Ho portato a termine il programma
del mio nuovo progetto. Non ha nome ancora o non l'avrà mai.
"Il progetto “” smaschererà
e risolverà l’impossibilità da parte di un giovane artista o di chiunque voglia
cominciare un’impresa, di realizzare la propria opera nell’attuale contesto
generale di instabilità. Per instabilità, si intende il momento attuale di
passaggio della nostra società, durante il quale si esige una novità nelle
relazioni attraverso la condivisione. Questo progetto, quindi, avverrà con la
creazione di nuovi segni con l’obiettivo di formulare una sorta di linguaggio
neutrale basato sulle differenze di ciascuno. Dei nuovi segni, pertanto, che
l’artista deve concepire ricercando le difficoltà e differenze degli altri: un
segno che non verrà realizzato individualmente. Con il contributo di ciascuno
si potrà mettere in scena un segno realizzato così in modo condiviso.
Il progetto sarà scandito in tre
azioni."
Queste saranno:
“un fenomeno di filosofia e un
uomo disgraziato” che avrà come tema, motivo l’impossibilità.
“case” che avrà come tema, motivo
l’imprevedibilità.
“sport” che avrà come tema,
motivo l’inutilità.
Ho studiato molto, ora mi
prenderò una pausa, però non posso come al solito presentare i miei lavori con
una spiegazione teorica che ne spiega lo svolgimento, seppure ho scritto tanto.
Altrimenti ricorrerei alla solita procedura senza produrre affatto la novità
relazionale\comunicativa di cui vado in cerca. Ovvero, sarebbe come se si
rimanesse a metà strada senza diventare la rappresentazione che si vuole
realizzare; cioè, non si svilupperebbe una crisi per produrre qualcosa di
nuovo. Farò così: con la ragione posso fare le domande, mentre le risposte le
darò con l’azione. L’azione, però, deve intendersi senza una direzione
prefissata, se no sarei punto a capo.
Dando spazio alle differenze, si
creerà un linguaggio univoco. Mi accorgerò di riuscirci quando vedrò che i
segni che realizzo vanno avanti da soli, vengono letti senza che ne dia
spiegazioni.
Mi torna in mente che molti anni
fa avevo scritto un romanzo breve che raccontava di un mondo dove non esisteva
la parola. La gente comunicava quindi in modo non verbale e la città era piena
di simboli per indicare e direzionare; ma non era questo che portava la maggior
differenza dal nostro mondo. La gente, in realtà, era felice, libera, diretta:
la parola nasce per indicare le cose e la necessità di indicare è per potersi
capire, l’incomprensione infatti genera paura. Insomma, era un mondo senza
paura: se qualcuno voleva fare una cosa, semplicemente la faceva perché non
doveva dare spiegazioni a nessuno. Era un mondo, infatti, in cui si viveva
molto velocemente; c’era la narrazione di una storia d’amore che comincia con
il facile gesto di un personaggio che si siede accanto ad un altro: è un
concerto e lei si alza e si va a sedere vicino al musicista che sta suonando e
di cui evidentemente si è innamorata. Non ha dovuto tentennare o non ha temuto
il giudizio degli altri a proposito della sua azione: non esistono gli
strumenti per fare tutto ciò. Purtroppo, raccontando del danno della parola, ho
capito che non aveva senso usare la parola per spiegarlo e così ho poi deciso
di eliminare quel libro; e l’ho bruciato. Speriamo di riuscire a spiegare un
mondo senza parole con le immagini visive.
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