07/06/23

L’INDEFINIBILE CHE STA DIETRO AL DEFINITO - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 43

Qui di seguito il quarantatreesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


L’INDEFINIBILE CHE STA DIETRO AL DEFINITO




Indicare la realtà materica come “un’illusione” rispetto alla realtà vera che vi sta dietro, non significa che la si debba considerare inesistente. Non è come un miraggio, essa ospita il mondo e vi costruiamo la concreta esperienza della vita umana. Essa può essere trattata come un’illusione, piuttosto, se la si carica di significati e desideri che spingono lontani dalla sua vera opportunità: oltrepassarla con la certezza che permetta il contatto con la vera realtà, che è Dio.
È reale al pari dell’ombra di un oggetto, ha valore farne esperienza perché essa è la prova che l’oggetto è concreto e consistente di fronte a noi. L’aspirante alla perfezione spirituale (per usare un’espressione sintetica del Vangelo), se sarà coerente con il percorso proposto, giungerà prima o poi ad accorgersi che concentrarsi sulla realtà materica è come volere acchiappare un oggetto cercando di afferrarne l’ombra. La rivoluzione della coscienza è nel rendersi conto che finora ci si era focalizzati sull’ombra e non sull’oggetto concreto che proietta quell’ombra.
Quella che di solito indichiamo come realtà materica, qui viene apostrofata come la mera ombra di qualcosa: un’ombra, per i sensi del nostro corpo, è addirittura intangibile. La confusione viene evitata se si ricorda che l’obiettivo non è uno spostarsi in un luogo piuttosto che in un altro, come a dire entrare nella vera realtà e girare le spalle a un’altra. Entrambe sono reali ma in due stati diversi, non è neppure importante indicare definizioni e differenze perché la fusione in Dio, il riconoscersi pura coscienza che è l’unica, non prevede uno sconvolgimento radicale. Il devoto, in altri termini, continuerà la sua vita di sempre, a cambiare sarà la cognizione che ha della realtà. Perché egli è certo che il suo sé e il Sé supremo assoluto sono il medesimo; egli, come persona che guardava al mondo materiale e a quello spirituale senza riuscirsi a convincere se esistessero entrambi e quale fosse il vero, semplicemente non esiste più. L’essere umano stesso è la prova della complicità di entrambe le realtà, come l’oggetto e la sua ombra che in verità è sempre l’oggetto medesimo.
Già si era usata questa metafora per invitare a guardare e rivolgere la propria attenzione all’oggetto concreto, invece che alla sua ombra (il suo simulacro). A questo punto, si nota che in verità non esisterebbe neppure la persona che guarda poiché anch’essa è quell’oggetto con l’ombra proiettata. Difatti, le persone sono sia spirituali che materiali, tanto possono fare esperienza su un piano più sottile di quello di tutti i giorni come possono influenzare e creare nel mondo a causa delle loro azioni. Questo è il vero senso della fusione con Dio, come nell’intrico dei componenti del corpo umano sarebbe impossibile indicare precisamente dove termina un organo e ne inizia un altro. La fusione, ripetiamo, non sarebbe allora in un fondersi nello spirituale e disdegnare il materiale o un concentrarsi sul soprannaturale perdendosi ciò che è naturale. Come si è intuito, fenomeni straordinari fanno parte sempre della stessa realtà; indagare le vite passate eventuali, tentare viaggi astrali, comunicare con entità extracorporee, ecc. sono ugualmente azioni che riguardano la superficie, mostrando l’ombra e non l’oggetto che la proietta.
Questi fenomeni, bisogna ammettere, vengono appunto ricercati per potersi migliorare, che è una cosa positiva; ma migliorarsi rispetto a cosa o a chi? Vi si può rispondere se possiamo indicare qualcun altro oltre a noi per essere in grado di fare un confronto: ma come è possibile se abbiamo scoperto che tutto è unità? Inoltre, la domanda sottende che si stia giudicando per desiderare infine di essere meglio di come si è o di come sarebbero gli altri. Più potente, ricco, sensitivo grazie a pratiche mirate sta comunque a significare di volere di più, ha a che fare con l’avere e non l’essere. Con l’ingrandirsi.
