01/03/14


La fotografia è una riproduzione, ma di per sé anche un'astrazione della realtà. Pertanto, spingere l'immagine fotografica verso un'ulteriore esito astratto, addirittura da capovolgere l'aspetto iniziale, porta ad una sorta di esplorazione. O estrapolarne totalmente la realtà che mostra rendendola da fittizia (la mera immagine fotografica) a esistente.
Praticamente, quando realizzo un'immagine, parto da una fotografia ma non so dove essa mi condurrà. Non verrà prodotto qualcosa di identificabile come un oggetto oppure un'altra fotografia, ma un ambiente dentro il quale muovermi come qualcuno che si è perso o che è al buio. Ogni foto ha degli elementi, esaltati o pacati, sui quali mi concentro per fare esperienza di tutte le loro possibilità, come un regista con di fronte un attore che mette in scena tutti i modi per interpretare una battuta. Scelgo la versione migliore e gliela faccio ripetere, quindi sposto l'attenzione verso un altro dettaglio.
So che ho i mezzi per far emergere tutte le qualità dell'immagine e potrei così potenzialmente insistere su di essa all'infinito. Mi fermo, e capisco che il lavoro è completato, non ha bisogno di altri interventi, quando percepisco che si bilancia quanto potrei aggiungere e togliere. Questo accade non appena avverto che da come era all'inizio (un percorso senza una meta) ora mi fa scorgere un risultato preciso: essere utile.
L'opera d'arte perfetta è un'immagine impossibile da non utilizzare.

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