22/02/23

ACCEDERE ALLA VERA REALTA’ - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 28

Qui di seguito il ventottesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.


ACCEDERE ALLA VERA REALTA’




Come stiamo scorgendo da più angolazioni, è la dimenticanza che siamo un qualcosa come un’anima e che questa ha ovviamente un’origine divina, la fonte della sofferenza. Non è la sofferenza in sé, il male, a costringerci in un’esistenza caduca e segnata da limiti. Lo è il non ricordare il nostro vero essere e così vivere il proprio profondo e reale sé; tramite il preoccuparci della materialità e il voler soddisfare desideri e obiettivi che ci si convince che bisogna a tutti i costi soddisfare per essere felici. E, così facendo, ci si forgia da soli le catene che ci legano alla realtà materiale mantenendo obnubilata la “memoria” della verità.
Allora, il male non è in realtà negativo perché partecipa come tutto quello che succede nella realtà oggettiva in una sublimale rete di eventi atta a portarci a ricordare chi siamo veramente. Se ci fosse la possibilità di ascoltare, ad esempio direttamente dalla fonte della Verità, da Dio, chi siamo a tutti gli effetti e la spiegazione su ogni cosa, evidentemente non la comprenderemmo appieno perché non viene vissuta, sentita, ma solo elaborata come un concetto. Così, è come se tutto quello che accade nel mondo avvenisse per indurci a prendere effettivamente coscienza di chi siamo e come la realtà è per davvero. Superficialmente, ciò che capita nella vita è un evento come qualsiasi altro, ma nascostamente pungola a farci ricordare chi siamo. E più avvengono esperienze negative e maggiormente è come se ci venisse in modo velato ribadito che la Verità vi sta dietro. La sofferenza, il male, può essere visto come uno sprone che serve a risvegliarci e scuoterci dal torpore che ci mantiene focalizzati verso il basso.
Anche il male che nella teologia di tutte le religioni e nello spiritismo è individuato in presenze extracorporee, non è veramente da giudicare come “male”. I “daimones”, le entità a metà strada tra il cielo e gli uomini, pure nell’accezione cristiana di “demoni” che prende a significare la potenza satanica, sono nulla di più che un mero strumento per risvegliarci. Già si era individuata (nel libro precedente, il Vangelo Pratico) la natura di subalternità del male nei confronti del bene (come qualsiasi altro fattore nell’universo) e successivamente quanto esso può essere utilizzato dalla Divinità stessa per i propri fini. Qui, ci si accorge inoltre che i daimones e/o i demoni se veramente inducono al male oppure comportano sofferenza lo è per portare l’uomo ad aprire gli occhi. A seconda del punto di vista, essi possono allora perdere una chiara definizione di presenze positive o negative, tanto che nella Storia vengono variamente giudicate e ricercate. La nostra analisi serve solo per accorgerci che tutto ruota attorno all’intento di ricordarci chi siamo effettivamente; neppure avrebbe senso votarsi a un demone per ricevere aiuti materiali e spirituali dato che il suo scopo sarebbe solo quello di rafforzare maggiormente quelle catene alla materialità (per il nostro percorso di consapevolezza). E questa sorta di incatenamento è davvero un aiuto perché più si sprofonda nella realtà materiale e maggiormente si toccherà il punto dal quale si vorrà con tutte le forze liberarsene.
Più la vita nella realtà materiale è colpita da insoddisfazioni e problemi, maggiori, tramite essi, saranno le difficoltà che alimenteranno un’occasione di realizzazione. Queste difficoltà saranno proprio finalizzate a fungere da spinta verso l’alto. Il focalizzarsi che non può esservi alcunché di divino nel male porta a credere che gli eventi che personalmente non vediamo a favore dei nostri piaceri e desideri siano giudicati negativi e contrari al bene. Si può arrivare così a convincersi di vivere in una realtà che non sia globalmente positiva o divina e, addirittura, che Dio sia scartato dal male poiché quest’ultimo riuscirebbe a vincere sull’uomo e il mondo. La conseguenza peggiore, pertanto, sarà un immaginare la struttura della realtà come unica e nella quale l’essere umano è vittima di forze esterne (il male). E, inoltre, egli non avrebbe alcuna responsabilità perché alla mercé di due forze in perenne conflitto: il bene e il male, Dio e Satana.
