31/05/23

L’INEVITABILITA’ DELL’AMORE - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 42

Qui di seguito il quarantaduesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


L’INEVITABILITA’ DELL’AMORE




L’insegnamento maggiore che possiamo apprendere sulla nostra realtà è che tutto è una relazione. Ogni elemento è in reciprocità con un secondo, altrimenti, in assenza di relazione vi sarebbe l’assoluto. E questo è l’argomento centrale del nostro trattato identificando l’assoluto come lo sfondo unico sul quale tutto avviene, il tempo dal quale ogni cosa si muove con un proprio ritmo, l’universale coscienza che è ogni coscienza: Dio. La possibilità di relazionarsi e l’inevitabilità che ogni ente ed evento si possano manifestare solo attraverso una relazione è, invece, questa dimensione. Le cui caratteristiche sembrerebbero proprio essere il migliore aiuto per identificare e diventare coscienti del loro opposto: l’assoluto, appunto. Di conseguenza, grazie a vari esempi, abbiamo riconosciuto che l’assoluto può presentarsi così dietro a ogni cosa contenuta in questa realtà, dagli oggetti alle persone, fino a elementi astratti come i pensieri e le emozioni. Ma non solo: a causa di ciò si può affermare che è impossibile evitare tale interazione fino a vedere anche in sé la manifestazione (l’esistenza) del divino.
La realtà è transitoria e in continuo mutamento, infatti, ripetiamo, l’assenza di ciò sarebbe l’Assoluto. E il mutamento è possibile appunto quando avviene il contatto fra due elementi. Nel loro relazionarsi, che sia un’attrazione, un contrasto o una fusione, accade la trasformazione. Le trasformazioni più importanti per la vita di ciascuno (e quindi per l’universo) avvengono attraverso relazioni scandite dall’amore. Per importanti, si intende che sono maggiormente in sintonia con la Verità, con l’assoluto. Questa formula non è stabilita perché l’amore sarebbe visto come il sentimento più bello o che comporterebbe la felicità, ma perché precisata e ripetuta negli insegnamenti evangelici. Infatti, non è un semplice ordine del buon vivere, il Vangelo, ma presenta dei chiari modi per connettersi al vero sé, all’Assoluto. Tant’è che, fra tutti i tipi di relazioni che si potevano scegliere, è quando ci si scambia amore, che si pratica il Vangelo e se ne attraversano i vari passaggi evolutivi. L’amore direziona alla Verità, la rende concreta: esso è appunto non un semplice sentimento ma un’effettiva forza creativa, benché, a livello superficiale, possa venir percepito come un sentimento.
Già altrove abbiamo avuto lo spazio per far notare che se ogni elemento dell’universo è collegato, allora è sufficiente che il singolo si relazioni con amore che tutto si accorderà di conseguenza. Anche se non vi sia nessuno che gli rivolga amore o venga assillato da previsioni negative sul proprio futuro. Difatti, la convivenza piacevole con gli altri, la pace, il benessere fisico, mentale ed economico non sono le condizioni che permettono una vita dispensatrice di amore ma i suoi effetti collaterali.
Il motivo è che l’amore è una forza che crea, che permette la creazione e la ospita. È a seguito dell’accorgersi di ciò che eravamo giunti qualche capitolo fa a dichiarare che ogni cosa nell’universo nasce come conseguenza dell’amore. Ed è anche il senso per cui si era sovrapposto “amore” al “donare”. In effetti, un elemento si trasforma solo in misura di quanto cede a quello con il quale si relaziona. Maggiore è l’amore, maggiore è la cessione e quindi il cambiamento. Si tenga presente che è solo laddove c’è mutamento e movimento che vi è vita. Questa armonia smette di essere celata e viene scagliata sotto gli occhi di tutti quando Gesù cedette tutto se stesso per gli altri.
Quanto si cede? Quanto si trattiene? Sono domande importanti perché per relazione, in una visione universalista, come già accennato, si intende di qualsiasi genere poiché può avvenire con ogni cosa e in ogni momento in quanto tutto, in questa dimensione, funziona così: è vita. È relazione allora, che comporta una trasformazione, anche il mio stare seduto (nella pressione dei miei tessuti con la sedia), il bere un bicchiere d’acqua (nel processo che avviene del liquido nello stomaco), quello che dico e faccio durante la giornata e così via. Queste azioni banali, che quasi non si badano nel momento che le si compie, trovano modo di compartecipare in modo costruttivo quando vi si diventa sempre più consapevoli aggiungendovi l’amore nel loro compierle vertendo verso un’etica positiva. Diventa più esaustivo quando si affrontano relazioni con altre persone. È lì, infatti, che può esplicitarsi più chiaramente uno scambio contraddistinto dall’amore.
