Estratto dal mio intervento al convegno Dialogando con gli autori della Casa Editrice Anima Edizioni, 29 Novembre 2020. Si può rivedere al link Youtube.
Praticare il vangelo per conoscere chi si è realmente, per essere reali. Perché tutto quello che può venir descritto nella propria biografia è un elenco di esperienze che sono state vissute nel passato, pertanto non hanno a che fare con la realtà che è il presente, quello che si sta vivendo.
Si è abituati a presentarci parlando di quanto si è vissuto oppure degli obiettivi fissati per il futuro. Quindi, in entrambi i casi qualche cosa che non è presente, non è quello che stiamo vivendo: qualcosa che non c’è più o qualcosa che forse succederà.
Nella mia biografia, si legge che sono uno scrittore e artista visivo e per davvero ho scritto un libro e sono un artista perché faccio mostre, non è falso. Ma tutto quello che posso utilizzare per descrivermi, tutto quello che posso dire dopo la parola IO, ha a che fare non con quello che vivo, ma con quello che ho già vissuto. La vita è quello che si vive, non quello che è già vissuto, perciò il momento esclusivamente presente. Quindi, per vita intendiamo precisamente il momento in cui sto scrivendo “il momento in cui sto scrivendo”. Non un attimo prima, non un attimo dopo. Quindi non abbiamo neppure un sufficiente lasso di tempo per tirare fuori delle definizioni, delle discriminazioni, delle precisazioni su chi siamo.
Allora: chi siamo, cosa siamo? Vi invito a fare queste riflessioni su di voi perché capita a tutti quanti di utilizzare delle convenzioni per poterci raccontare mantenendoci quindi in equilibrio su questa strana cognizione che abbiamo del tempo. Ovvero, utilizzare il verbo al presente per raccontare cose del passato. Dire chi sono raccontandovi quello che ho fatto, quindi quello che ero, cosa ero. Oppure, raccontandovi quello che aspiro a diventare. Tutti quanti infatti abbiamo intuito che qualcosa non quadra perché ci vengono fatte delle domande su chi siamo e cosa facciamo e ci si aspetta come risposte delle definizioni che possono andare bene per un generico “per sempre”, un assoluto; quando in realtà stanno a mostrare un nostro generico o particolare passato. Per spiegarmi: ricordo che la prima volta che ho notato questa discrepanza è stato quando un amico mi ha chiesto quale musica ascolto, ma non c’era nessuna musica in quel momento. Si usa il verbo al presente per chiedere in realtà del passato. Infatti, io ho dovuto rispondere per convenzione raccontando della musica che ascolto solitamente; sicuramente era questo che voleva chiedermi il mio amico. Ma facendo così sarebbe come dire che non ho ascoltato o non ascolterò un’altra musica; magari dieci minuti dopo avrei scoperto la musica che mi avrebbe appassionato per molto tempo… Oppure quando si domanda cosa si fa nel tempo libero: ma come si fa a elencare effettivamente tutto quello che si fa? Sono convenzioni. E va bene utilizzare convenzioni anche se appunto non corrispondono alla totale verità perché ci permettono di sentirci appartenenti a un gruppo. Difatti, non dico che sia sbagliato rispondere in questo modo o sia sbagliato mentire, è normale facilita appunto l’essere accettati dagli altri. Quindi è normale mentire agli altri per poter far credere di pensare in un modo: quello in cui pensano tutti. Nell’esempio che abbiamo fatto: lasciar credere che consideriamo che facendo domande al presente si intende invece domandare del passato; oppure lasciar credere alle persone di avere le stesse idee sulla società o sulla religione per sentirsi appartenenti alla comunità. Ma qui stiamo parlando: quando si è da soli, con se stessi, almeno in quel momento, cercare di essere sinceri.
Quindi va bene raccontare agli altri in maniera generica di noi, però quando si è da soli, si parla con se stessi, dovremmo cercare di essere sinceri e dirci che non sappiamo chi siamo effettivamente e domandarci “chi sono veramente”? Sì, io posso dire di essere un artista perché ho realizzato mostre e uno scrittore perché ho pubblicato un libro, ma quando io mi domando “chi sono”, posso dire di essere un artista, uno scrittore? Che in quel momento sono proprio quello?
