28/08/20

Prefazione al VANGELO PRATICO

 Prefazione

di Eva Comuzzi *

Ho conosciuto Enzo dieci anni fa, durante un reading di poesia. Sguardo

stralunato, fra l’assente e il perplesso, mi osservava e ascoltava in silenzio.

Poi si metteva in disparte. Non era semplice collocarlo, non comprendevo

chi fosse veramente. Se fosse serio o mi stesse prendendo in

giro. Era indubbio vivesse su altre frequenze. Poco dopo ho scoperto

che, oltre a scrivere, era anche un artista visivo e che proprio le sue

poesie davano spesso vita a performance, video o fotografie. Anche in

quel contesto l’occhio era sfocato, in un alternarsi costante di presenza e

assenza, rapporti con la realtà, l’apparenza e la distorsione. Vi percepivo

un tentativo costante di mettere in discussione vari punti di vista. E poi

aveva sempre un legame molto stretto con la luce. Con l’illuminazione,

potrei dire ora. Questi interventi di stratificazione e dissoluzione continuavano

anche nei suoi video, dove la riflessione sulla memoria, il

vissuto e il passato era forse ancora più evidente. Credo sia stato proprio

partendo da questi “dubbi visivi”, da queste immagini ancora fuori fuoco

davanti e dentro sé, che Enzo abbia iniziato una riflessione più profonda

sul suo essere artista ma anche sul suo essere uomo. Dopo varie mostre

fatte assieme, infatti, lo scorso anno, durante un dialogo pubblico, mi

comunicò che il manifesto del suo lavoro c’era già ed era il Vangelo.

Un’affermazione che ancora una volta poteva sembrare eccessiva, fuori

luogo e anche in controtendenza per una persona della sua età. Soprattutto

per un artista. Ricordo che per quell’incontro portò pochissime

immagini della sua produzione, quasi volesse farla immaginare a chi ci

ascoltava. E nominava spesso Gesù e il suo viaggio raccontato nei Vangeli.

