17/08/22

IL GIORNO DELLA SALVEZZA - A CHI SI OBBEDISCE capitolo 1

Qui di seguito il primo capitolo del nuovo libro che ho scritto IL GIORNO DELLA SALVEZZA che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


A CHI SI OBBEDISCE


La fede è la grande conquista ottenuta dal praticare il Vangelo, come abbiamo conseguito dal precedente libro, Vangelo Pratico. Attraverso la fede l’individuo avanza senza pretese, senza programmi, come bendato sapendo solo che deve procedere in avanti.
Quotidianamente si è inclini a stabilire i propri doveri e piaceri, non viene spontaneo vivere senza. Con la fede, anche il pianificare prende un tono meno impositivo: come le regole che ci si fissa in un gioco, comunque vada è sempre parte del divertimento. In questo nuovo libro, ci porteremo a vedere che il divertimento, l’ilarità, la leggerezza, sono sintomi di un vivere da un’altra parte rispetto alla società che induce allo stress per soddisfare parametri poco flessibili. E il divertimento, la gioia sono la vita stessa e in tale forma essa deve essere fatta passare attraverso noi, cioè attraverso i nostri pensieri, le nostre azioni, le nostre creazioni, ecc.
Con fede, quindi, si possono comprendere le Sacre Scritture, se questa non lascia spazio a dubbi o perplessità. È solo a causa della condizione di fedeli, che qui parliamo del Vangelo, infatti. Perché se il Signore fosse argomento di studio, allora qui lo trovereste affrontato per mezzo di interpretazione. Cosa che non ci serve perché, come già sostenuto, l’interpretazione impone di rimanere influenzati dal personale modo di vedere e capire. La Verità non si può cogliere con metodo empirico perché l’uomo sarà sempre condizionato da ciò che sa, crede, pensa e sente emotivamente.
Pertanto, la fede è sia il risultato riscontrabile nella pratica del Vangelo che il mezzo per poter ulteriormente comprendere il Vangelo stesso. È plausibile che dopo questo nuovo traguardo, si possa giungere a un risultato nuovamente diverso da permetterci di cogliere dell’altro ancora, seppure eravamo partiti da quella che si credeva essere la comprensione maggiore delle Scritture. Un imprevedibile nuovo approfondimento.
Qui sta la differenza fra leggere il Vangelo come ispiratore per un mondo di bontà e pace e leggerlo come scrigno che si apre a rivelare un percorso di iniziazione verso una zona fuori da qualsiasi mappa mentale, rappresentabile, dove poter conoscere il Signore Supremo.
Non è che la fede rende l’individuo più intelligente o laureato in teologia; le sue conoscenze, credenze, valutazioni, pensieri e sentimenti saranno sempre i medesimi: è la stessa persona di prima. La diversità sta in quanto egli si concederà di rimanere influenzato da ciò che proviene dalla propria interpretazione e quanto, invece, da qualcosa di più grande. Che egli lascerà ad agire al proprio posto. E la comprensione, anche delle Scritture, avverrà per intuizione.
A questo punto, si percepisce molto probabilmente un naturale scostamento da quanto la società richiede. Ad esempio, le conquiste mondane che vengono raggiunte dalla persona si mostrano in realtà come conseguenze a imposizioni esterne piuttosto che un manifestare la personale libertà di scelta. Pure l’appagamento nel possedere beni e immobili, viene vanificato quando si comincia a intuire la società in modo diverso. Che senso trovare, allora, in una esistenza che è sganciata dalle regole alle quali tutto il resto e tutti gli altri, apparentemente, sono agganciati?
Ricordando il libro precedente, sappiamo che non c’è nessun senso nella vita, in realtà, se non il facilitare la vita stessa. E questo avviene attraverso un accettare e ricambiare quanto riceviamo giorno per giorno (che abbiamo colto che è corretto definire come dei doni, essendo ideale per ciascuno di noi). Ebbene, un osservatore esterno può valutare questo paradigma al pari di una stasi che non permetterebbe di raggiungere obiettivi, profondi godimenti o successi. Valutazione che però avrebbe fondamento soltanto quando si vive credendo se stessi gli unici artefici dei propri obiettivi, piaceri, successi e così via. Lasciar fare a qualcos’altro che agisca per noi, al posto nostro, è il potere della fede; ma solo se si ha a che fare con una fede incrollabile in Dio. Altrimenti, si cova un sospetto che possa aprirsi per noi una vita di immobilità e noia se non ci si preoccupasse di riempirla di quanto si aspira.