O sono soltanto dei ruoli, delle etichette? Se io non posso usare il mio passato per rispondermi, sono solo “io”. Quando si è sinceri con se stessi, si possono vivere delle esperienze davvero proficue, realizzare grandi cose. Se si riesce a essere sinceri su di sé anche con gli altri, si possono fare grandi cose anche per gli altri; ma perlomeno con se stessi bisognerebbe essere sinceri… Tutti quanti abbiamo notato, ad esempio, che quando ci vengono fatte domande personali, in verità ci viene domandato altro; sono appunto convenzioni. Alla domanda “cosa fai nella vita”, sappiamo che convenzionalmente ci viene domandato altro: qual è il tuo ruolo all’interno della società, o meglio: il tuo lavoro. Cioè la tua utilità, quanto utile apporti alla società. Perché chi come me fa lavori, come l’artista, che non portano delle entrate costanti, sa bene che quando si fanno delle domande simili (tipo: cosa fai nella vita) la gente vuole sapere come fai a guadagnarti da vivere. Infatti, se io rispondo che sono un artista, spesso l’interlocutore mi risponde: “sì, va bene, ma nella vita cosa fai per davvero”. O precisa: “sì, ma cosa fai per pagare le bollette”. Allora vuole sapere cosa faccio nella vita, che lavoro faccio o come mi pago i conti? Ricordo anche che una volta ho risposto, perché ero più giovane, “scrivo poesie” e l’altra persona mi ha replicato: “sì ma cosa fai per vivere”… ma mica scrivo poesie per morire. Sono tutte convenzioni che si usano e che possono però creare fraintendimenti. Dei fraintendimenti perché appunto quello che si è realmente sarebbe piuttosto quello che si è nella realtà, cioè quello che si sta vivendo. E quello che si sta vivendo spesso non è quello che crediamo o che presentiamo per poterci descrivere: quelli sono ruoli oppure avvenimenti che abbiamo vissuto nel passato che ci hanno caratterizzato. Tutti quanti abbiamo vissuto esperienze che hanno segnato i passi avanti della propria esistenza ma sono sicuro che ce ne saranno altri. Non si può descrivere quello che siamo nel presente descrivendo il passato. Questo significa che in verità per potersi descrivere non si possono adoperare delle definizioni. Questo permetterebbe una libertà di ampliarsi ed emergere nella vita che non ha equali. Ripeto: con gli altri ci si può descrivere come si vuole, si può lasciar credere qualsiasi cosa, ma almeno con se stessi affermare di essere esattamente quello che si è in questo momento permetterebbe di liberarci dalle definizioni che vengono utilizzate e accedere a un paesaggio che appunto non prevede definizioni, che è l’anticamera dell’infinito, dell’imprevedibilità. Preferite vivere in modo prevedibile?
Praticare il Vangelo, infatti porta a un essere liberi dal dipendere da quello che ci circonda; significa diventare liberi dal dipendere che siano altre cose, attorno a noi, a definirci, a dirci di essere in un modo invece che in un altro, in un lavoro o in una definizione. Poiché ci si riconosce nella vita e la vita è il momento in cui si sta vivendo e non il passato o il futuro. Praticare il Vangelo non ha come obiettivo diventare dei bravi cristiani, forse neppure cristiani, né delle persone perbene, dei bravi catechisti: non fa diventare le persone in un modo preciso; altrimenti si finirebbe in altre definizioni ancora.
