15/03/23

COME VEDERMI SE POSSO VEDERE SOLO DI FRONTE A ME? - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 31

Qui di seguito il trentunesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.

COME VEDERMI SE POSSO VEDERE SOLO DI FRONTE A ME?




Questo nuovo passo (vedi capitolo precedente) in avanti si rinviene quando si smette di focalizzarsi su “io” che faccio le cose, che vivo certe esperienze e credo o no a ragionamenti. Non avviene nello sforzo di cambiare punto di vista ma a seguito di un naturale processo che ha inizio con il semplice accettare che non si può conoscere tutto. Che lo sconosciuto è costantemente da accogliere, in ogni sua forma. Le credenze personali o di una società possono variare o mutarsi: più si crede di essere in un modo determinato e meno ci si apre al mistero.
Così, la conseguenza sarà che diminuirà la considerazione di se stessi e di ciò che si vuole o che si prova come le cose più importanti, e questo si rivelerà molto utile. Non sono neppure veramente delle “cose”, in quanto la conseguenza di questo processo sarà l’essere fusi in Dio. Quello che nel mondo cristiano viene chiamato “grazia”. Tuttavia, se si fa difficoltà a cogliere tali espressioni, si può cambiare il termine Dio, perché è solo una parola; se può aiutare, si può sostituirla con: la Coscienza Suprema, l’Amore, il Tutto, la Consapevolezza, la Vera Realtà.
Ci si accorge di essere a questo punto perché si vive nella beatitudine e nella consapevolezza. Non è che per questo non si incapperà più in sofferenze, angosce o problematiche della vita di tutti i giorni. Ma verranno vissute senza perdere di vista cosa in realtà esse sono e senza mai perdere la gioia. Allora, uno può essere vittima di un evento negativo o passare un periodo di dolore, ma mantenendo comunque la felicità. La quale è imprescindibile dal suo stato, dalla grazia. Essa è autosufficiente, come già anticipato: non è creata da qualcosa di esterno né può così venire condizionata. C’è e basta, proprio come il vedere che quanto si vive (anche un evento negativo o un periodo di dolore) non equivale al sé, ma solo a un ospite che si accoglie in sé.
Addirittura la propria morte verrà vissuta in questa modalità. Potrò guardare la mia morte che uccide il mio corpo e impaurisce la mia psiche, perché io non sono intrinsecamente quel corpo e quella mente che subiscono quel momento. Io sono colui che osserva ciò che avviene: se uno impara a guardare le proprie emozioni, allora vuol dire che non è quelle emozioni ma egli è nel punto dal quale sta guardandole.
Lungo il viaggio che abbiamo effettuato del Vangelo, abbiamo scoperto di essere come onde di un mare. Ecco che ci appare lampante che in verità viviamo una realtà dove solo ci si è convinti, di essere separati dal tutto: ogni onda è in realtà lo stesso mare. Ora, ci accorgiamo che l’onda che scoprivamo di essere, neppure esiste. Se non per il lasso di tempo che le serve per vedersi innalzata dalla massa totale dell’acqua, approfittando del temporaneo punto di vista esterno.
Il vero sé è soltanto testimone di questo sé transitorio.
C’eravamo convinti di essere delle onde, distinte seppure unite all’immenso mare. Ma questa è solo un’illusione di un attimo: l’onda, in realtà, si torna a infrangere nell’acqua sottostante dalla quale, per il caso del vento, si era eretta e increspata. Il passo nuovo, di cui qui parliamo, è il momento in cui si ritorna nel mare. E tale fusione non permetterebbe più di rilevare dove era l’onda di poco prima. E l’onda rappresenta il nostro “io”, il quale, appunto, è solo una congettura che è utile per prendere coscienza di cosa siamo veramente e della nostra vera realtà: l’appartenere confusi al mare.
Infatti, l’onda del nostro esempio ora è tornata al mare ricordando l’esperienza di quella temporanea (solo apparente) separazione. E quindi avendo coscienza di come è effettivamente il mare, la vera realtà. Mentre, maggiormente essa si attacca a quello che crede e ulteriormente durerebbe la sua esperienza come onda e la sua distanza dall’essere mare.
Fuor di metafora, le persone passano l’esperienza di questa vita devote a un credo. Il quale può essere nei confronti di qualcosa di spirituale oppure materiale, anche il non credere a nulla o cambiare credenze nella maturazione delle esperienze sono un credo. E queste convinzioni porterebbero a essere convinti, persuasi (e quindi avvinti) sulla verità di questa realtà. Sono idee costruite su pensieri, come potrebbero infatti fare accorgere di qualcosa che va oltre la mente? Possono solo realizzarsi attraverso quello che si percepisce in questa realtà. Che è importante proprio in misura dello stimolo che dovrebbero dare a cercare oltre, come nell’esempio già fatto delle religioni.