“Seppure non lo citi direttamente”, disse, “il Vangelo è ciò che mi ha

permesso di alzarmi verso la luce e verso una maggiore consapevolezza

e libertà. Nella ricerca di ascesi, la gente viene fatta confluire, anche per

motivi commerciali, in quel grande bacino dove c’è tutta l’alternativa

al Vangelo, dalla New Age alle religioni orientali, dalla naturopatia alla

cromoterapia, all’ufologia e così via”. “In realtà”, continuò, “sono tutte

pratiche che immobilizzano, anziché liberare (almeno nella loro versione

occidentale) e sono convinto che in tutto ciò ci sia un tornaconto, che

sia una modalità commerciale per racchiudere le persone in gruppi e

categorie regolate”. E la nostra riflessione si era poi spostata sul notare

quanto fosse presente, anche nel mondo artistico – nelle ultime biennali,

in particolare – la presenza dell’alchemico, dello sciamanesimo. Dello

spirituale. È questa una moda o una reale esigenza? È una volontà di

ritrovarci, attraverso simbologie arcaiche e riti ancestrali e di riportarci

alle energie della terra che stiamo sempre più violentando o un altro modo

per perderci? “Se inviti le persone a osservare l’arte e a concepirla come

qualcosa di più profondo, ovvero qualcosa che passa anche attraverso i

suoi simboli”, continuò, “significa che hai intercettato che c’è anche un

bisogno da parte del pubblico e dell’artista di avere un orientamento in

tutto ciò. È evidente che questo dipenda dal fatto che qui da noi non si

viene preparati alla spiritualità”. Secondo lui e, a mio avviso, non a torto,

tutta questa domanda di spiritualità non sa però che cosa effettivamente

domandare. E questo problema, ovvero che cosa posso chiedere, dove

posso andare a cercare le mie risposte, era ben evidente nella successiva

performance messa in atto nella chiesa di San Girolamo a Cervignano

del Friuli, in occasione della mostra The Other Side Of The Moon, da me

curata con Orietta Masin. Ne Le persone con molti corpi, dei musicisti

suonavano di fronte all’altare, mentre Enzo, al centro era un ammasso

informe. Una maschera che attraverso una forma di esorcismo cercava di

liberarsi dalla sua Persona per diventare Essenza. All’apice del concerto,

attraversava il pubblico legando tutti i presenti tra di loro con dei fili. Lo

scopo, anche qui, era quello di manifestare, come in un sogno, quanto

potrebbe accadere quando si cerca una libertà tramite lo spirituale senza

sapere dove cercare. In questo libro, suddiviso in quattro parti principali

(consapevolezza, compassione, fede e beatitudine), Enzo cerca di darci

dei suggerimenti per imparare a domandare e cercare, nel modo e nei

luoghi più adatti, al nostro sé più profondo. Per la partenza ci suggerisce

una cosa fondamentale, ovvero l’abbandono di quel controllo continuo

e ostinato che abbiamo e che pensiamo di poter avere su tutto, con con-

seguenti malesseri e sensi di colpa se ci distraiamo da esso e accade

qualcosa che non avevamo previsto. “Accettare il mistero”, sostiene

Enzo, “è il primo passo del viaggio verso la consapevolezza. Un salto

nel vuoto fa paura e questo è il motivo per cui spesso ci si accomoda a

sostenere che bisogna piuttosto vivere tenendo tutto sotto controllo.” Ma

la vita, come egli sostiene, non è un momento per stare attenti. Piuttosto,

aggiungo io, è un momento per fare attenzione a tutto ciò che ci accade

e ci circonda. Un momento per osservare e comprendere come tutto sia

in connessione e come questo abbia un senso per il nostro percorso, che

a sua volta ha un senso solo se vi è azione e trasformazione. Come lo

scrittore e giornalista brasiliano Fernando Sabino affermava: “Di tutto

restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che

abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima

di finire. Pertanto, dobbiamo fare: dell’interruzione, un nuovo cammino,

della caduta, un passo di danza, della paura, una scala, del sogno, un

ponte, del bisogno, un incontro”.

2019


Storica dell’arte.




21/08/20

 https://youtu.be/XiH2Ze1O-eY

Da oggi inizia il canale Youtube che raccogliere video per poter condividere quanto amo: la vita, la realtà e la sua conoscenza...

17/08/20



Ciao a tutti, vi voglio parlare dell’arrendersi a qualcosa di infinitamente più grande di noi.

Per capire, facciamo finta che questo “qualcosa” sia una persona: quando si può giungere al desiderio (non forzatura) di arrendersi a un altro? Quando questo desiderio è mosso dall’amore verso l’altra persona. Così, spontaneamente cessano le opposizioni, scompaiono i contrasti e le resistenze.

Amare questo qualcosa di infinitamente più grande di noi è possibile anche se non è un oggetto definibile. Anzi, proprio perché caratterizzato dall’infinitezza è senza limiti, onnipervasivo, universale… è la vita stessa. Quello che nelle religioni, per convenzione, si è deciso di identificare con il termine “Dio”. Allora accoglierlo significa accogliere la vita e dirle sempre di sì. Più si accetta quanto capita nella vita e più c’è amore. Ma anche creare l’ambiente ideale per cui la vita e l’amore affluiscano.

Come sarà un’esistenza carica di amore e vita? Ricca di felicità, soddisfazione e realizzazione.

Ma attenzione, non si sta parlando che per essere pienamente felici bisogna compiere chissà quale sforzo, che per avere appagati i propri desideri si deve per forza rinunciare a qualcosa o che per vivere una vita realizzata bisogna mettere in conto che la spunterà solo chi si carica di caparbietà e spirito di sacrificio. 

No, non ci sarebbe alcuna guerra o arrampicata da compiere. 

L’unica cosa da fare è semmai il contrario: smettere di opporsi a quanto la vita propone, scegliere di reagire alle cose con amore. E anche questo atteggiamento è da compiere, non è spontaneo. È il modello mostrato nel Vangelo, il quale deve essere, appunto... fatto.

Io sono nato e cresciuto in un ambiente cattolico, così che spesso capitavano occasioni in cui si parlava del Vangelo (in chiesa, a scuola, a catechismo, in famiglia). Eppure tali discorsi parevano poi non avere un riflesso nelle scelte quotidiane, nel modo di vivere… anche di coloro che me lo volevano spiegare. Come se esso fosse solo un costume, una tradizione aleatoria da tramandare della quale è sufficiente acconsentire a farne parte e accettare di capirla in un modo o in un altro. Invece, il Vangelo non è una cosa che deve essere semplicemente capita, anzi, va al di là del mero comprendere. Addirittura, per adattare certe pagine al ragionamento quotidiano delle persone, trovavo che il Vangelo veniva spiegato in modo banale, sempliciotto e pure mitico. Come qualcosa, appunto, che può solo essere messo da parte quando si crescerà e si inizierà a fare le scelte autonome per la propria vita.

