31/08/22

CONSUMISMO E SPIRITUALITA’ SI EQUIVALGONO - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 3

Qui di seguito il terzo capitolo del nuovo libro che ho scritto IL GIORNO DELLA SALVEZZA che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


CONSUMISMO E SPIRITUALITA’ SI EQUIVALGONO



Non bisogna dimenticare che fino al cosiddetto “boom economico” di qualche decennio fa, e genericamente in un po’ tutti i paesi contraddistinti da un periodo di distribuzione della ricchezza, la maggioranza della popolazione viveva una vita gravata da maggiori ristrettezze. L’aumento di disponibilità finanziaria delle famiglie, conseguente alla crescita del prodotto interno lordo, ha creato palesemente un cambio anche all’interno del rapporto tra le persone e dell’individuo con se stesso. Questa globale trasformazione dovrebbe venir considerata anche a livello spirituale e pertanto anche da un punto di vista filosofico e di crescita personale. Nel corso degli ultimi decenni, abbiamo assistito con coinvolgimento a delle modifiche sostanziali sulla religione direttamente dalla Chiesa Cattolica proprio al fine di avvicinare la dottrina alla maturità di una società che non sarebbe più stata quella di prima.
Tuttavia, ci si accorge anche che tali cambiamenti sono avvenuti innanzitutto nella forma in cui la religione prende corpo. Abbiamo già notato, nel corso del libro precedente, Vangelo Pratico, quanto determinano l’animazione di una fede religiosa, i suoi aspetti secondari. Sia nel positivo che nel negativo, ovvero per favorire un accostamento alla Rivelazione senza l’uso centrale della razionalità, come ad esempio con le immagini e i riti, oppure in uno sviamento quando essi vengono fraintesi come principali. Anzi, il motivo che ci ha spinti a scrivere questi libri è stato il provenire da un contesto religioso che considera prevalentemente che il fedele si comporti in determinati modi, piuttosto che assicurarsi che tale costume lo porterà poi per davvero al Vangelo. Il quale tende a quanto sia importante che ogni persona segua un percorso di conoscenza e apertura verso qualcosa di immensamente più grande di noi, piuttosto che soltanto aderire a una Chiesa invece che a un’altra.
Far parte di una Chiesa, desiderare di partecipare ai suoi sacramenti, voler far sapere a tutti che se ne ha ricevuto il battesimo sono tutte tappe fondamentali nella vita del fedele. Qui si vuole portare all’attenzione che se queste non vengono poi arricchite di una ricerca di consapevolezza, possono finire per essere solo degli atti vuoti. Infatti, non è obiettivo di questa analisi il criticare una appartenenza religiosa o le istituzioni in generale. Semmai, il mettere in luce quanto tale rapportarsi formale con la religione e il suo proporlo da parte della Chiesa siano una diretta conseguenza di come la società si stava trasformando, proprio a seguito dei cambiamenti interni accennati all’inizio del capitolo.
Così, un certo tipo di benessere, ma anche gli sforzi che si compiono da parte di chi non vi ha accesso e lo desidera, hanno portato l’individuo a concentrarsi sull’esteriore trascurando l’interiore. Si vive in una realtà materiale e quindi attraverso il materialismo ci si può esprimere. Ma da almeno sessant’anni, la ricerca di beni di buona parte della popolazione ha travalicato il semplice bisogno di sussistenza. Si è riscontrato un progressivo focalizzarsi su come si percepisce e si appare esternamente invece che nel proprio interno: la cosiddetta società dell’apparenza.
Tale radicalizzazione ha comportato da una parte a destinare una fiducia verso la razionalità e la scienza che prima era riservata solo al campo della spiritualità, e dall’altra parte a ricercare nell’accumulare e consumare beni le risposte a domande esistenziali. Come abbiamo visto nel volume precedente, paradossalmente la scienza può traghettare colui che si fa delle domande a un’approccio più spirituale della realtà grazie alla capacità di spiegare fenomeni che altrimenti sarebbero incomprensibili. Mentre l’abitudine dell’acquistare merci svela che vi è celato un intento più profondo, legato all’idea (apparente appunto) che tramite il consumismo si possa accedere alla felicità e alla realizzazione personale. Tutti traguardi ottenibili con una pratica che deve coinvolgere la propria interiorità, invece. Questo, allora, ci fa accorgere che anche se non se ne rende conto, l’uomo è sempre e comunque lanciato verso l’astratto come se sapesse che là non può trovare confini e così andare al nocciolo di tutto quello che in realtà va in cerca. La possibilità di possedere beni induce a desiderarli e così chi abita nella “società dell’apparire” viene abituato a confondere come appagamento quanto percepirà al momento del vero e proprio possesso di quel dato bene. Per esperienza diretta, sappiamo che non è così perché soddisfatto un desiderio, si passerà a volere qualcos’altro. Eppure, si continua a utilizzare questa prassi in quanto, a prima vista, è l’unica efficace a disposizione; ma anche perché è direttamente connessa a quanto si punta spiritualmente, abbiamo constatato. Ovvero la felicità, la liberazione dalla sofferenza e la realizzazione.
