26/04/23

STRUMENTI CHE SI HA E CHE SI E’ - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 37

Qui di seguito il trentasettesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


STRUMENTI CHE SI HA E CHE SI E’




Arrivati a conclusione anche di questo libro, bisogna puntualizzare che la comprensione non è la stessa per ciascuno di noi. Ognuno legge le informazioni sulla realtà a seconda del proprio livello di consapevolezza. Così, ad esempio, un evento come l’epidemia della Covid-19 può essere interpretata in modi distinti seppure l’odierna tecnologia permetterebbe di raccogliere dati esaustivi come non era mai accaduto in altri eventi così importanti della nostra Storia.
Pertanto, la conoscenza che viene trasmessa in questo libro è suggerita attraverso delle informazioni che hanno solo lo scopo di far emergere nel lettore quanto già, nel proprio profondo, sarebbe in grado di intuire. Proprio come farebbero su un piano subliminale gli archetipi codificati all’interno della nostra società.
Addirittura, possiamo affermare che non si sta trattando di Dio quando usiamo il termine “Dio”. Il quale è solo una parola usata per favorire contenuti e suggestioni appropriati al ragionamento che si sta in quel momento invitando a fare. La Verità sarebbe a sé stante, anche dalle parole che si usano; così che quando la si raggiunge, esse diventano superflue. Le parole sono state utilizzate per giungere a quel punto, di seguito si procederà senza le parole o con altri linguaggi, un differente vocabolario. Il Vangelo che qui abbiamo trattato, infatti, è lo stesso al quale ci siamo riferiti nel corso del libro precedente (il "Vangelo Pratico") ed è perfino lo stesso pure di quello letto nel catechismo dall’infanzia. Eppure, affrontandolo con un livello di consapevolezza diverso se ne è letta una interpretazione sempre più approfondita. Fino ad arrivare a quella proposta in questo libro che mostrerebbe conoscenze che malgrado la loro parvenza esoterica sono contenute ugualmente nel Vangelo solito. Così, vale anche l’anticipare che in futuro ulteriori letture del Vangelo ci apriranno a intuizioni che rinnoveranno la nostra attuale visione. Forse addirittura contraddicendola come potrebbe sembrare essere successo accostando questo libro al precedente oppure agli insegnamenti catechistici ortodossi. Questo è possibile senza alcuna previsione poiché la Verità che si ricerca non ha nulla a che fare con quello che si può sapere.
Tuttavia, non è sufficiente essere a contatto con la Verità per acquisirla. Ad esempio, grazie a un ottimo maestro, a letture mirate o agli archetipi che ci circondano e costantemente ci suggestionerebbero. Uno deve anche desiderare di volere la comprensione: come l’indugiare con le tentazioni che portano verso i sensi fanno approfondire le esperienze verso il basso, il lasciarsi attrarre verso l’alto aprirà agli scenari finora descritti.
Il desiderio della Verità è lo strumento più importante per condurci verso la via della libertà. Da qui, altri mezzi sono indubbiamente la preghiera e la meditazione.
La preghiera, abbiamo già precisato che non riguarda semplicisticamente il richiedere delle determinate cose. Non significa un volere una soluzione (un evento o un oggetto) per migliorare condizioni personali o generali. Svuotandosi di tutto ciò, la preghiera è più simile a un rimanersene in silenzio. Come scritto poco fa, non servirebbero le parole quando si tratta la Verità come Verità. Mentre quando essa è considerata come una figura, una persona (Dio), allora verrà spontaneo che pure la preghiera diventi una specie di chiacchierare con qualcuno.
Dio conosce già che cosa necessitiamo nella nostra vita, ci viene spiegato nel Vangelo. Allora, il rivolgersi a Dio è, semmai, un confermare la propria adesione alla Verità, alla Vita e ai suoi equilibri. Un’ammissione, proprio come si è sicuri che ogni cosa avverrà in concorso a quanto personalmente si ha bisogno di vivere per la realizzazione propria e della Vita stessa.
Con la medesima serenità, la meditazione diventa un silenzioso focalizzarsi su un elemento preciso. Che può essere un passo delle Sacre Scritture o qualsiasi parola sulla quale possa essere utile soffermarcisi. Oppure un’immagine o una sensazione, ecc. e sempre senza poi darsi anche una risposta o una spiegazione su cosa potrebbero significare per noi. La meditazione è il momento nel quale con umiltà (senza imporre le proprie conoscenze) ci si apre alle intuizioni. A pensieri che possono portarci verso territori che non per forza debbono essere nei nostri programmi e nei nostri consueti ragionamenti o credenze.
Dalla coscienza di sé a cui siamo ora giunti, possiamo constatare che quando preghiamo riferendoci di un “Padre Nostro” o di una “Santa Vergine” che malgrado il suo essere umana ha dato alla luce il Dio incarnato, non stiamo veramente pensando a una figura che è un “Padre Nostro” o di una qualsiasi altra forma sacra del nostro eventuale Pantheon. Ciò a cui ci dovremmo concentrare è la Verità che sta dietro alle forme che potrebbe prendere per essere captata.
