capitolo fa), gli uomini non sono anche tutti uguali. La mancanza di uguaglianza in senso stretto è causata proprio dalla diversa consapevolezza sulla realtà che ha ciascuno di noi. Ad esempio, un uomo convinto di vivere in un mondo dove tutto è finito e quindi anche le opportunità sono esauribili, e un altro convinto del contrario, è come se vivessero in due realtà differenti. Potrebbero anche essere vicini di casa o della stessa famiglia, ma è come se abitassero epoche e luoghi opposti. Ognuno è allora cosciente sulla realtà in modo personale e quindi spesso difforme. Realizzare l’unica e universale coscienza vuol dire intonarsi tutti allo stesso tempo, come poeticamente si proponeva l’immagine dell’armonia musicale.
A quale tempo appartieni? In quale luogo vivi? Non sono domande criptiche, ma un metodo efficace per verificare la propria coscienza. Una prova la si può constatare nell’osservazione della parcellizzazione del nostro pianeta in aree dove gli abitanti è come se vivessero epoche e mondi diversi. A seconda di come una persona si nutre internamente, quindi a livello di coscienza, e come ne esplora la natura e le possibilità, così in un modo equivalente costruirà la società in cui vive. Pertanto, maggiormente riceve stimoli per rivoluzionare la propria coscienza, e di riflesso avverranno modifiche nella sua realtà esterna; e viceversa. E questo è l’esito del constatare uno stesso pianeta che ospita regioni avveniristiche affianco ad altre primitive. Non si esprime qui una preferenza di una rispetto a un’altra, ma la nota di quanto sono connessi lo stato della propria coscienza con quello della realtà in cui si vive.
Puntare il dito su problemi o contingenze che creano le condizioni per lo sviluppo di un popolo e la depressione di un altro vuol dire dare responsabilità a fattori esterni. Noi sappiamo, invece, che ogni cosa, pure lo sviluppo di una nazione è identico a quello di un singolo essere umano. Costui, se ricevesse lo sprone a prendere possesso della propria vita e aprirsi all’infinito (come si sostiene sia possibile dalla pratica del Vangelo) non sarebbe più immobilizzato a preoccuparsi di tutto quello che è finito e transitorio.
Il progresso intimo che deve rivoluzionare la propria coscienza non è da concentrare nel semplice desiderare una vita migliore. Oppure, per prima cosa un concentrarsi sull’arricchimento materiale come motore di un conseguente benessere generale. Il benessere o la ricchezza sono solo degli eventuali effetti collaterali della rivoluzione proposta da Cristo. La preparazione del Vangelo è, precisamente, ad attirare e ripetere amore.
Si viene spesso indotti a lavorare su di sé per essere in grado di attrarre ricchezza in quanto, logicamente, viene riconosciuta come strumento che faciliti la felicità. Come per qualsiasi cosa messa al centro della propria attenzione e della propria coscienza, anche la ricchezza può aumentare come risultato di un lavoro su di sé. Ma, come per qualsiasi cosa ottenuta percorrendo questa via, essa sarà regolata da volontà superiori al richiedente. Egli, ad esempio, potrebbe diventare più ricco, ma questo sarà sempre attraverso condizioni che gli serviranno per scoprire che pure la ricchezza fa parte dell’illusione.
Qualsiasi cosa si ottenga, anche attraverso un personale impegno, materiale o spirituale, è sempre e comunque in funzione della volontà di Dio. Ovvero, un espediente che, seppure ci ha permesso di ottenere quanto ci sforzavamo di desiderare, serve a fare accorgere che la vera realtà è accessibile realizzando Dio, una coscienza infinitamente superiore alla nostra.
Nell’esemplificazione della ricchezza, se uno si focalizza a bramarla e verso quella sono i suoi sforzi, potrebbe essere consequenziale che egli la realizzi ma questo non comporterà obbligatoriamente anche un benessere o la felicità. La ricchezza ottenuta, come appena scorto, potrebbe fungere per giungere a qualcos’altro, forse l’opposto. E se prima egli non si fosse preparato a ricevere nella propria vita un aumento di ricchezza, rischierebbe pure di rimanerne schiacciato.
