Il mio lavoro non è propriamente
una proposta stilistica, ma il contrario: un'impossibilità forse di proporne
una. In altre parole, dato che io traggo e\o baso il mio lavoro pittorico o
compositivo sulla fotografia, affronto piuttosto un problema stilistico. Questo
è causato dal mio muovermi all'interno dell'artificio: riutilizzare una
immagine di seconda mano. La ricerca delle forme è un approccio naturale, ma
l'area di lavoro il contrario. Vale a dire che il mio intervento non è neanche
artistico ma soltanto un ridurre ciò che è già rappresentato all'essenziale,
intuendone certe forme (quelle che mi servono) ed evidenziandole. Come il
fotografo che quando stampa le foto del cliente decide come presentarle
regolandone l'aspetto in post produzione: ecco, quello che faccio è
un'ulteriore post produzione (che precedentemente avevo definito
"traduzione"). Il risultato, però, non mira a rendere la foto
gradevole o artistica (nel senso più ampio del termine o pensata che sarà
inserita in un contesto artistico), ma accentua solo degli oggetti o dei soggetti
già cercati, vissuti, fotografati e quindi conosciuti e interpretati da altri.
Quello che mi interessa, quindi, è spingere gli elementi che enfatizzo verso un
aspetto artificiale che non ha nessun motivo di esistere, di essere ricercato e
inserito se non per fare l'esperienza di un genere di formalismo che, specie in
fotografia, non si ha mai cercato di toccare.
Descrivendo in un modo più
approfondito, c'è da dire che io affermo di rappresentare in una maniera
astratta, però la fotografia da cui parto è già un'astrazione perché mostra un
mondo a me estraneo. Sarebbe un qualcos'altro anche se ne fossi io l'autore.
Pertanto, devo mettere da parte qualsiasi pensiero che potrebbe decifrare
l'immagine e procedere con una lavorazione in cui escludo la comprensione.
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