07/02/23

LA MEMORIA DEL VERO SE’ - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 26

Qui di seguito il ventiseiesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA


che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato.

LA MEMORIA DEL VERO SE’




Non è l’esperienza nel mondo materiale o addirittura l’identificazione con il corpo a separare gli uomini dal divino e, di conseguenza, dal riconoscerci a propria volta divini perché parte della Divinità. La causa è il mero scordarsi della propria vera natura quando ci si incarna. E, quindi, della propria origine e realtà di appartenenza. Perché l’essere divini non precluderebbe neppure di vivere in una realtà fisica e in essa identificarsi.
Il riprendersi da questa presunzione di verità passa per il ricordarsi. Ricordando non si ipotizza più, non si va a tentativi perché si realizza chi si è veramente. In tale passaggio, le intuizioni sono fondamentali proprio perché forniscono le tracce da seguire che, se a esse ci si affidasse, condurrebbero alla memoria dal vero sé. La quale, per il suo riecheggiare informazioni che paiono discordanti con la realtà fenomenica nella quale siamo inseriti, viene ignorata come si fa con i sogni.
Così, le intuizioni, come gli stimoli prodotti dagli archetipi che nascostamente strutturano i nostri pensieri e l’ambiente che ci circonda, sembrano provenire da fuori di noi. Ma, in realtà, sono già informazioni presenti in noi. Esse vengono solo sollecitate a riemergere: non credendo che siano materiale nostro, lo sospettiamo ispirato da altro. Quello che succede in questi casi, innanzitutto, è che le persone sanno già ogni cosa, inevitabilmente, perché sono Dio: sono già la Verità, per loro stessa natura, formazione.
Nel libro precedente, si confessava che la più grande difficoltà nel percorso di realizzazione è il “sapere troppo”. Ciò non è soltanto un rischiare di non essere in grado di immaginare oltre a quel che già si conosce, ma anche l’accettare esclusivamente quanto può essere prevedibile. Sullo stesso piano, per la stessa presunzione, qui si rivela il timore di fidarsi di ciò che emerge come una sorta di “ricordo”.
La realtà fisica, allora, non è esaustivo identificarla come un sonno dal quale bisognerebbe risvegliarsi perché essendo infiniti, gli esseri umani sarebbero entità che temporaneamente non ricordano di essere infiniti. Quindi, nel loro far parte del tutto, vivono anche l’esperienza superficiale in questa realtà virtuale. E per lo stesso motivo si sbaglierebbe nel giudicare la vita terrena come una mera punizione, una prigione o una caduta.
Infatti, l’uomo che si ricorda della vera realtà, realizza di essere sperimentatore di un’esperienza che essenzialmente sta su un piano diverso rispetto a quella vera. Egli diviene Dio incarnato, sa che starebbe rendendo possibile il far vivere l’esperienza corporale a Dio. Come mostrato nel Vangelo, tant’è che il Nuovo Testamento attesta di questa energia del Figlio che continuamente rinnova ciò che perisce. La quale è trattata indipendentemente dal resoconto storico di Gesù: ovvero, è rinvenibile anche al di là della figura limitata di Gesù come uomo. Rimanendo nei Vangeli, l’esempio più potente è quello di Maria, la madre di Gesù. Essa si arrende completamente a Dio, si lascia piegare, per il rinnovamento che si scoprirà poi essere la gravidanza. Lei non conosce il senso completo, ma accetta per esso di non esistere più. Esattamente come è già stato spiegato a proposito della Passione di Cristo. È un esempio fondamentale perché Maria è un essere umano, non è della Trinità come il figlio. Dimostra quanto questa energia possa far partecipare il Divino in questa realtà; e ciò è possibile grazie alle scelte personali (come ha fatto Maria) perché evidentemente Lo riecheggiamo in noi, Lo siamo. Basta ricordarselo: Maria ne era convinta, lo ha “rammentato” e così lo ha realizzato. Ne è diventata cosciente e la sua coscienza ha creato essendo una cosa sola con quella di Dio. Se non si fosse accorta di ciò, non lo avesse “visto”, nulla si sarebbe concretizzato. Il suo rimanere incinta è diventato vero non come conseguenza di un evento esterno, come una magia, ma perché era convinta di essere tutt’uno con Dio.