Come potrebbero la preghiera e la meditazione essere occasioni di entrare in contatto con qualcosa che è oltre la mia mente e immensamente più grande di me se si usano formule per descriverlo e spiegarlo che sono prodotti della nostra mente? Sarebbero solo pensieri, un lavoro mentale che farebbe guadagnare solamente una rassicurazione perché si rimane all’interno del prevedibile e del comprensibile. Un rimanere sul ponte, per riprendere l’esempio dei capitoli precedenti. Invece, il contatto con l’Assoluto non porta sicurezza, gioia e pace a seguito di qualche condizione esterna, ovvero qualcosa che potrei capire. Sono invece felicità, pace e soddisfazioni autonome, slegate da quanto si vive, incondizionate.
Le condizioni esterne che possono procurare o inficiare la percezione di felicità, pace e soddisfazione sono legate a come personalmente uno percepisce la propria realtà, abbiamo visto. Quindi, avendo a che fare con i propri talenti, pregi e anche difetti, egoismi e limitatezze. Per raggiungere pace e gioia assolute non si deve però cercare di contrastare i propri pensieri che si paleserebbero come un ostacolo. La soluzione, come abbiamo scoperto, non è nel giudicare ma nell’amore. E quindi nell’accogliere anche quei propri pensieri che sono egoistici, viziosi, impigrenti, limitati, ecc. Questo perché l’uomo è colui che fa i pensieri e non il pensiero che sta pensando.
“Cogito ergo sum” significa appunto che io esisto perché penso, cioè nel mio rendermi conto di star pensando, il mio essere cosciente. Ma i pensieri che realizzo non sono me perché io non sono (in modo esclusivo) la persona che sto animando in questa esperienza terrena. I pensieri sono uno strumento che mi è utile nella mia vita proprio come le gambe mi sono indispensabili per muovermi. Però io non mi riconosco essere le gambe quando mi accorgo di potermi spostare con il corpo nello spazio. Allora, posso anche vivere con pensieri egoistici, viziosi, limitati, ecc. e non per forza immedesimarmici, identificarmi con essi. Infatti, posso avere simili pensieri e ugualmente godere della felicità, pace e soddisfazione autosufficienti e intoccabili.
Nei momenti di silenzio, come durante la meditazione, si osserva proprio questa separazione da ciò che si è e ciò che si adopera per fare l’esperienza in questa dimensione. Si può, pertanto, vedere che anche i propri pensieri, che solitamente ci si abitua a identificare come il sé, sono in realtà una struttura di cui si fa uso. Un po’ come degli oggetti, i pensieri possono essere semplicemente osservati e, malgrado quello che esprimono e la loro funzione, fanno parte di me come i vari componenti del motore della mia automobile formano il mezzo di locomozione che mi permette il viaggio.
Quindi, la meditazione favorisce questa osservazione in un certo modo distaccata, nella quale non ci si identifica nei propri pensieri, sentimenti e desideri. Essi verranno recepiti come elementi che formano la mia attuale forma, subendo ovviamente la mutabilità di questa realtà. Così, quello in cui si finirà per riconoscersi sarà ciò che rimane: l’unica coscienza universale. La quale non è qualcosa che si aggiunge a me o che si conquista: è me.
Questo risultato si otterrà infine in modo spontaneo, senza imporselo, altrimenti sarà un desiderio alla stregua di un altro. Ciò a cui si punta è amare accogliendo la personalità che crediamo di essere, anche se ciò dovesse essere giudicata proprio come lo svantaggio (la croce) che impedirebbe la serenità che si vorrebbe vivere. Fin dal primo capitolo del primo libro, si è precisato quanto l’ego sia ineluttabile per vivere l’esperienza in questo mondo. Tanto esso ci fa identificare in questa realtà e tanto l’uomo la crede vera e così potrà farne esperienza. Però, nella ricerca della Verità, l’ego arriverà finalmente ad apparire proprio per quello che è: uno strumento.
E se anche si fosse convinti di essere lo strumento che si sta usando, ad esempio l’automobile che permette di fare un viaggio, la pratica della meditazione indurrà a lasciarsi portare lungo il viaggio. Allora, sta all’individuo scegliere di essere lo strumento di qualcosa di immensamente più grande che guiderà verso mete imprevedibili (e giuste) per lui. Oppure, cercare a tutti i costi di avere il controllo costringendosi in un’esistenza prevedibile e vincolata da quanto ci si possa convincere di sapere. Malgrado quest’ultima sia la modalità che ci si abitua a credere l’unica per raggiungere la felicità.
Io potrei anche essere la migliore automobile che esista, ma è solo quando lascio la guida a un pilota che potrò vivere appieno l’esperienza di un viaggio.



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