18/11/17

FARE FOTO PER RICORDO O PER DIVENTARE UN RICORDO?



Quello che ho descritto negli ultimi post è un diverso punto di vista rispetto a Benjamin dell'osservazione delle immagini di massa, perché qui parliamo di immagini banali che sono alla portata di chiunque e che potrebbero anche non essere viste da nessuno. Chi è quindi il fruitore di quelle immagini? Il sistema stesso, internet, come una sorta di spettatore che accoglie le immagini e ci fa sentire "ascoltati". Un ottimo parallelismo con Dio, al quale venivano rivolte immagini che solo Lui poteva vedere: l'autore e chi le commissionava riconosceva, ma senza saperlo, che Dio le avrebbe viste. Nell'essere più specifici, non è esattamente un Dio, internet, ma la profondità che cela Dio: sé stessi. Funge quindi da specchio: penso a una cosa (la vedo), e carico quel pensiero (quella foto) nella rete, così che il mio pensiero rimarrà per sempre; anche se la foto non viene rivista, in quel momento so che è una porzione di me che rimarrà nell'eternità. In passato, avevo descritto queste dinamiche come autismo o autoerotismo, ma più esattamente è proprio un tendere al raggirare la morte, un persistere.

Mi interrogo se è lo stesso movimento che mi porta a realizzare lavori come questo: distruggo la foto e poi la rimonto, la colloco su un supporto che ha già un passato - che viene quindi sovrapposto. Cambio canale del testo e pertanto il messaggio che porta è deviato. Un passato che per me è quasi impercettibile, però diventa materia della mia personale memoria visto che le foto si fondono con le vecchie tele di mio padre, di quando dipingeva.

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