Questa premessa è fondamentale per far sì che a tutti sia chiaro che nessuno può evitare tale relazione e quindi la compartecipazione alla trasformazione, creazione generale. Difatti, potrebbe esserci chi tende a giudicarsi estraneo se si riconoscesse in una vita caratterizzata da pochi contatti sociali o alcuno. C’è chi si vede come una persona che non approfondisce molto i rapporti oppure che li evita e tende a isolarsi. Addirittura, c’è chi sostiene che non riconosce amore nelle relazioni che vive. Tuttavia, in nessuno di questi casi l’individuo può considerarsi esente dall’avere una relazione.
È così anche per colui che si crede solitario, pure se vivesse eremita o lontano dalla società. Non si intende che egli potrebbe comunque stabilire relazioni con il resto del creato, ad esempio con la natura, poiché si tratterebbero di scambi che non permettono un approfondimento necessario per vivere una forma di amore la più germinativa. Certo anche con la natura, ad esempio con gli animali, un uomo può legarsi in un vero rapporto affettivo. Però non sarebbe possibile l’ulteriore approfondimento che è facilitato quando vi è una comunicazione diretta. La quale è permessa se i due sono della stessa specie grazie a un legame invisibile che sarebbe presente pure se non parlassero. La comunicazione in un rapporto fra due specie diverse, per esempio un uomo e un animale, viene pesantemente influenzato dall’uomo che ricercherebbe, anche inconsciamente, risposte che sia in grado di interpretare (dalla parvenza umana) nell’animale. Sarebbe forse un’eccezione se l’uomo fosse nato e cresciuto in una società di quell’animale e non di uomini.
Pertanto, tornando al nostro tema, anche una persona che non incontra mai nessun altro uomo o che è convinta di non amare nessuno, in verità ha una relazione di amore: quella con se stesso. In effetti, egli non può che amarsi, anche se si convincesse del contrario, altrimenti non sarebbe vivo. Inoltre, egli può dedicarsi a sé, alla propria mente, al proprio corpo; non potrebbe veramente affermare che non ha nessuno da amare. Egli incontra sé, continuamente, anche se dovesse fare un viaggio in solitaria attraverso una terra disabitata. La persona che siamo ci obbliga a essere comunque in relazione con qualcuno e di qualcuno amanti.
Pure chi trascorresse la vita sprecandola o dedicandosi alla propria dissoluzione e distruzione oppure nell’indifferenza, sta occupandosi si sé. Seppure in chiave negativa, i suoi atteggiamenti sono comunque d’amore (per la dissoluzione, la distruzione, lo spreco, ecc.) al fine di intraprendere un rapporto con sé.
Allora, si potrebbe supporre che l’incarnazione che abbiamo è lo strumento ideale per sperimentare e trovare in ogni momento l’amore. E, quindi, la vita, Dio. Perciò, tutti noi siamo nell’impossibilità di evitarlo. Questa osservazione non è una sofisticazione allo scopo di convincerci della presenza dell’amore, ma per riconoscere che in modo naturale, per il modo in cui l’uomo è fatto, avviene tale conseguenza: fino a che si ha questa carne addosso, l’essere umano viene costretto a un legame indissolubile, filiale. Proprio come indissolubili sono i sentimenti di appartenenza e comunione che legano i figli con i genitori, infatti. Se l’uomo si abituasse a considerare se stesso, la propria persona come se fosse il proprio figlio da accudire e amare, gran parte dei problemi personali (che poi echeggiano in quelli globali) cesserebbero.
Mi è capitato di incontrare persone che si consideravano sicure di non avere nessuno nella loro vita. A causa di ciò, anche in risposta al mio precedente libro (il Vangelo Pratico), mi facevano notare che per loro era impossibile praticare il Vangelo. Costoro, abbiamo qui la conferma, commettevano un errore di valutazione. Finché si ha un corpo e una mente, hai sempre a che fare con qualcuno. La propria persona è qualcosa che uno ha, di cui deve prendersi cura, proprio come un qualsiasi altro elemento contenuto nella creazione. E per i quali ci è stato dato direttamente il compito di proteggere e custodire (nel libro della Genesi), migliaia di anni fa.




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