25/06/14

Ogni attività viene compiuta seguendo le regole di una recitazione personale e collettiva; ogni fotografia mostra un momento di una performance. La fotografia assoluta non è nel documentare un volto con uno scatto fotografico ogni giorno, ma un individuo che fin dalla nascita sia celato allo sguardo e che si mostrerà agli altri, per l'intera durata della sua esistenza, esclusivamente tramite delle foto. In altre parole, la fotografia sarebbe la vera testimonianza, quella dell'assenza perché per la fotografia il concetto di presenza è un qualche cosa di negativo. Come a dire che se non c'è assenza, la fotografia fa una comparsa parziale; come il nero che compone i colori ma che appare in maniera completa soltanto nella loro totale assenza. La prova di ciò è che il nostro soggetto che si prestasse alla realizzazione della fotografia assoluta, darebbe dimostrazione concreta e solida di sé, solo nel momento di negazione della (sua) vita: il decesso.
Ma se noi non possiamo guardare il volto di costui, avremmo il dubbio che non sia effettivamente reale o che addirittura non esistesse: è un paradosso, un'inconciliabile considerazione che dimostra che a causa dell'avvento della fotografia, l'immagine è morta. Quindi, non ci resta che utilizzare la fotografia in modo precario come abbiamo fatto finora: se per dare significato alla fotografia si deve guardare alla vita, e per dare significato di star vivendo bisogna comprendere la morte, ci si può rendere conto che la maniera in cui viene anche concepita la fotografia, è distorta. Ovvero, se la foto la usiamo per trasmettere un avvenimento allora lo stiamo facendo in modo superficiale e non definito, come usare degli schizzi a matita per rappresentare i momenti di un fatto che si vuole fermare e tramandare.
Presenza e assenza nella fotografia sono un grande conflitto che in modo grottesco si risolverebbe nello scattare foto di qualcosa che non esiste, frutto dell'immaginazione, cioè la libertà che era del disegno e della pittura. Qui entra in gioco il mio lavoro fotografico che utilizza foto di scene reali ribaltate in qualcosa di irreale, assurdo: perdere la capacità di raffigurare, testimoniare, descrivere, ritrarre. Questo è possibile, come ho già scritto in passato, separando la fotografia dall'immagine; si ottengono così degli oggetti che sono a sé stanti dalla fotografia, concettualmente "infotografabili". Pensare che ciò che riporta una foto sia la realtà, sarebbe la soluzione più semplice (e infatti è quella accettata) ma è frutto di una distorsione psichica. Si può fare chiarezza su queste parole considerando l'incipit "ogni fotografia mostra un momento di una performance": in una foto si può vedere quello che è recitato, cioè che corrisponde alle convenzioni e quindi alle aspettative (le strutture degli edifici, degli abiti, dei costumi, delle espressioni, azioni...) dalle loro immagini. Ecco che si avrebbe la possibilità di mostrare delle immagini frutto di immagini (cioè immagini non reali ma immaginate). E per completare tutti gli input fin qua tirati in ballo: si mostrerebbe qualcosa di assolutamente assente (senza aver bisogno di mantenere qualcuno nascosto alla vista per la sua intera vita...).
Tutta questa riflessione, che è una spiegazione della fotografia e una spiegazione della mia fotografia, è essenzialmente un confusionario approccio all'immagine che si affronta quando il modo in cui si viene educati a vedere la realtà è aberrato: un unico livello solo. Sul piano mentale, quindi, ci leghiamo all'uso e alla funzione dell'immagine e della fotografia in modo distorto (imprecisi confini fra il concreto e il concetto) ma così profondo, perché è il modo in cui veniamo educati, che lo prendiamo per vero al pari di un qualsiasi effetto ottico.
Perfetta conclusione è progettare la macchina fotografica assoluta: che produce, ad ogni scatto, la stessa foto. Sarebbe l'unico modo per assumere un ruolo esaustivo della fotografia perché ripete sempre lo stesso (come l'atto sessuale). Il tema dominante di tutto è, pertanto, come ci relazioniamo da un punto di vista estetico, cioè ammettere che ogni aspetto relazionale è una rappresentazione (performance ho detto all'inizio) e che terminerebbe di esserlo se si smettesse di seguire le convenzioni. Se fosse possibile, se ne creerebbero di nuove che a loro volta imposterebbero altre rappresentazioni: per gli uomini non è possibile non rappresentare, quindi non è possibile vedere la realtà in un altro modo oltre ad un unico livello, quindi non possono che adoperare la fotografia in modo parziale. E quindi, non siamo in grado di cogliere il disturbo che la fotografia positivamente crea alle nostre convenzioni... La fotografia è aliena.

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