Spesso anche gruppi spirituali di preghiera e di studio che nascono in seno alle religioni canoniche nascondono la vecchia scuola sotto a un manto di modernità e attitudine pratica alla fede. Ovvero, un promettente approfondimento mistico che permette al fedele di fare esperienza oltre gli approcci più superficiali e ritualistici della religione, che però viene condotto al consueto praticare per ottenere un tornaconto. Anche se questo possa essere la felicità, una guarigione o la comprensione, si tratta comunque di un praticare per soddisfare esigenze riguardanti i propri desideri.
Quindi, è nell’equilibrio fra le parti che si instaura il controllo, la pace e di conseguenza la sicurezza. Una persona spirituale non è qualcuno che si è slegato dalla materialità (cioè l’opposto della spiritualità) perché è consapevole che materia e spirito sono entrambe le facce della stessa medaglia. Sa che il materiale fa udire l’eco dello spirituale, così che ogni cosa non è da perdere ed è da amare. Se invece rifiutasse qualcosa che avviene giudicandola troppo banale perché non parla di cose profonde o volgare perché fisica, mancherebbe di esperirne la parte divina.
Non vuol dire neppure che il fedele si distrarrebbe davanti a ogni cosa, perché rimane focalizzato su ciò che vi starebbe dietro, sulla parte che non ha una forma seppure appare con una forma. È probabile che sia per questo motivo che un eremita, per approfondire la propria coscienza di Dio, trascorre molto tempo a lavorare; non pratica solo occupazioni elevate e filosofiche, anche manuali e faticose.
Il praticante del Vangelo è sicuro della costante presenza di Dio proprio in misura della fusione. Così, malgrado le esperienze affrontate nella vita, d’ora in avanti egli vivrà adducendo la presenza dell’Assoluto in ogni cosa che fa e in ogni incontro che ha. E ciò è la diretta conseguenza del considerare la realtà nella sua interezza, nella sua vera natura. Se nella realtà materica, nella sua forma, egli è un uomo come un altro, che vive le vicende felici e tristi di chiunque, non perderà mai, in realtà, la felicità. Perché la sua felicità è a prescindere: essa è presente costantemente dietro la forma. Come potrebbe vivere senza amore se, in verità, dietro la persona c’è solo amore?
Allora egli non potrà effettivamente perdere la propria gioia e la pace perché la sua gioia, la sua pace provengono da oltre le forme, oltre i condizionamenti (la realtà dove ci sono forme e fenomeni); sarebbe come dire che egli smettesse di avere la vita, smarrisse la propria divinità. Pertanto, è giusto vedere che non si può perdere la presenza di Dio, mai più dopo averla avvertita, indipendentemente da quello che si vivrà nel corso della vita; come non si perderà la propria vita (la propria immortalità) anche se si dovesse morire. Perché non sono cose che si hanno, ma le si è.
Ecco che quando ci accorgiamo che qualsiasi cosa possiamo giungere a vivere nel mondo, attraverso l’impegno personale o la casualità, con coraggiosi e continui cambiamenti o scegliendo la comodità, nulla potrà mai portarci a una felicità piena, indistruttibile (perché appunto condizionata da fattori esterni), ci accorgiamo pure che deve esserci per forza qualcosa oltre. Qualcosa che non cambia con il tempo, come più volte notato, che è oltre il tempo e qualsiasi condizionamento. E, paradossalmente, proprio perché immutabile può mutare chi se ne accorge e decide di ospitarlo. Ci si ferma a osservare cosa c’è dietro alle forme e ai nomi e così, quando si osserva anche se stessi, si scorge che non ci siamo, non esistiamo. Perché se leviamo le forme, l’osservatore non è più chi credeva di essere: è egli stesso assenza di forme che sorregge la presenza delle forme; c’è solo quello. Quindi, se noi, per il desiderio di prendere coscienza di Dio, ci impegniamo a concentrarci su chi veramente e nel profondo sta osservando oltre le forme, scopriremo l’assenza di forme e fenomeni. In quanto anche ciò che si vuole ricercare (Dio), il ricercatore e la sua ricerca sono delle forme e ciò che si troverà nel profondo di ciascuno di noi è la vera realtà, il vero Dio al di là delle idee, delle forme e dei nomi che Gli diamo. Di nuovo la prova che è la materia, l’esperienza terrena e l’essere uomini la strada ideale per giungere all’opposto, alla nostra matrice.