Però, ciò che l’uomo può fare sarà sempre entro i limiti della propria immaginazione; di conseguenza, cercare di realizzare quanto si vuole è semplicemente a motivo di un temere che in alternativa non possa accadere nulla. È il grande mistero della fede, che mi induce a essere libero senza sapere cosa farmene della libertà, piuttosto che aderire al profilo di persona che la società vuole che io sia.
Tale libertà, come paventato poco sopra, parrebbe introdurre a una sensazione di vuotezza, di inanità. E ciò è ovviamente legato in modo diretto all’abituarsi a considerare ogni cosa, anche noi stessi, in base alla utilità.
Però, se argomentiamo che il senso della vita è facilitare la vita, non è questo un principio ugualmente basato su una funzione, e per di più precisa e inderogabile? La risposta è no, perché in questo caso si tratta dell’espletazione di una predisposizione naturale. Pertanto, nel corso di questo trattato, ci inviteremo a mettere sempre più a fuoco come è la natura propria dell’essere umano e della realtà in cui vive.
Perché, ad esempio, ci viene più facile credere di essere immersi in problemi invece che immersi nella beatitudine? Dio è ogni cosa, quindi anche quando si dovessero vivere esperienze problematiche, chi ha fede considererà tutto come Dio. Sa di esserne immerso, con onestà calcola come inconcepibile la vastità dell’universo e allora si arrende, non giudica. Chi non ha fede, seppure anch’egli calcola come inconcepibile la vastità dell’universo, si oppone a questa incomprensione e vuole spiegarsi ogni cosa. Così, paradossalmente, chi non crede in Dio finisce con il dover tenere conto di una marea di cose: tutto quello da cui viene toccato perché ogni cosa è parimenti esistente e distinta. Mentre chi ha fede è certo che qualsiasi cosa sarebbe sempre, in realtà, una. E il paradosso sta che in tale dinamica, chi non ha fede finirebbe per avere fede e credo in maniera più ampia e complessa di un fedele che concentra invece i propri pensieri e azioni verso un solo “soggetto”.
Nel tentativo di semplificare ed evitare di banalizzare, si potrebbe affermare che il liberarsi di tutte quelle fedi (vari dèi a cui rendere conto) è il punto di vista migliore per inquadrare nel suo aspetto più maturo e forte la libertà derivante dalla pratica del Vangelo. Cercare di vivere con l’intento di soddisfare quanto ci si convince che ci si aspetti da noi, pilota le nostre decisioni, dalle cose più importanti (la carriera, il posto dove abitare, come apparire) fino a quelle minime (i luoghi che si sceglie di frequentare (online e no), il modo di formarci, la scelta degli oggetti che ci circondano) così che sarebbe appropriato individuare dietro a ciascuna di queste richieste soddisfatte o meno una figura che avanza tale richieste. Tali figure possono anche essere palesi sotto forma delle persone che incontriamo nella vita, ma non è esattamente a loro che si obbedisce. Si obbedisce all’idea che si deve essere in un dato modo, all’idea che c’è dietro alle nostre scelte, come la carriera lavorativa che costruiamo fino a un oggetto che si acquista senza pensarci troppo. Ma quella carriera o quell’oggetto sono solo un lavoro e una cosa, quello a cui si aspira è l’idea che si ha e che si pensa che la società ha su quel lavoro e quell’oggetto.
In conclusione, le idee vengono assurte a qualcosa di vivente, esistente, seppure astratte. Proprio come un’idea potrebbe essere ciò che il fedele insegue di Dio. Ma, riallacciandoci al concetto iniziale: chi non ha fede in Dio finisce per sentirsi costretto a soddisfare una marea di dèi per essere felice.
Malgrado ciò, a questa analisi si dovrà anche aggiungere un consuntivo su cosa si ottiene concretamente nei due distinti modi di condurre l’esistenza. Per adesso, focalizziamo l’attenzione attraverso la comparazione appena fatta su cosa si intende essere fedeli e cosa no; e specialmente su cosa si considera per vita libera.
Addirittura, da questa osservazione si potrebbe alludere che un fedele, in realtà, per il suo essere fedele è semplicemente fedele alla vita, alla sua natura. Dio non gli dice come essere e cosa fare, perché tutto quanto egli è e tutto quello che gli capiterà è Dio. Il fedele non deve, in pratica, fare nulla di particolare per vivere da fedele, e il suo rendere conto a Dio, obbedirGli, è il mero vivere.



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