Non esiste abbaglio più grande dal considerare il bene e il male sullo stesso piano o equivalenti. Proprio come porta lontano dalla chiarezza il vedere l’universo come un infinito contrasto fra due elementi opposti. L’uomo è eterno, quindi esiste da sempre: l’essere umano sta già vivendo la vita eterna, se no non sarebbe eterna. Quindi, non vive veramente in una realtà dove ci sono guerre fra poli opposti, lo sta solo sperimentando in questa parentesi terrena. La quale serve, grazie appunto alle sue contraddizioni, a fare accorgere della vera realtà. La vera realtà è divina e quindi senza forma e con il potere di prendere tutte le forme. Anche quella di una realtà temporanea e transitoria, infine.
La materialità può venir ascoltata come un alleato che spiega chi veramente siamo e cosa serba per noi questa esperienza terrena. L’esperienza terrena non è assoluta, ma condizionata da innumerevoli elementi che la differenziano e rendono particolare: è relativa. Per volgerla verso l’assoluto, bisogna impegnarsi in un percorso di consapevolezza. Il quale porta a prendere coscienza di sé e della realtà (di Dio): a poco a poco si prende l’abitudine di osservare e pensare al di fuori degli elementi che relativizzano. Ovvero, innanzitutto, il tempo: la verità, l’assoluto è già qui, anche in questa esperienza, ma senza il dovuto impegno non procediamo verso un’evoluzione che ci permetterebbe di intercettarlo.
Si può ribadire che Dio è concretamente ovunque, addirittura percepibile in ogni cosa percepibile. Ma si rivelerebbe solo se si sono preparati i propri sensi a recepirlo. Anche se si fantasticasse che Egli comparisse di fronte a una folla, non sarebbe visibile se non ci si è predisposti.
Così, laddove avvengono delle indicazioni su dove trovare Dio oppure quando maestri mostrano quale sarebbe la Verità, si sarebbe in realtà al cospetto di imbroglioni. Magari anche in buona fede, i quali, per ignoranza, pensano che Dio, essendo onnipresente, sia individuabile da chiunque, come un qualsiasi oggetto osservabile. E bisogna segnalare pure che esiste un vero e proprio mercato dove si vende la possibilità di fare esperienza di Dio.
Invece, l’Assoluto non è al pari di una località nella quale ci si può andare semplicemente acquistando un biglietto. Infatti, neppure alla presenza di Gesù, molti si rendevano conto di chi avessero davvero di fronte: per loro era un uomo come qualunque altro.
Se la Verità è assoluta, è libera da qualsiasi limitazione e condizione, pertanto è corretto affermare che essa non è trasmissibile. Perlomeno in modo diretto e maneggiabile, neanche Cristo la trattava così. Perché se fosse così, sarebbe duttile, malleabile, passibile di interpretazioni soggettive. Ognuno invece la deve trovare: unica e indiscutibile. E ciò è possibile solo dentro di sé, senza cioè portarla fuori, al giudizio. Questo è il significato di “essere la Verità”: essa non è qualcosa di presente oppure no, non c’è al di fuori dell’essere (non può esserci separatamente dall’essere).
Attraverso il ragionamento mentale non si può conquistare la Verità perché, per pensarla, dovrebbe vincolarsi a qualcosa: contrapporsi a un suo probabile opposto. Così Dio non può essere visto se si arriva a credere che esiste e può essere visto. Lo permetterebbe solo la fede, non la comprensione, ovvero un profondo desiderio di vederLo. E questo incontro non potrà avvenire allora per speculazione filosofica o per fini egoistici: solo attraverso il desiderio amorevole, come quello che si ha verso l’oggetto amato. Questo incontro sarà possibile, pertanto, quando si tende a creare le condizioni ideali perché possa succedere. Le quali sono appunto connesse alla ricerca di servire il Padre, come descritto nel capitolo precedente. ServirLo, appunto, per permetterne la realizzazione.
Allora, la ricerca della Verità può partire anche dal mero studio intellettuale e poi dall’aspirazione di sfruttarne la conoscenza a proprio vantaggio. Ma bisogna mettersi al suo servizio perché essa possa effettivamente realizzarsi in noi. Senza, inoltre, affiancarne commenti e giudizi dovuti da come personalmente si crede debbano essere interpretati gli eventi. Questo mettersi a servizio è amore; il quale può definirsi addirittura disinteressato per una mancanza di controllo sugli esiti degli eventi che da qui in avanti si vivranno.



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