08/03/14


Per me le foto sono innanzitutto degli oggetti, non rispetto del tutto quanto vi è rappresentato. Cioé non mi faccio influenzare dall'idea che con il mio intervento potrei coprire o alterare l'aspetto di una figura umana raffigurata nella fotografia. Ciò mi permette una libertà che una volta non conoscevo: in principio tenevo in considerazione la figura umana per comporre la nuova immagine, la quale era quindi in funzione di essa.
Ora la foto è per me prima di tutto una composizione costituita da forme e colori, che unendosi costruiscono delle figure umane oppure lo sfondo o i dettagli in primo piano e per questo principio possono allora essere smontate e rimontate per formare qualcos'altro. All'inizio, quindi, io vi vedevo delle persone con delle vite e per questo spesso intervenivo con dei limiti e dei riguardi. Non ero giunto ancora alla ricerca delle forme e alle trasformazioni attuali, il mio intervento era una sorta di commiato a quelle persone, da diversi punti di vista. Fondamentalmente mi convincevo che le figure umane delle foto sono prima di tutto delle persone che ora non ci sono più. Così accadeva che mi interessava dar loro commiato dalla vita, ovvero estrapolare, estraniare il soggetto dall'ambiente circostante (ciò che attornia la persona fotografata), il quale corrisponde alla sua vita di tutti i giorni, le abitudini, il lavoro.
Forse, ora sto rappresentando in un modo più neutro, ma allora trattavo di qualcosa non facilmente rappresentabile: i morti. Il cambiamento è accaduto sicuramente quando ragionando su questo ho scorto la morte raffigurata in tutta l'arte. Vorrei che i miei lavori siano sempre così: cercare la rivoluzione e accorgersi di fallire mostrando così che quello contro cui mi scontro è ineluttabilmente invincibile, il nemico più grosso.


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