03/04/14


Quando definisco l'immagine come una rappresentazione di informazioni, non intendo che è una rappresentazione di un pensiero. L'immagine, attraverso le informazioni contenute, non mette in scena un pensiero, un concetto, un aspetto, una creazione, ma lo è. In altre parole, è come se fosse un lavoro di trasposizione: le informazioni si tramutano in uno stato di pensiero, che si traduce in un'immagine, la quale poi, se ad esempio fosse spiegata a parole o con un testo, diventerebbe un'altra cosa ancora. Ovvero, ogni diverso modo di tradurre le informazioni apporta una distinta interpretazione. Se io con la mia elaborazione ho creato un pezzo a sé a partire da alcune informazioni (una fotografia o sue parti), in un modo identico bisogna considerare ciò che deriva dal pezzo che ho realizzato: sono ulteriori interpretazioni e quindi a sé stanti. Non voglio screditare l'originalità della produzione di un artista, ma considerare come fondamentale che può essere vissuta e letta in svariati modi. Questo comprende anche la documentazione fotografica di un’opera, il testo critico, la collocazione del pezzo all’interno dell’area espositiva...: è il senso attorno al quale l'arte acquisisce valore e dignità. Forse, artisti si diventa quando si sa bene che quello che si fa è solo un’interpretazione di informazioni connessa non all'autore ma a chi legge l'opera.
Come autore, sono nell'attesa che qualcosa di completamente opposto potrà accadere: fare un'opera che permetta una sola interpretazione. Innanzitutto, c'è da specificare che questo momento lo attendo ma non lo desidero: mi sentirei finito e persisto nel vedere ancora esplorabile il mondo degli equivoci. Tuttavia, ogni tanto, mi sembra che stia per emergere: inizio un lavoro e già vedo al primo tocco che quel segno potrebbe dire tutto, cioè che il pensiero sarà leggibile proprio come voglio che venga letto. Ma poi scorgo che potrebbe essere colto da un altro punto perché vedo che un esercito di roba banale avanza. E' come se ogni volta l'immagine possa essere invalidata, che non si potrà mai manifestare un pensiero in maniera da apparire come un'inequivocabile riflessione (arte corale direi, visto che sarà unica per tutti e l'interpretazione principale (che fa l'opera un'opera d'arte) è di chi legge, non di chi scrive). Tenendo conto che è questa la caratteristica dell'arte o della mia arte, non mi scoraggio troppo per la mia inettitudine. Anzi, sono sicuro che prima o poi il "coro" giungerà.
Come lettore di un'opera d'arte, mi sento spaesato (che non ci capisco un cazzo) quando sono davanti ad un'opera d'arte. Quanto l'adoro quel momento.

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