02/04/14


Nelle mie immagini prevale l'effetto sfocatura perché permette di mescolare le informazioni presenti nelle fotografie. Lo sfocato mette tutto allo stesso livello, lo annacqua: gli elementi principali con quelli di contorno e così le loro linee e colori. Come già detto precedentemente, questa caratteristica (che è nella quasi totalità delle immagini) manifesta innanzitutto il rapporto che ho io con la realtà (rappresentata nella foto), ovvero la mia incapacità nel provare sentimenti di sicurezza e stabilità verso ciò che ho davanti agli occhi (base della mia estetica). Ripeto anche che non è il centro del mio lavoro, o, peggio, il motivo, come a dire che ho trovato una soluzione originale per presentare le immagini e pertanto la replico: in realtà, succede che basta che scenda un po' la luminosità e non riesco più a distinguere ciò che è lontano da ciò che è vicino... Vedi, come esempio, il ritratto sottostante fatto a Michele ad ottobre. Devo dire che mi piace essere alla mercè di qualcosa di così pesante e doverlo fronteggiare: spesso mi accorgo che il desiderio di realizzare un’immagine è mosso da quello di affrontare una sfida.
Quando affermo che è così che io vedo, tra l'altro, intendo che non voglio ammettere che ci sia qualcosa di preciso e finito in ciò che ho di fronte (base della mia poetica), ma anche che ho effettivamente dei problemi di vista a causa dei quali ho difficoltà a percepire a fuoco. Questa facilità di perdere la messa a fuoco devo di certo riconoscerla come il punto di partenza dei miei dubbi sulla stabilità e unicità della realtà... Ricordo che quando ho deciso di non portare più gli occhiali, a vent'anni, ho faticato molto a vedere in modo chiaro, poi mi sono riabituato a questa sorta di facilità nel cascare nello sfocato...
Per ricercare lo stesso effetto anche quando lavoro manualmente, ricopro l'immagine con resine oppure delle colle per sfumare i contorni. I pennelli sono addirittura troppo precisi per i miei intenti e così ho lasciato che s’incrostassero per usarli come spatole, anzi, visto che sono grossi e grossolani sembrano più dei tergivetri.
Qui deriva la mia insofferenza nei confronti della critica indirizzata all'estetica delle mie immagini (o più semplicemente al loro aspetto). Vale a dire che ho scoperto, riconosciuto e costituito un mio mondo caratterizzato da delle precise convinzioni e posizioni, sicuramente derivanti dal mio background come pure dal mio difetto visivo sopra spiegato. Pertanto, se uno vuole in modo idoneo criticare i miei lavori, deve entrare in questo mondo. Oppure, si mantiene in una critica basata sul comparare fra loro le diverse cose che ho fatto negli anni... E' un discorso arrogante? No, perché suggerisco anche come fare: cercare di vedere in modo distinto i dettagli di ciò che si ha davanti al viso... nuotando sott'acqua.


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