26/10/22

LA CONOSCENZA - IL GIORNO DELLA SALVEZZA capitolo 11

Qui di seguito l'undicesimo capitolo del nuovo libro che ho scritto 

IL GIORNO DELLA SALVEZZA

che è il diretto seguito del Vangelo Pratico, edito da Anima EdizioniSpero così di fare cosa gradita a coloro che desiderano conoscere meglio il Vangelo Pratico e sapere come continuano gli approfondimenti. Attendo i vostri commenti e le vostre opinioni, anche in privato. 


LA CONOSCENZA


La difficoltà che si avverte contenuta in questi capitoli è, in realtà, proporzionata a quanto siamo tutti orgogliosi delle nostre capacità mentali. E con queste riuscire a capire ogni cosa e a registrarne delle evidenze con le percezioni sensoriali. Scordandoci, pertanto, che l’intelletto e i sensi del nostro corpo non sono assoluti come sarebbe necessario per alzare totalmente il velo su Dio. Essi funzionano egregiamente in determinate situazioni, abbiamo dovuto ammettere; per accettare il mistero di Dio e viverlo, bisogna lasciarsi andare.
Non deve quindi essere sollecitata l’idea che non ci sia conoscenza o che essa, semplicemente, non la si possa intendere. Può essere, invece, stimolata in ognuno di noi e trasmessa così, in misura completa o parziale, l’un con l’altro. Ciò avviene non solo in una dottrina ma anche senza rendersene conto, con l’esempio.
La Chiesa è utile per diffondere e far echeggiare i simboli, la sapienza e i riti che portano in sé tale conoscenza. Infatti, la Chiesa dovrebbe permettere che ognuno possa diventare un Cristo senza timore di perdere la propria posizione di detentrice della conoscenza. Diventare un Cristo, difatti, comporta un’insensibilità verso qualsiasi forma di gerarchia per il semplice non fare preferenze fra gli uomini. È come se ogni fedele a quel punto diventasse autocefalo, ma questo non si porrebbe in disaccordo con la Chiesa. Proprio perché il fedele arriverebbe a un risultato di indifferenza verso confini e gelosie che si potrebbero rivolgere alla conoscenza, la quale gli apparirà invece rilevabile in ogni cosa. Tuttavia, la Chiesa, se riconoscesse tali traguardi, dovrebbe serenamente passare poi oltre a chi non è stato a sufficienza sollecitato dalla sua sapienza. Così, mentre i “Cristi” renderanno concreto il Regno di Dio per il solo esserci, la Chiesa dovrebbe permettere le evoluzioni delle altre persone in successione.
I propri pensieri e quanto si registra con i sensi possono essere per l’uomo un ostacolo anche perché lo indurrebbero a credere a maestri ed esperienze che propongono risposte, soluzioni intellettuali e prove tangibili. Ovvero, maestri che in realtà non sono maestri ma figure attorno alle quali potersi raccogliere in un gruppo in cui riconoscersi. Eppure, proprio per questo motivo, l’intelletto e i sensi possono essere un lasciapassare per un altrove, quando si è convinti che tutti possono realizzare Dio, divenire dei “Cristi”.
Si può comprendere meglio se sfruttiamo come esempio uno degli elementi più controversi per il suo stare al confine tra reale e astratto, convenzione o presenza tangibile: il tempo. Si sa che il tempo è un’invenzione per così ripartire le giornate, le stagioni e dare ordine alla vita. Sappiamo anche che seppure è calcolato dal movimento della Terra e reso veridico da orologi perfetti, ognuno lo percepisce come vuole. Addirittura, si è osservato che il tempo scorre oggettivamente più o meno veloce a seconda dell’altitudine da cui si guarda l’orologio. Infatti, la teoria della relatività dice proprio che non esiste tempo assoluto ma varia a seconda del punto di vista dell’osservatore. Figuriamoci, quindi, se si registrasse il passare del tempo facendo un confronto con il moto di altri pianeti o con le alterazioni che subiscono i nostri astronauti nel cosmo per le enormi accelerazioni e rallentamenti.
Ebbene, in realtà, il tempo esiste, è unico e questo è Dio. Non si intende ovviamente il tempo cronologico che è stato inventato per far quadrare l’orologio e il calendario. E che, come accennato nel capoverso precedente, è soggetto alle leggi fisiche che subisce l’osservatore; le quali sono costantemente in mutazione per la continua mutazione dell’universo intero. Quello non è il tempo reale, ma sono soltanto gli effetti sulle forme (sul fisico) al suo trascorrere. Che, a causa della durata breve delle nostre vite, siamo abituati a vederlo come una linea che va da un punto a un altro (dalla nascita alla morte). In realtà, il tempo è costante, presente ed eterno: è ciò che sta sottostante a quanto consideriamo mutevole a causa sua (o che invecchia e muore, dal punto di vista dell’uomo).
Indipendentemente da come reagiscono i corpi, come si muovono le galassie e si ravvivano e spengono le stelle o arrivano a un esito le nostre faccende, il tempo non passa. Quello che passa è tutto il resto, quindi, quello che ci sta “sopra”. Come per il tempo di una data musica che è sempre lo stesso, malgrado il modo in cui viene suonata, gli abbellimenti e i virtuosismi; in qualsiasi momento si ascolti, quella musica sarà, infatti, riconoscibile proprio perché il tempo la caratterizzerà sempre.