L’essere immortali permette di riconoscere all’esperienza scandita dallo scorrere del tempo una profonda importanza. Indurrà a scelte che principalmente hanno a che fare con le proprie passioni, i talenti, la scoperta degli aspetti più profondi e divini che si possono godere come esseri umani. In pratica, un amare con purezza e passione ogni cosa perché consapevoli che la presenza propria e di ogni cosa è la presenza di Dio. Invece, il convincersi che la vita è una parentesi costituita da poche manciate di anni porterà a vivere con l’ansia che il tempo non sia mai abbastanza. Pertanto, sarà un continuo cercare di avere di più, di ingrandirsi, sia nell’esistenza scandita da continui cambiamenti che in quella dove si ricerca la stabilità. Ciò non faciliterà l’individuare lo scopo della vita che abbiamo captato essere il realizzare chi si cela nel proprio sé. Ma neppure avverrà vivendo senza mai pensare alla morte come se si credesse che non si dovesse mai morire, per quanto persone con una propria personalità e un proprio corpo.
Oltretutto, deve cominciare a diventare evidente che la meta del viaggio, lo scopo della vita, ciò che si troverà dall’altra parte o, come ci siamo divertititi a inventare, il tesoro alla fine della mappa, è sostanzialmente indescrivibile. Comporta un radicale cambio sull’essere coscienti a proposito di sé e della realtà ma non permette di poterne parlare chiaramente. Perché se lo si facesse, allora si ricorrerebbe a delle forme, cioè a delle immagini, delle idee, delle credenze, dei nomi. Lo si farebbe diventare ancora qualcosa che non è, che sta all’interno della mappa (solamente della realtà materica). Si è colto che Dio è dietro a tutte le forme, ma non è descrivibile riferendo di una forma piuttosto che di un’altra o della loro totalità. Dare una descrizione o una definizione sarebbe giudicare: per farlo bisognerebbe usare qualcosa di riconoscibile, ovvero forme e nomi. Non si può spiegare così qualcosa che non ne avrebbe; anche il termine Dio è una parola piena di significati che utilizziamo per capirci e avanzare nel testo ma rischiando di confonderci.
Ciò che sta dietro alla superficie, allora, anche dietro al proprio corpo, mente e personalità è qualcosa che può essere solo vissuto, sperimentato a causa, appunto, del cambio di coscienza che porterà a un cambio nel leggere la realtà e così pure nel decidere come essere e come vivere.
Di tale dinamica, una prova della sua veridicità e realizzazione è rilevabile nelle conseguenze che vengono portate nella vita di chi l’affronta. Esse sono una rinnovata consapevolezza aperta alla realtà e a se stessi che impone gioia e serenità complete e svincolate da qualsiasi condizionamento. Proprio come annunciato e garantito fin dal primo passo.
Il primo passo, il più delle volte la persona lo muove perché spinta da un sospetto, una intuizione. Non è più come in passato che l’invito alla profondità, al rinnovo e magari anche all’ascetismo poteva venire promosso da istituzioni e maestri. Oggi, si deve ammettere quanto piuttosto si viva stimolati a uno sforzarsi a creare su un piano dell’avere, del possesso e del fisico. Così che anche un atteggiamento spirituale venga proposto come acquisizione di qualcosa in luogo di un “essere”.
Così, l’adepto alla purificazione dovrà avanzare in solitudine, smarcando l’attaccamento a dottrine che offrono qualcosa. Egli dovrebbe scegliere con discernimento da sé le tracce lasciate dai predecessori, da chi prima di lui ha raggiunto il tesoro.
Se una dottrina ha da offrirti qualcosa, infatti, vorrebbe dire che garantisce di poter dare qualcosa. Evidentemente un qualcosa che non si ha: come fidarsi di chi promette che ti farà ottenere qualcosa che, in verità, si è scoperto, abbiamo già? Come poter presentare l’uomo come assoluto, perché spirituale, e anche insegnare che ha bisogno di altro come se gli mancasse qualcosa? Sarebbe un far credere che lo spirito sia limitato, circoscritto, come se ci si confondesse considerandolo come il corpo.
Un maestro sincero e idoneo ad accompagnare nel viaggio presentato in questo libro è riconoscibile sicuramente quando dimostra di non riversare la sua preoccupazione nelle sofferenze che si subiscono o nella caducità delle situazioni gioiose. Neppure nella morte e nel concentrarsi nell’eventuale ciclicità invincibile di continue reincarnazioni. Perché illusioni.
L’unica preoccupazione è nel trovare il modo di avere la vera visione della realtà e su come poterla mostrare agli altri.




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