Piuttosto, il Vangelo è pratico e in questo modo lo tratto nel mio libro. Assumere nella propria vita i comportamenti lì introdotti, anche le riflessioni che apparentemente paiono illogiche, porterà a un cambiamento radicale nella propria vita. Inaspettatamente. Arricchendola di felicità, soddisfazione e realizzazione che non si consumano.

Come si può avere la prova di ciò? Nel fatto che io non ve lo sto dicendo perché l’ho imparato da qualche parte, ma perché lo vivo. Iniziamo a imparare, infatti, che il Vangelo non invita a una vita speculativa ma pratica. Tant’è che non vi servirà a niente credermi, perché le credenze non possono portare a cambiamenti inconsumabili come qui proponiamo: voi tentate e poi credete solo a quello che troverete. Fatevele da sole le prove.

A meno che, ovviamente, voi non abbiate già deciso che la felicità può essere invece solo qualcosa di transitorio e fugace... 

10/08/20


Ciao, sono tornato ora da 10 giorni di vacanza, spero che anche le tue ferie siano state piacevoli come le mie.

Nel corso del viaggio, mi sentivo incuriosito per qualsiasi cosa mi si parasse davanti... capita a tutti, vero? Specialmente quando si va in un posto mai visto prima.

Sono stato così attirato da tante novità e sorprese che avevo l’impressione di non poterle comprendere del tutto. E addirittura che alcune mi sarebbero sfuggite.

Ma questo è normale se si vuole vivere un’esplorazione, un visita conoscitiva di luoghi mai incontrati. Come si potrebbe infatti compiere un viaggio di questo tipo sapendo già cosa ci si aspetta? Sarebbe piuttosto un semplice andare da un’altra parte…

Addirittura, in un viaggio si è un po’ obbligati a modificare le proprie abitudini. Se no, sarebbe un fare sempre le cose consuete cambiando solo il contesto, la scenografia sullo sfondo.

Invece, il vivere situazioni diverse, fare nuove esperienze, ricevere così stimoli fuori programma che potrebbero arricchire intimamente il viaggiatore, sono fattori talmente importanti per il benessere da far da sempre considerare il turismo come un vero e proprio bisogno. E non un semplice divertimento o intrattenimento. 

Tutti siamo consapevoli di ciò perché, in un modo o in un altro, siamo nelle condizioni fortunate di poter staccare dalla routine ogni tanto. Opportunità che, come sappiamo, non è scontata: non lo è stato di certo per chi viveva altre epoche e, purtroppo, non lo è oggi per chi è inserito in ambienti che pongono troppi limiti.

Ora voglio farvi notare che vivere esperienze sempre nuove e mutevoli è la caratteristica stessa della vita. Non solo di un viaggio perché ci porta altrove; anzi, possiamo proprio dire che la vita stessa è come un viaggiare. 

Potreste dire che la vostra vita è un viaggio?

Ovvero, nel corso della vostra quotidianità, cercate di dirigervi verso la novità, l’inedito, l’inaudito, l’ignoto…? Oppure utilizzate quello che già conoscete come punti di riferimento da usare per le scelte e le preferenze?

Io ricordo che durante le vacanze cerco sempre di dirigermi verso dove non so cosa troverò: quest’estate sono stato in un’isola della Grecia e ogni giorno andavo su una spiaggia diversa e così via quando visitavo i villaggi o pensavo a cosa avrei mangiato a cena…

La vera vita è quella che ci aspetta finita la vacanza o è invece quella che viviamo durante la vacanza?

Ovviamente non si vuole criticare il modo in cui uno decide di vivere e le scelte personali, ma con un tono leggero si vuole far riflettere: quando si è in viaggio (come io in Grecia, fino a poco tempo fa) sarebbe lo stesso se ci si recasse sempre nella stessa spiaggia, se ogni giorno si visitasse lo stesso villaggio e mangiato al solito tavolo con il solito menù?