14/03/14


Il mio lavoro non è propriamente una proposta stilistica, ma il contrario: un'impossibilità forse di proporne una. In altre parole, dato che io traggo e\o baso il mio lavoro pittorico o compositivo sulla fotografia, affronto piuttosto un problema stilistico. Questo è causato dal mio muovermi all'interno dell'artificio: riutilizzare una immagine di seconda mano. La ricerca delle forme è un approccio naturale, ma l'area di lavoro il contrario. Vale a dire che il mio intervento non è neanche artistico ma soltanto un ridurre ciò che è già rappresentato all'essenziale, intuendone certe forme (quelle che mi servono) ed evidenziandole. Come il fotografo che quando stampa le foto del cliente decide come presentarle regolandone l'aspetto in post produzione: ecco, quello che faccio è un'ulteriore post produzione (che precedentemente avevo definito "traduzione"). Il risultato, però, non mira a rendere la foto gradevole o artistica (nel senso più ampio del termine o pensata che sarà inserita in un contesto artistico), ma accentua solo degli oggetti o dei soggetti già cercati, vissuti, fotografati e quindi conosciuti e interpretati da altri. Quello che mi interessa, quindi, è spingere gli elementi che enfatizzo verso un aspetto artificiale che non ha nessun motivo di esistere, di essere ricercato e inserito se non per fare l'esperienza di un genere di formalismo che, specie in fotografia, non si ha mai cercato di toccare.
Descrivendo in un modo più approfondito, c'è da dire che io affermo di rappresentare in una maniera astratta, però la fotografia da cui parto è già un'astrazione perché mostra un mondo a me estraneo. Sarebbe un qualcos'altro anche se ne fossi io l'autore. Pertanto, devo mettere da parte qualsiasi pensiero che potrebbe decifrare l'immagine e procedere con una lavorazione in cui escludo la comprensione.

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