È corretto credere che si possano avvicinare o allontanare condizionamenti nella propria realtà con una rivoluzione di coscienza. Proprio come abbiamo visto succedere in modo vario negli individui e, facendo la somma dei loro risultati, nelle intere nazioni. E pure come singolarmente si può fare cercando di attirare a sé una data cosa che si desidera. Ma ciò, come nell’esempio della ricchezza, se concentrata su fattori esterni a sé è solo una manipolazione degli effetti secondari. Cioè, cambiare il modo in cui ci si convince di vedere l’illusione della realtà può portare a mutamenti tangibili. Questa è magia perché sarebbe in verità il risultato di un illudersi e non può sovrastare l’armonia di cui stiamo trattando; con la solita metafora: prima o poi la musica dovrà ritornare al suo tempo reale.
La cosiddetta legge di attrazione, ad esempio, che permetterebbe di concretizzare quanto si richiede, non esisterebbe in realtà. O perlomeno esisterebbe se nell’intero universo ci fosse solo il soggetto che la praticasse. Perché si deve sottostare all’influenza dell’armonia generale. Tant’è che si potrebbe affermare che la legge di attrazione vale solo per Dio, la quale infatti sarebbe il Suo creare.
Più esattamente, semmai, esisterebbe un altro canone: la complementarietà. È naturale, infatti, che un equilibrio debba sempre mantenersi. Tutti gli elementi, in un modo o in un altro, è inevitabile che siano sempre integrati. Così che, nell’esempio che abbiamo fatto di una persona che ricerca la ricchezza, per ottenerla dovrebbe impegnarsi nel donare lui per primo ricchezza agli altri.
Infatti, se vogliamo concludere il capitolo esaminando il dato che ci impressiona della disparità tra le persone, dobbiamo tenere conto di tale compensazione. Sia della disparità che si nota osservandoci l’un l’altro, che un popolo in confronto a un altro. Come già spiegato nel Vangelo, uno riceve in misura di quanto dà, così, paradossalmente, seguendo la legge di attrazione uno sta commettendo un errore di fondo. Anzi, nello sforzo di focalizzarsi su quanto mira, egli va a impedire proprio la dinamica che gliela farebbe ricevere. E ricevere, qui ripetiamo, nella forma a lui ideale e non in quella che otterrà attraverso i suoi sforzi mentali. Perché questi ultimi sono ripiegati verso di sé, non si aprono al mondo esterno.
A tutti sarà capitato di scoprire che alcuni edifici pubblici della propria città, le più grandi campagne sociali, i lavori di manutenzione di una strada importante o il restauro di un monumento sono finanziati da persone molto ricche. Qual è il motivo di tali impegni finanziari che non portano a un guadagno? Si verrebbe tentati di credere che sia, ad esempio, una forma di pubblicità, ma non è così (o almeno non sempre) perché potrebbe non valere la spesa. Il motivo è che quell’uomo ricco sta seguendo la compensazione evangelica. Consapevolmente o no, sa che per ottenere tanto deve innanzitutto, senza che sia strettamente necessario o richiesto, elargire lui per primo. Maggiore l’esborso, quello che verrebbe definito una perdita quando si ignora la legge di complementarietà, e maggiore sarà, misteriosamente, quello che si riceverà. Così, per il proprio sviluppo e per il rifiorire del proprio popolo, un regnante non latita nell’investire e mettere il proprio nome sulle opere edificate.
Questo non deve però essere individuato solo come prassi positiva e benevole. Difatti, nel nostro trattato stiamo spiegando tale pratica nella ricerca di amore che, come energia vitale e divina, fornisce l’esatto necessario a prescindere dai nostri desideri limitati. Ma essa può essere ricercata per altre mire, per l’opposto. Ad esempio, la piccola percentuale di persone che sono enormemente ricche e potenti, per poter mantenere una simile posizione deve forse compensare creando le condizioni per cui la restante popolazione si mantenga in uno stato perfettamente opposto al loro. Di queste intuizioni non potremo mai avere la certezza, certamente se alle persone viene insegnato di focalizzarsi su quello che vogliono invece che sul donare è, presumibilmente, al fine di non rendere a tutti accessibili le infinite risorse dell’universo.
Una rivoluzione di coscienza implica il praticare il Vangelo e quindi passa necessariamente nell’accorgersi di simili dinamiche.