Perciò ha senso l’accostare queste spiegazioni sul tempo a Dio. Il tempo è quanto in me non muta con il passare del tempo (l’idea del passare del tempo). O meglio: ciò che in me non muta con il trascorrere del tempo terrestre (come l’invecchiare del corpo) sta seguendo lo scorrere di un altro tempo che è immutabile, costante. Che è slegato dal punto di vista dell’osservatore e quindi a quanto gli capita soggettivamente, è superiore e riferibile a tutto: un unico supremo eterno attimo. Il mio invecchiare, perciò, è solo un mero reagire collaterale del corpo.
La parte di una persona che non muta ovviamente è da intercettare al di sotto di tutto quello che può mutare, o con un cambio di opinioni ed esperienze o con il decadere del corpo. Quindi, quell’essenza che, malgrado le personali scelte, le varie vicissitudini e disorientamenti, non cambierà mai. Essere consapevoli di sé, attraverso la pratica del Vangelo (come maggiormente espresso nel libro precedente) è un intonarsi a questo metro, un andare al giusto (proprio) tempo.
Come esempio, basta guardare un giardino e non è un caso che si pensi alla musica, all’armonia. I vegetali, infatti, seguono la vita senza metterla in discussione. Essi si inseriscono in un vero e proprio concerto grazie al quale possono adattare al meglio il proprio sviluppo. Essi non esprimono preferenze, ma tendono soltanto ad adattarsi al meglio al loro habitat.
Ogni pianta replica se stessa germinando in una nuova pianta attraverso l’impollinazione, la produzione e aspersione di un seme oppure nello staccarsi di un pezzo di sé, come un ramo, che cadendo al suolo attecchirà nuovamente (clonazione). Pertanto, ogni pianta è come se fosse sempre la medesima che si ripropone, la stessa vita che procede estendendosi a partire dalla prima pianta. Tale contesto era stato suggerito anche nel precedente libro per indurre al parallelismo con l’essere umano. Pure l’uomo, infatti, sta portando avanti sempre lo stesso essere umano, inteso come il medesimo fluire di vita a partire dalla prima coppia.
Siccome i vegetali sono di una specie e addirittura appartenenti a un regno diverso rispetto a quello dell’essere umano, a noi che osserviamo, gli esemplari dello stesso tipo di pianta sembrano uguali. Ma lo stesso parere scopriremmo esserci nell’osservare l’essere umano, se potessimo conoscere il punto di vista di qualcuno che sia di un’altra specie. Noi ci consideriamo giustamente tutti diversi per aspetto, personalità e intelletto; e questo ci induce anche a vederci come esseri distinti. Cosa che non è, siamo ora tentati di credere; pure perché la medesima congettura la si potrebbe fare considerando tutte le altre specie di animali guardando dal loro punto di vista.
Inoltre, anche a causa dell’immensa mole della popolazione mondiale, non viene spontaneo ricordarci che saremmo tutti consanguinei. Allora, per aiutarci, osserviamo per un attimo come si comportano le piante e gli animali. Se si analizzassero due esemplari della stessa specie di una pianta o di un animale, vedremmo che si comporterebbero pressappoco in modo uguale anche se collocati in situazioni e luoghi completamente diversi. Certo, una pianta si svilupperà di più rispetto all’altra in risposta a una maggiore esposizione solare e i due animali sopravviverebbero in misura della quantità di cibo da loro ottenibile. Ma quello che ci interessa per la nostra analisi è più profondo, si tratta dei caratteri loro dominanti che rimarrebbero pervasivi. Così come gli uomini conducono la vita con medesime leggi seppure abitanti in nazioni e classi sociali opposte.
Si è studiato che quando un esemplare di una specie impara qualcosa di nuovo, anche altri esemplari della sua specie acquisiscono poi quell’informazione. Così, ad esempio, in modo indecifrabile, se un animale scopre una nuova modalità più efficace per cacciare la preda, da quel momento in poi pure gli altri individui della sua specie inizieranno a cacciare in quel modo. Seppure non hanno alcun contatto fra di loro e vivono in regioni non comunicanti. Questa reazione che porterebbe a ipotizzare una connessione che superi le barriere dello spazio e del tempo è stata osservata in vari animali, che esista pure nell’uomo?
Una spiegazione che è stata proposta è che è come se si potesse accedere a una sorta di coscienza comune. Un’area raggiungibile con la mente dove sono contenute informazioni che così diventerebbero a disposizione. Al di là di questo, quello che noi intuiamo è che ciò sia proprio il tempo spiegato poco sopra. Gli esseri vivono senza tempo perché il decadere del corpo non è una questione legata alla vita, è solo un processo chimico e fisico. E vivono senza spazio, in quanto sono tutti interconnessi indipendentemente dalla loro posizione geografica.
Anche l’uomo, pertanto, è eterno e ovunque, e questa caratteristica di eternità e onnipresenza è divina. Malgrado, quindi, la condizione del proprio corpo gli dimostra il contrario: l’essere umano ha in questa presenza dell’infinito una presenza di Dio.




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