Questo può spiazzare perché porterebbe la persona, l’eventuale praticante del Vangelo, a ritrovarsi a non scegliere delle vie programmate, dei percorsi prestabiliti, ma predisposti ad accogliere l’imprevedibile, perché vivendo il momento presente, non c’è nulla da controllare. Non lo si può controllare, se non la volontà di viverlo. Perché se io accetto una definizione di me, allora mi precludo tutto il resto e rimango concentrato (anche nel mio presente) che io sono quella cosa: sono un artista, uno scrittore. E si scopre così che non è una concentrazione, il sapere chi si è, ma una distrazione poiché porta come a essere in vacanza da se stessi, da come si è veramente. Lo spiego in questo modo: non è che il passato è trascurabile o non esiste, no il passato ha concretamente permesso che diventassi quello che sono, mi ha costruito; ha la sua importanza. Ma non è che “passato”, perché anche il diventare artista o scrittore non sono cose del presente ma del già vissuto. Il passato è indispensabile per farmi diventare la persona che sono ora, cioè la persona che sta vivendo la vita che è il momento presente. In altre parole, tutto quello che io ho vissuto nella mia vita mi è servito per poter diventare la persona che sta vivendo questo momento; quindi tutte le mie esperienze e il mio passato hanno senso per quello che sto vivendo ora: cioè scrivervi. Si può dire che lo scopo della mia intera vita è questo: vivere questo momento. Proprio come lo scopo della vostra vita che mi state leggendo è quello di leggermi. Tutto quello che avete vissuto (se credete nelle vite passate pure tutto quello che avete vissuto in tutte le vostre vite passate) ha avuto come scopo l’arrivare in questo momento e leggere questo testo. Non sto facendo discorsi egocentrici e superbi anche perché fra 10 minuti starete facendo qualcos’altro e lo scopo della vostra vita sarà quello che farete in quel momento. Sto proprio focalizzandomi sul presente e quindi se ci si abitua a pensare che il passato ha certamente importanza per avermi formato e portato a questo punto (lo scrivere questo testo), allora mi fa sentire che tutto il mio passato, il mio vissuto, le mie esperienze si concentrano in questo momento e io questo momento lo sto vivendo assieme a tutto quello che ho vissuto, nella piena concentrazione, senza pensare di essere nient’altro che una persona che vi scrive. E questa azione la sto considerando come l’unica che sto facendo nella mia vita proprio perché la mia vita è questo momento in cui vi sto scrivendo proprio come per voi è leggere. È tutto quello che sto facendo nella vita. Quindi vivere questo momento presente con tutto quello che sono, tutto quello che ho: il mio passato, il mio corpo, i miei eventuali pensieri sul passato e sul futuro. Questo permette una ricchezza, una profondità, una connessione che travalica il semplice trasmettere informazioni. Infatti, ho scritto un libro trattando qualcosa di enorme come il Vangelo e qui vi scrivo in maniera leggera, ma lo sto facendo con totale attenzione e concentrazione, come fra 10 minuti starò facendo altro e vivrò quell’esperienza con totale attenzione e concentrazione come se fosse quello, lo scopo della mia vita.
E allora ripeto: non è un discorso per accentrare su di me tutta la vostra attenzione ma per invitarvi a considerarvi voi, il vostro presente e la vostra vita come… ogni momento della vostra vita. E quel momento è lo scopo della vostra vita. Probabilmente stiamo parlando in modo generico, chi seguirà il percorso suggerito dal libro che ho scritto potrà lasciarsi andare a ulteriori riflessioni. Ma che sia chiaro: non sono solo speculazioni filosofiche e elucubrazioni astratte, sono considerazioni pratiche, quelle che abbiamo fatto fino a ora. E cioè rendersi conto di chi siamo, come è la realtà e come la consideriamo. E ripetendo il discorso sul tempo: quando viviamo la realtà, in quale momento. Infatti, la spiritualità (il mio libro parla appunto di spiritualità) non ci rende persone più spirituali ma più pratiche perché permette di mettere a fuoco quello che solitamente viene etichettato come astratto, evanescente. Quindi, parlare con leggerezza è perché procedendo nel cammino che si potrà leggere nel libro, è con leggerezza che ci si ritrova ad avere tra le mani la Verità. E non con la fatica e lo sforzo di tenere tutto sotto controllo e così il dovere di definire e spiegare ogni cosa. Con la libertà di essere liberi, libertà di essere indipendenti dalle definizioni di chi siamo stati e cosa dovremmo diventare nel futuro. Ma soltanto la vita, essere la vita, essere quindi nel presente. Infatti, questo discorso, come quello riportato nel libro, non l’ho fatto, non l’ho scritto perché ho avuto una particolare illuminazione, ho scoperto una cosa che gli altri non sanno, ma perché ho smesso di ricercare illuminazioni, di cercare quello che gli altri non sanno. Mi sono concentrato sulla libertà e sul presente. E l’ho fatto perché amo il presente, amo la libertà, solo per quello. Infatti non voglio essere un maestro o un nuovo istruttore che propone l’ennesima tecnica per risolvere o capire cose incomprensibili. Ho scritto quel libro perché sono un amante della verità, di Dio, del Vangelo. Sono un fan, solo per quello. Tutto il resto viene da solo. E la libertà permette anche che tutte le cose di cui si vorrebbe la risoluzione scompaiono poiché non si vedono più essendo voi, praticanti del Vangelo, vivi e quindi viventi nel presente. Mentre quelli che sarebbero problemi da risolvere sono cose avvenute nel passato o preoccupazioni per ciò che avverrà.
Auguri per il prossimo scopo della vostra vita… tra un istante.
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