15/03/14


Ieri sera sono stato all'inaugurazione di una mostra di foto antiche di un secolo, provenienti da un catalogo originale di geishe. Forse l'evento è stato curato più dell'esposizione in sé, ed è comprensibile essendo ospitato in un negozio di abbigliamento, perché le fotografie meritano una profonda attenzione. Le geishe offrivano una fascinazione basata sulla tensione che si creava dal loro avvicinarsi e al contempo sottrarsi; un far percepire un'intimità speciale a chi è presente ed anche l'impossibilità di potervi accedere. Questo tipo di seduzione è definita con un termine, "iki", che non è traducibile in italiano. Eppure è espresso nei loro volti visibili in quelle immagini: gli occhi comunicano mentre la bocca no, con lo sguardo sono presenti e con la bocca assenti.
Anche in questa occasione, come ad ogni evento a cui prendo parte, incontro persone che parlano in modo contrariato della imminente chiusura degli spazi espositivi di via Bertossi a Pordenone, specie perché verranno sostituiti da uffici e un nuovo museo verrà aperto. Ieri sera, però, ha fatto la comparsa una raccolta firme sostenuta da un gruppo che cerca di sensibilizzare sull'argomento chiamato "il ballo della scrivania". Conosco le persone che ci sono dietro, quindi sono certo che avrà sviluppi propositivi, temo però che se vogliono fermare la macchina di questa specie di trasferimento sia troppo tardi, che tutto sia già stabilito. Per ora, l'arte a Pordenone fa effettivamente muovere l'economia, come dice l'assessore, ma soltanto delle ditte di traslochi.

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