Qui non si vuole invitare a non credere a nulla, ma a far notare che se si crede in qualcosa che si può osservare, studiare e far evolvere con ragionamenti si rimane nel regno del già conosciuto. È come se l’onda credesse solo all’essere onda e quello che approfondisce della sua vita è solo quanto potrebbe conoscere dell’essere onda; la struttura, la profondità, lo spessore di tale esperienza e non la verità: che l’onda non esiste, è in realtà mare (è solo un attimo di increspatura dell’immenso mare) e non sa (temporaneamente) di esserlo perché si vede onda.
L’invito ad accogliere lo sconosciuto è appunto finalizzato a questo, a un andare oltre a quello che si potrebbe meramente registrare con i sensi e i propri pensieri. Nel Vangelo, ciò è espresso nella raccomandazione di “non giudicare”, che porta a un accogliere e amare in maniera indiscriminata e senza preferenze. Altrimenti, il momento di essere “onda” si protrae in modo indefinito: ci si impedisce da sé, con la propria condotta, a tornare al vero Sé (Dio).
Allora, in questa esperienza nel mondo, l’uomo ci rimane finché è convinto che essa sia la sua vera natura, la sua realtà. Come se, nella similitudine che ci siamo abituati a usare, l’onda potesse venir congelata e in quello stato rimanere. Bisogna proprio essere testardi per volere una simile assurdità, protraendo un evento che invece durerebbe un istante. L’infinito oceano ha preso la forma di tante onde, ma le onde non esistono che per il momento di essere onde. Esse, in realtà, sono l’oceano: quello che l’uomo vive è il modo in cui l’onda crede invece di esistere e di essere una cosa diversa e distinta dall’oceano. L’essere umano, grazie anche ai suoi “credi”, alle sue religioni quando non praticate in modo profondo, alle proprie idee, rafforza la propria sensazione di sé. Egli arriva anche a non guardare più all’oceano dal quale proviene, lo dimentica (come introdotto qualche capitolo fa).
Come il mare, Dio appare in tante forme, anche in quella dell’uomo. Ma l’uomo, come l’onda, non esiste, è semplicemente Dio che ha preso quella forma. È un’illusione convincersi di esistere come essere umano e la realtà in cui vivrebbe sarebbe a sua volta un’improvvisazione; proprio come se le onde, nel lasso di tempo che sono onde, guardandosi attorno e vedendo solo se stesse si convincessero di vivere in una realtà “ondina”, fatta a misura di onda, magari anche creata da Dio per le onde e che tutto l’universo è a loro disposizione.
Scoprire di non essere un essere umano non è una contraddizione. Né farebbe perdere l’occasione di vivere veramente o indurre a vivere fuori dal mondo. Ma il contrario, perché si scopre l’essere in realtà il “mare” e si comincerebbe a vivere il vero sé; che è un unico Sé universale (o se vogliamo giocare ancora con l’esempio: oceanico). Chi lo scopre, continuerà a vivere nel mondo (si ricorda che il Regno di Dio non è un andare da un’altra parte, ma un cambio di stato), ma lo farà con la beatitudine e la consapevolezza del percepire la fusione (la grazia). Cioè l’essere in realtà l’oceano; tutti possono vivere così, c’è stato mostrato come fare.
Quello che c’è stato mostrato dai maestri e la fondatezza di quanto trascritto in questi capitoli sono autentici perché portano a un effettivo cambiamento nell’esperienza di questa vita. Cambiamenti che non possono essere rilevati se si crede innanzitutto alla realtà umana (“ondina”). Poiché essa non potrà mai portare ad assolute felicità, soddisfazione e realizzazione proprio perché manca di assolutezza. Caratteristica che sappiamo avere solo Dio e, nel nostro esempio, “un oceano” sconfinato.
Per riassumere, se questa realtà non è la vera realtà, ma una costruzione di convinzioni che aiutano l’uomo a credere che sia vera, allora si può osservare ciascun componente di questa realtà come un oggetto. E questo proprio perché è stato creato apposta, artificialmente, e ciò vale anche per i sentimenti, le sofferenze, i desideri e così via. Quando si giunge a vederli in questo modo allora si è liberi di considerarsi come un “io” che sta osservando. Pertanto non si è quell’esperienza che si vive e quell’io che sta vivendola. Successivamente, si scoprirà che pure quell’“io” che osserva la vita non esiste, esiste solo la vita. E questo processo è vero perché comporta uno stato di pace, gioia e consapevolezza permanente. Inoltre, bisogna ricordare che tale processo non può avvenire perché lo si è letto o lo si è afferrato con la mente, perché altrimenti sarebbe solo un altro pensiero realizzato o un altro desiderio soddisfatto. Può essere intrapreso senza uno sforzo, senza volerlo intraprendere a tutti i costi, cioè per avere qualcosa in cambio (la felicità, ad esempio). Esso sarà una spontanea conseguenza del lasciarsi andare senza giudicare. Uno può anche essere già a questo punto e non saperlo neppure.
Ce se ne può accorgere osservando con quanta facilità accogliamo quello che propone la vita. Quanto turbamento o paura ci prende nei momenti di difficoltà: quando si è a contatto con Dio, infatti, c’è solo pace; smettono di esserci inquietudine, sofferenza, preoccupazioni. E se esse capiteranno, non faranno mai perdere la propria gioia.



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