Tanto che è doveroso riconoscere che la pratica dell’accumulare e consumare beni è magica. I beni che vengono desiderati e poi comprati non sono in verità un semplice oggetto, ma un simbolo. Il procurarcelo, si è convinti che faciliterà una soddisfazione emozionale, la quale è manifestazione di un desiderio di soddisfazione ancor più assoluto: spirituale.
E il lasciarsi convincere che attraverso il possesso di una cosa si possa ottenere altro che sia svincolato dal mero utilizzo di quel bene e che possa arricchire interiormente, vuol dire riconoscere nelle cose un potere taumaturgico per cui ha senso considerare la pratica del consumismo e dell’apparire come vera e proprio religione. Seppure i suoi praticanti si soffermano solo ad analisi superficiali ed esteriori sulle cose e sui propri comportamenti, il voler accumulare e consumare è paragonabile a una fede. Colui che brama il possedere e indirizza i propri sforzi e risparmi per permettersi un dato oggetto, sta mettendo in scena una devozione proprio a causa della convinzione (anche inconscia) che attraverso l’ottenimento di quell’oggetto otterrà anche un beneficio interiore. Questa pratica, questo impegno è allora una sorta di rito magico dato che l’oggetto da acquistare dovrà poi “operare” al di là della sua funzione materiale.
La persona che accumula tanto e partecipa attivamente al consumismo e al materialismo, cela in realtà una personalità incline alla spiritualità e alla volontà di ricerca interiore. È il rimanere sedotti da questo sistema consumistico che svela quanto l’uomo sia in qualsiasi condizione tendente spontaneamente all’assoluto, all’invisibile, al divino. Ed è anche un’ulteriore prova che fa riconoscere le nuove generazioni sempre più predisposte a un percorso di auto-realizzazione.
Forse ciò è a conoscenza di quanti hanno creato le trame della relazione tra l’individuo e il commercio così da incentivare i consumi. Ma quello che a noi interessa, è accorgerci della vera natura dell’uomo e della realtà: egli pellegrina di fronte alle vetrine dei negozi a espressione dei propri desideri, come il fedele fa con la preghiera; compie una serie di azioni finalizzate a ottenere quello che desidera, come andare a lavorare, risparmiare, convincersi dell’utilità di quell’oggetto; prende parte all’acquisto (come un rito).
Così, appare evidente, se facessimo una comparazione, quanto una persona che pratica una religione la possa praticare come se fosse invece un consumatore e quanto un amante dello shopping possa accumulare cose comportandosi sottilmente come se fosse il fedele di una religione. Il punto in comune fra i due soggetti è il vivere che un gesto, una credenza, un oggetto possano apportare un beneficio nella propria vita. Il quale, però, è solo un’idea: entrambi sono fedeli non a ciò che sta dietro a quella fede religiosa o a quel bene acquistato, ma all’idea che hanno su quella fede e quell’oggetto. E, ulteriormente, l’idea su quanto questi apporteranno nella loro vita. Ovvero, in entrambi i casi ci sono dei desideri personali da voler soddisfare, e sia questi che il metodo da seguire per soddisfarli sono convincimenti personali. Cioè idee.
Nella pratica del Vangelo, sono proprio le idee dalle quali bisogna alleggerirsi. Le idee sono quanto si desidera, si crede di essere, si è in diritto o in dovere di fare a seconda di come si appare. I pensieri, come in vari modi attestato nel precedente libro, sono quanto va a influenzare e creare la persona, la realtà in cui vive, gli eventi che gli capitano e gli incontri con gli altri. Il motivo per cui bisogna alleggerirsene è che l’uomo non è costituito dai suoi pensieri, le sue idee, ma a seconda di come è lui, la sua mente concepirà (o attrarrà) determinati pensieri piuttosto che altri.
La mente che formula i pensieri non sarebbe più un organo che stiamo usando, ma diventa noi stessi se ci convinciamo di essere i nostri pensieri. Indipendentemente dalla grandezza e dall’altezza che i propri pensieri possono raggiungere, essi sono comunque il prodotto di una parte del nostro corpo. Essi vengono elaborati attraverso un sistema meraviglioso formato da tutto quello che conosciamo e ricordiamo. Non credere che noi siamo solo quello, ma arrenderci a qualcosa di immensamente più grande di tutto ciò e che attraverso di noi può manifestarsi, apre questo sistema a una rete estremamente più vasta, che va oltre la nostra mente. La quale, tra le varie cose, diventerà anche ricettacolo di pensieri più grandi. I quali forniranno le risposte di cui si ha bisogno e che spesso crediamo di ottenere nell’acquisto di beni o nel vuoto seguire di un cammino spirituale.



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