Di nuovo bisogna sottolineare che seppure umana, Maria ha concretizzato la stessa esperienza di Cristo. Questo ci sbatte in faccia l’evidenza che chiunque ha la predisposizione di imitarne la via per il semplice fatto di essere in vita. Non c’è uno privilegiato rispetto alla massa, anzi: praticare il Vangelo, la potenza “devastatrice” di Gesù, è l’unico modo per realizzare la propria natura. E il proprio destino: Maria ci insegna che la formula che favorisce la pratica è nell’accettare (che potrebbe essere indicato anche come un “ricordare”) lo stato di esseri spirituali ed eterni. Il quale non significa un vivere da dominatori dell’universo, ma si esemplifica nel servire l’Assoluto. Il sentiero di Cristo porta a realizzare questa nostra vera identità. Maria, infatti, ci testimonia la validità del praticare il Vangelo prima ancora che venisse portato nel mondo.
Si viene illuminati dall’accorgersi che è dal profondo divario tra l’essere spirituale ed essere materiale che nulla di questa realtà può indennizzare dalle sofferenze, come nell’episodio nel capitolo precedente di Gesù che comunque cade afflitto per la morte di Lazzaro benché lo avrebbe fatto tornare in vita di lì a poco. Solo nella nostra vera natura, si possono trovare le migliori condizioni per riempirsi di vita e felicità. Ad esempio, gli animali di uno zoo possono essere ammirati e amati dai visitatori e coccolati e riempiti di tutto il necessario dai loro gestori, ma non vivranno mai realmente perché non sono nella loro vera natura. Da Maria impariamo l’insegnamento che alla vita e alla felicità che ci sono proprie vi si può accedere accettando (ricordando) di essere parti di un Tutto. Quindi sì, spirituali ed eterni, ma servitori.
E questo essere servitori vale a dire “essere a servizio”, non essere schiavi. Nel linguaggio quotidiano, per comprendere appieno il senso della nostra natura bisogna fare uso di questa espressione che sottende una certa gerarchia. La quale, seppure apparente e finalizzata solo a scopo propedeutico, vale perché noi non saremmo ora ad un livello di coscienza tale da poter compiere l’azione di creazione che è di Dio. Solo quando si è coscienti di essere unità, ci si può dividere e quindi creare altro da sé. Ma quando si sarà coscienti di essere unità, allora vi si apparterrà, la saremo.
Si potrebbe anche spiegare la dinamica come se l’uomo fosse partecipante all’unità come amante. Ma questo indurrebbe a credere a un rapporto di uguaglianza come quello all’interno di una coppia, che potrebbe sottintendere anche a conflitti nascosti.
La soluzione è nel non identificarci con l’involucro fatto di corpo e mente. Nell’esempio dello zoo, sarebbe come se l’animale credesse di essere la gabbia e scordasse la sua vera natura. Ed è così quando l’uomo si cura solo di soddisfare i bisogni materiali, compreso l’amore e l’ammirazione dei visitatori della sua gabbia. E lo stesso vale quando cerca alimenti più raffinati per la sua mente come l’arte, la letteratura o una superficiale ricerca spirituale: essere una coscienza non significa identificarsi con la mente. Perché la mente, benché è l’area del nostro corpo dove siamo convinti che avvengano i pensieri, è una parte del proprio corpo come qualsiasi altra. Ascoltare e seguire continuamente la mente sarebbe come se si ascoltasse continuamente e si seguisse un proprio arto o un organo interno.
Abbiamo già affrontato tale questione segnalando che non è possibile conoscere Dio attraverso l’intelletto. Malgrado ci si sforzi, ciò non sarà realizzabile con ragionamenti. Egli può solo essere conosciuto quando Si rivela e abbiamo scorto che ciò avviene per vie trasversali: la vita. E, in queste ultime pagine, scopriamo che Egli è conoscibile anche nell’assenza di vita.
In questa impossibilità di conoscerLo con l’intelletto, non possiamo neppure trovare la formula per spiegarLo. Il Vangelo, infatti, è soltanto un mezzo che ci traghetta alla comprensione del Padre. Ciascuno di noi, infine, Lo conoscerà in una propria modalità. E questa potrebbe essere irripetibile per altri. Ecco perché si dice che Egli può essere conosciuto ma non compreso. E così, ciascuno di noi ne darebbe una spiegazione e descrizione differente, se volesse provare. Per ciò, come già indicato, malgrado lo stesso Padre e la medesima Trinità, le varie culture nel mondo hanno sviluppato materiali religiosi diversi.
In conclusione, solo ravvivando la conoscenza spirituale si possono ottenere risultati che mostrino un progresso. Anche materiale: non è possibile neppure per chi desideri pace e uguaglianza renderle concrete se prima non ricordasse che siamo tutti in pace e uguali spiritualmente.
L’essere umano ha enormemente investito nella realtà materiale così da obnubilare da sé il ricordo della propria vera natura. Ma questo non implica che è sempre stato così nel passato e debba esserlo in futuro: non è obbligatorio essere la propria gabbia.














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